Febbraio 2023 n. 2 Anno VIII Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. Resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice Comunicato: disponibilit�: di copie residue in omaggio La pandemia dimenticata Paese mio che stai sulla collina Scandalosa Colette Comunicato: disponibilit�: di copie residue in omaggio Informiamo i nostri lettori che sono disponibili 6 copie Braille complete dell�opera Produzione e traffici nella storia della civilt�, di Armando Saitta. L�opera � cos� composta: 1� libro: 5 volumi; 2� libro: 5 volumi; 3� libro: 8 volumi. Chi fosse interessato a ottenere in omaggio una copia dell�opera sopra indicata pu� farne richiesta telefonicamente, contattando il nostro Ufficio Utenti al numero 039.28327206 oppure 039.28327209. La stampa Braille, effettuata dalla Stamperia di Firenze, risale al 1973 e le copie potranno essere distribuite soltanto fino al loro esaurimento. La pandemia dimenticata (di Scott Hershberger, �Le Scienze� n. 629/21) - Nel 1918 la Spagnola uccise milioni di persone, ma poi scomparve dalla memoria collettiva. Potrebbe accadere lo stesso con COVID-19? - Nel 1924, l'Enciclopedia Britannica pubblic� una storia in due volumi della parte del XX secolo trascorsa fino a quel momento. Pi� di 80 autori - professori e politici, militari e scienziati - contribuirono scrivendo i vari capitoli dell'opera. In tutte le sue 1300 pagine, per�, l'opera non citava neppure una volta la catastrofica pandemia influenzale che aveva ucciso tra 50 e 100 milioni di persone in tutto il mondo appena cinque anni prima. E molti dei testi di storia dei successivi decenni si limitano ad accennare alla pandemia del 1918-1919, quando lo fanno, come nota al tema della Prima guerra mondiale. Rispetto ad altri grandi eventi del XX secolo, la pandemia � rimasta stranamente sbiadita nella sfera pubblica fino a tempi molto recenti. Monumenti e festivit� nazionali commemorano le vittime delle due guerre mondiali. Musei molto frequentati e film di grande successo raccontano il naufragio del Titanic e le missioni lunari del progetto Apollo. Ma non si pu� dire lo stesso dell'influenza del 1918 (�la Spagnola�, come fu chiamata a causa di convinzioni sbagliate sulla sua origine). Certo, la pandemia non � stata dimenticata del tutto: molti sanno ancora oggi che � avvenuta, o persino che qualche lontano parente ne rimase vittima. Ma l'evento occupa un posto sproporzionatamente ridotto nella narrazione con cui la nostra societ� ricorda a se stessa il proprio passato. Che una pandemia tanto devastante possa diventare cos� latente nella nostra memoria collettiva ha sconcertato Guy Beiner, storico dell'Universit� del Negev �Ben Gurion�, in Israele, spingendolo a dedicare decenni di studio alla sua eredit�. �Siamo vittime di un'illusione: crediamo che se un avvenimento � storicamente significativo - se colpisce davvero tante persone, se cambia il destino di interi paesi del mondo, se fa morire molta gente - allora � inevitabile che ne resti il ricordo�, dice. �Ma non � affatto cos� che vanno le cose. E il caso della Spagnola dovrebbe metterci in guardia�. Beiner ha cominciato a collezionare libri sulla pandemia del 1918 vent'anni fa. Per un bel po' ne ha visti uscire pochi, e a rilento. Ma adesso che il mondo fa i conti con COVID-19, fatica a stare al passo con le nuove uscite, sia di narrativa che d'altro genere. �In ufficio ho tre pile [di libri] che mi aspettano, pile enormi�, puntualizza. Rimasta fin qui un argomento di nicchia anche per gli storici, la pandemia del 1918 � stata confrontata con quella attuale per i tassi di mortalit�, i dati sull'efficacia di mascherine e distanziamento sociale, e per il possibile impatto economico. Nel solo mese di marzo 2020, la pagina di Wikipedia in inglese dedicata alla Spagnola � stata vista pi� di 8,2 milioni di volte, polverizzando il precedente record di 144.000 volte stabilito nel 2018, centenario della pandemia. La �dimenticanza� mondiale e l'attuale riscoperta dell'influenza del 1918 fanno luce sullo studio scientifico della memoria collettiva. E offrono indicazioni di grande interesse su come le generazioni future potrebbero guardare all'attuale epidemia di coronavirus. Che cos'� la memoria collettiva? Avviato agli inizi del XX secolo dal sociologo Maurice Halbwachs, negli ultimi anni lo studio della memoria collettiva ha riscosso grande interesse in tutti i settori delle scienze sociali. Henry Roediger III, psicologo alla Washington University di St. Louis, definisce la memoria collettiva come �il modo in cui ricordiamo noi stessi come parte di un gruppo [...] costitutivo della nostra identit�. Gruppi come le nazioni, i partiti, le comunit� religiose e le tifoserie, spiega, inseriscono gli avvenimenti del proprio passato collettivo in una narrazione che rafforza il senso di s� condiviso dai membri del gruppo. Per studiare la memoria collettiva dei gruppi rispetto a famosi avvenimenti storici, i ricercatori adottano spesso metodi di sollecitazione dei ricordi con domande aperte. Per esempio Roediger, insieme al collega James Wertsch, ha chiesto a volontari statunitensi e russi di indicare i dieci eventi pi� importanti della Seconda guerra mondiale. Gli statunitensi hanno citato soprattutto l'attacco a Pearl Harbor, le bombe atomiche sul Giappone e l'Olocausto. La maggior parte dei russi ha messo invece in primo piano la battaglia di Stalingrado, la battaglia di Kursk e l'assedio di Leningrado. L'unico evento che appariva in tutte e due le liste era lo sbarco in Normandia, che negli Stati Uniti era il �D-day� e in Russia �l'apertura del secondo fronte�. Gli avvenimenti ricordati con maggior forza dalle persone di ciascuno dei due paesi, dicono i ricercatori, riflettono la cornice narrativa, lo schema, entro cui quel paese ricorda il passato. Uno studio analogo potrebbe indicare quali elementi specifici della pandemia del 1918 siano presenti alle persone. Ma �a quanto ne so, non l'ha fatto nessuno�, dice Wertsch. Anche nel confronto con COVID-19, sottolinea, ben pochi sono in grado di citare qualche dettaglio sulla pandemia del secolo scorso. L'importanza di una storia chiara Wertsch osserva che la memoria collettiva sembra dipendere in larga misura da narrazioni con un inizio, una parte centrale e una fine ben chiari. �Se c'� uno strumento cognitivo pi� ubiquitario, pi� naturale [...] di tutti gli altri, � la narrazione�, dice. �Non tutte le culture umane hanno sistemi di numerazione aritmetica, e non parliamo del calcolo differenziale. Ma in tutte le culture umane si raccontano storie�. Ai paesi coinvolti nella Prima guerra mondiale il conflitto propone un chiaro arco narrativo, con tanto di buoni e cattivi, vittorie e sconfitte. Da questo punto di vista, un nemico invisibile come l'influenza del 1918 si prestava pochissimo a entrare in un racconto. Non � chiaro da dove sia venuta, ha ucciso persone per il resto in buona salute in pi� ondate successive e se n'� andata di soppiatto, senza che nessuno l'avesse capita. Gli scienziati dell'epoca non sapevano neppure che l'influenza � causata da un virus e non da un batterio. Senza uno schema narrativo in cui inquadrarla, la pandemia di fatto svan� dal discorso pubblico poco dopo la sua fine. A differenza dell'influenza del 1918, COVID-19 non ha una grande guerra con cui competere nella memoria collettiva. E nel secolo trascorso da allora la scienza ha progredito in modo impressionante nella comprensione dei virus. Per alcuni aspetti, per�, non � cambiato molto rispetto alla pandemia che colp� i nostri nonni. �Anche se i nostri esperimenti di lockdown, gi� solo perch� su larga scala e molto rigidi, non hanno veri e propri precedenti, stiamo ragionando sulla stessa falsariga� su cui si erano orientati i nostri antenati pi� di cent'anni fa, nota Laura Spinney, autrice di 1918. L'influenza spagnola: la pandemia che cambi� il mondo (Venezia, Marsilio, 2018). �Finch� non c'� un vaccino, il nostro principale mezzo di protezione � il distanziamento sociale, che era anche il principale mezzo con cui potevano proteggersi allora�. Anche le attuali controversie sulle mascherine hanno un precedente: nel 1919, per esempio, 2000 persone parteciparono a un raduno della �Lega contro le mascherine� di San Francisco. Le ricerche su come la polarizzazione degli schieramenti politici influenza la formazione dei ricordi collettivi sono scarse. Roediger e Wertsch sospettano che un evento che provoca forti divisioni rafforzi la rilevanza del relativo ricordo nei singoli. Ma Wertsch dubita dell'importanza che potr� avere questo effetto nel dar luogo a una coesiva memoria collettiva dell�ultima pandemia: �Il fatto � che il virus non � il personaggio ideale per una narrazione ideale�. Neanche la corsa a sviluppare un vaccino ha grandi probabilit� di dar luogo a una narrazione forte, secondo Wertsch. �Si pu� pensare che emerga una figura eroica di scienziato, come quella di Pasteur nel XIX secolo�, dice. �Ma vale la pena di notare che nella nostra memoria � rimasto appunto Pasteur, non una specifica epidemia�. Tuttavia, con o senza una buona storia COVID-19 sar� documentato assai meglio dell'epidemia di cent'anni fa. � possibile che un'esauriente copertura mediatica rafforzi la memoria collettiva? I media e la memoria visiva Mentre infuriava l'influenza del 1918, in realt� giornali e riviste ne parlarono ampiamente. Meg Spratt, docente di comunicazione all'Universit� di Washington, nota che nel modo in cui fu trattata la pandemia dalla stampa statunitense figur� in misura preponderante un linguaggio �bio-militaresco�. In molti articoli la situazione fu inquadrata come una battaglia tra gli esseri umani (e soprattutto i funzionari governativi) e la malattia. Tuttavia, la stampa pubblic� �molto poco sulle esperienze delle vittime e dei sopravvissuti�, rileva Spratt. Gli articoli davano invece grande rilievo agli esperti e ai rappresentanti dell'autorit�: quasi sempre bianchi e maschi. Spratt ha trovato anche alcune indicazioni di come la Prima guerra mondiale avesse messo in ombra la malattia. �Nell'autunno del 1918, quando le morti per influenza [negli Stati Uniti] superarono quelle dovute alla guerra, il �New York Times� releg� la notizia in un breve articolo in una pagina interna�, ha scritto. Spratt trova un parallelo tra il modo in cui fu trattata l'influenza del 1918 e quello in cui oggi si parla di COVID-19. �Si d� di nuovo grande risalto agli esperti di sanit� pubblica che cercano di tirar fuori qualche tipo di norma o raccomandazione per proteggere la gente�, dice. �Ma oggi � tutto amplificato. Penso che derivi anche dalla diversa tecnologia dei media. Poich� Internet e i social media hanno messo in grado i cittadini comuni di documentare pubblicamente la propria vita durante la pandemia�, prosegue, �ci sar� molto pi� materiale su ci� che la gente ha effettivamente vissuto�. In questo modo, dai racconti di prima mano degli operatori sanitari ai rapporti sulle disparit� razziali e socioeconomiche dell'impatto di COVID-19, il complesso dei media del 2020 sta dando un'immagine pi� completa della pandemia attuale. Anche le fotografie potrebbero contribuire a costruire una memoria collettiva di COVID-19. Le ricerche mostrano che negli esseri umani la memoria visiva � molto pi� forte del ricordo delle parole o delle idee astratte, per cui la maggior diffusione delle immagini pu� costituire la spina dorsale di una memoria collettiva, dice Roediger. La storia � piena di immagini ormai iconiche: le truppe statunitensi che innalzano la bandiera a Iwo Jima, il collasso delle Torri gemelle l'11 settembre, Colin Kaepernick inginocchiato sul campo di gioco durante l'esecuzione dell'inno nazionale. Ma �le fotografie si fermano per lo pi� alla porta della camera del malato, o dell'ospedale�, osserva Spinney. �� uno spazio in cui tendiamo a non entrare�. Poche immagini mostrano i drammatici sintomi - la faccia blu, il sangue che cola dalle orecchie - di cui soffrirono molti di coloro che contrassero l'influenza del 1918. Allo stesso modo, sono poche le immagini forti che potrebbero rafforzare la memoria collettiva delle notizie odierne, che pure parlano di ricoverati in soprannumero negli ospedali, carenze di dispositivi di protezione personale ed elevate perdite di vite umane nelle case di riposo. Anche se non emergeranno immagini memorabili, per�, le persone ricorderanno di sicuro l'effetto di COVID-19 su di s� e sulle loro famiglie. � accaduto anche per l'influenza del 1918: nel 1974, lo storico Richard Collier ha pubblicato un libro che raccoglie i ricordi personali di 1700 persone di tutte le parti del mondo. Ma, come hanno scoperto gli storici, la memoria collettiva conosce alti e bassi, che dipendono dal contesto sociale del tempo. I cicli del ricordo e dell'oblio Non � la prima volta che una nuova pandemia innesca un riesame di quella del 1918. Il XX secolo ha conosciuto altre due pandemie influenzali, nel 1957 e nel 1968. In entrambi i casi, �improvvisamente si ripresenta il ricordo della grande epidemia�, dice Beiner. �La gente inizia a cercare precedenti, e a cercare una cura risolutiva�. Anche durante la grande paura per l'influenza aviaria e quella per l'influenza suina del 2009, le ricerche su Google dedicate alla �influenza Spagnola� ebbero dei picchi in tutto il mondo (anche se neppure paragonabili, in entrambi i casi, a quello del marzo del 2020). E in tutto questo tempo una crescente massa di ricerche storiche ha dato via via corpo alla storia dell'influenza del 1918, ponendo le basi per una significativa ripresa del suo ricordo nella sfera pubblica. Beiner vede nella crisi attuale un punto di svolta per il ricordo della pandemia del 1918 che rester� nella societ�. Nella sua collezione di libri che ne parlano, dice, �nessuno � mai diventato un grande successo, il romanzo che tutti stanno leggendo. Credo che adesso qualcosa potrebbe cambiare�. Beiner prevede che COVID-19 ispirer� un best seller o un grande film centrato sull'epidemia del 1918, un tipo di caso culturale che potrebbe dare un fulcro al discorso pubblico su quell'avvenimento, rinforzando l'attuale ondata di crescita del ricordo nella societ�. Per COVID-19, Beiner si aspetta un andamento analogo, �con successivi alti e bassi del ricordo� nei decenni venturi: �Sar� una storia complicata. E ci sar� sempre una dialettica, con dinamiche di dimenticanza e recupero del ricordo che lavorano in contemporanea, con differenze tra ci� che accade nella sfera pubblica e ci� che resta relegato in quella privata�. Una memoria collettiva pi� forte dell'influenza del 1918 potrebbe anche contribuire a creare lo schema narrativo necessario a mantenere alto il profilo pubblico di COVID-19 dopo la fine dell'attuale pandemia. Se si faranno monumenti, musei e commemorazioni, anch'essi potrebbero dare luogo a una cornice sociale per continuare a parlare della crisi in corso. La New York Historical Society sta gi� raccogliendo materiale legato a COVID-19 per una futura mostra. �Io penso che stavolta l'impatto sar� molto pi� forte perch� ci siamo resi conto che, a livello pubblico, non ci ricordavamo dell'influenza spagnola del 1918�, dice Jos� Sobral, antropologo sociale dell'Universit� di Lisbona. Wertsch ne � meno sicuro: �Nel giro di qualche anno potremmo dimenticarcene�. Sospetta che il modo in cui finir� la pandemia - e se a questa ne seguiranno altre - sar� determinante nel consentire di costruire una narrazione su COVID-19 come parte di una memoria collettiva. �Solo quando sappiamo come va a finire - conclude Wertsch - comprendiamo davvero l'inizio e la parte centrale�. Paese mio che stai sulla collina (di Rossano Pazzagli, �Prometeo� n. 160/22) - La cintura collinare e montana, in progressivo spopolamento, viene considerata un�Italia minore. Questo �Paese dei paesi� � invece una risorsa nazionale da riconsiderare. - La �storia in discesa� � una bella espressione di Italo Calvino che nel lontano 1946 su Il Politecnico di Elio Vittorini descriveva lo spostamento di fette sempre pi� ingenti di popolazione dalle colline alle pianure, dall'entroterra alle coste, dai paesi alle citt� (Calvino, 1946). Lo scrittore si riferiva alla sua Liguria e al declino demografico della montagna a favore della riviera, ma di l� a poco un tale fenomeno avrebbe riguardato tutte le regioni e sarebbe poi diventato una caratteristica di fondo dello squilibrio territoriale italiano, tanto che un paio di decenni pi� tardi il geografo Lucio Gambi, aprendo la einaudiana Storia d'Italia (Gambi, 1972), parlava di �un'imponente alluvione demografica che aveva invaso le fasce litorali�. Poi lo spopolamento � proseguito in forma diffusa nel corso dei decenni successivi, assumendo i caratteri dell'abbandono di parti significative del territorio italiano, prevalentemente collinare e montuoso, generando forme di disagio apparentemente contrapposte, ma convergenti nel determinare fenomeni di degrado accompagnati da un indebolimento della coscienza territoriale: lo spopolamento delle aree interne e l'intensificazione urbanistica e sociale delle citt� e delle coste erano due facce della stessa medaglia. Anche Emilio Sereni ed Enrico Sestini, tra i pi� attenti osservatori del paesaggio italiano tra gli anni Cinquanta e Sessanta, coglievano per tempo la portata di questa grande trasformazione collegata al regresso delle coltivazioni, del pascolo e delle pratiche boschive. Cos� facevano altre figure di intellettuali, poeti, artisti e scrittori, da Mario Soldati o Luciano Bianciardi a Pier Paolo Pasolini. Ma sono state lezioni inascoltate e il processo � andato avanti come se fosse ineluttabile. Nei decenni della crescita demografica nazionale (dai 47 ai 56 milioni di abitanti nel periodo 1950-1980) gran parte dell'Italia si � spopolata. Sembra un paradosso. Per molti territori il boom economico, che fu chiamato addirittura �miracolo�, � stato uno sboom, una grande trasformazione sociale che ha finito per essere anche un fatto culturale e morale, con la competizione al posto della solidariet�, il diffondersi del consumismo, la perdita delle relazioni di vicinato, una pi� rigida e meccanica scansione del tempo, l'affievolimento del rapporto con le stagioni; lo spaesamento diventava il trampolino di lancio verso la cosiddetta societ� del benessere. � come se, nel corso del Novecento, con l'affermarsi del modello industriale e della societ� urbanocentrica, l'Italia fosse scivolata a valle, discesa inesorabilmente verso le pianure e il mare. Il Molise, l'unica regione che ha meno abitanti oggi che al tempo dell'Unit� d'Italia, ha perso il maggior numero di residenti nel ventennio 1951-71 (da 406.823 a 319.807). Nello stesso periodo Fontecchio, piccolo comune in provincia de L'Aquila, � sceso da 1.126 a 499 residenti e poi ai 285 attuali, Montieri in Toscana da 4.664 a 2.593 (oggi 1.177). Potremmo continuare a lungo a snocciolare dati, perch� un andamento simile � riscontrabile nella maggioranza dei Comuni interni, da Carpineti (Reggio Emilia) a Biccari (Foggia), al Nord come al Centro, al Sud e nelle Isole. Si � venuta cos� formando una vasta periferia territoriale, fatta di campagne e di paesi, che nel suo insieme chiamiamo aree interne (Marchetti, Panunzi, Pazzagli, 2016). �Aree interne� non � un'espressione geografica, ma piuttosto una condizione esistenziale dei luoghi: si chiamano cos� quei territori che sono stati dimenticati, trascurati, in qualche modo abbandonati e marginalizzati; appunto, una condizione. Si pu� essere interni anche stando vicino al mare, se abbiamo perso la consapevolezza di quello che possediamo, cio� la consapevolezza del patrimonio e dei suoi valori e soprattutto se ci troviamo pi� lontani dai servizi e dalle opportunit�, cio� dai diritti. Oggi sono definite anche normativamente dalla cosiddetta Snai, la Strategia nazionale aree interne, riguardante non solo l'Italia appenninica, che sorregge il Paese come fosse la sua spina dorsale, ma un insieme di paesi, boschi e campagne che sfiorano anche le coste di questa Italia lunga e stretta, montuosa e circondata dal mare. Si tratta di zone che hanno sub�to lo spopolamento e l'abbandono, vittime sacrificali di un modello di sviluppo che ha privilegiato le citt�, le coste e le poche pianure, che sono diventate l'immagine sfocata di un'Italia lontana (Lucatelli, Luisi, Tantillo, 2021). In quel vasto territorio (pi� del 60%) si � attivato un circolo vizioso secondo cui la perdita di popolazione � stata assunta come giustificazione dello smantellamento o dell'allontanamento dei servizi, e questo ha alimentato a sua volta lo spopolamento e l'abbandono. Si � trattato di un aspetto nazionale del �grande saccheggio� o della �miseria dello sviluppo� (Bevilacqua, 2008). A tutto ci� si contrappone oggi la necessit� di riabitare l'Italia, la sua parte dimenticata e delusa (De Rossi). I paesi, come il paesaggio, sono lo specchio di questo declino e di questa necessit� di rinascita, di un'Italia che scendeva mentre il Paese nel suo complesso saliva. �Tutti al centro!� era il motto da seguire. Il risultato � stato uno sviluppo squilibrato che alla lunga ha finito per creare un doppio danno: lass� gli effetti negativi dell'abbandono; quaggi� le conseguenze dell'eccessiva antropizzazione: l'inquinamento, la cementificazione, il traffico, lo stress della vita metropolitana. Agli inizi del XXI secolo, in questa Italia dei margini si sono toccati gli effetti estremi del generalizzato declino delle aree rurali e montane; uno squilibrio che va ben oltre la tradizionale visione dualistica Nord/Sud e contrassegnato da disuguaglianze crescenti tra citt� e campagna, tra montagna e pianura, tra le coste e l'entroterra. Ad una lettura pi� attenta ci rendiamo conto che in Italia non esiste soltanto la questione ambientale, che investe ormai l'intero pianeta, ma anche una grave questione territoriale. Abbiamo seguito un percorso di sviluppo polarizzante in un Paese strutturalmente e storicamente policentrico; e ci� non poteva che generare squilibrio, disparit� territoriali che sono diventate inevitabilmente anche disuguaglianze sociali. Tutto perduto, dunque? Dobbiamo inchinarci all'ineluttabile deriva dei paesi e alla semplificazione del paesaggio? No, dovremmo piuttosto smettere di misurare le zone rurali, le aree interne, i paesi e le campagne, che costituiscono la parte pi� estesa del Paese, con gli stessi parametri del modello che li ha marginalizzati; smettere di misurarli e classificarli per ci� che manca anzich� per quello che c'�. La crescita economica � cosa ben diversa dallo sviluppo umano. Anzi l'esperienza storica contemporanea dimostra che i fini della crescita si stanno progressivamente allontanando dal benessere sociale degli individui e della collettivit�. I luoghi devono essere considerati nella misura, e la misura deve essere adatta ai territori, altrimenti � perfino inutile tradurre tutto in numeri: sapremmo gi� in anticipo che lontano dai poli urbani troveremo solo arretratezza, isolamento, sottosviluppo. E che altro dovremmo trovare, se andiamo a cercarvi quello che non c'�? La cosa non � di secondaria importanza, perch� se si sbagliano i conti e la misura, poi si sbagliano anche le politiche. Cos� la marginalizzazione continua: una gran parte del territorio italiano, bella e piena di risorse culturali e ambientali, continuer� a restare senza voce, condannata a perdere abitanti, servizi, attivit� produttive e dignit� sociale. Dovremmo invece cominciare col domandarci cosa � rimasto lass�, nelle terre divenute marginali e nella vasta Italia collinare e montana, rurale, boschiva, pascolativa e piena di paesi: non il niente, n� il vuoto; non solo la vulnerabilit� di un territorio fragile; non soltanto la desolazione e l'isolamento, ma anche un insieme di risorse di cui le aree centrali non dispongono e non possono disporre, tra cui i cosiddetti servizi ecosistemici; forse rimangono l�, pi� o meno nascosti, anche i germi di una rinascita territoriale e morale del Paese. � rimasta, in primo luogo, una rete essenziale dalla quale si pu� ripartire: quella dei paesi, dei villaggi e delle contrade che da Nord a Sud popolano l'Italia fin nelle valli pi� strette e sui pi� impervi crinali. L'Italia come rete di paesi, dunque, su uno sfondo che � quello del paesaggio. Serve un punto di vista che riannodi i fili tra l'Italia dei margini, le aree interne e le citt�: un Paese di paesi, possiamo dire giocando sull'ambivalenza del termine (Pazzagli, 2021). Non si tratta solo degli oltre 5-mila capoluoghi di piccoli comuni (praticamente quasi il 70 per cento dei comuni italiani), ma di migliaia e migliaia di villaggi, contrade, nuclei abitati svettanti sui colli o aggrappati alle pendici dei monti; �paesi che sembrano rocce e rocce che sembrano paesi�, scrisse un autore molisano a proposito dei centri abitati della sua terra (Petrocelli, 1984). Una simbiosi, in quel caso, espressa anche nei toponimi: Pietrabbondante, Pietracatella, Pietracupa, Campo di Pietra, Petrella, Castelpetroso e cos� via. Le tematiche dei paesi e della cosiddetta Italia minore o interna sono molto attuali, spesso racchiusi nella dilagante retorica del piccolo � bello, del �borgo� come rifugio o come terra promessa. Al termine �borgo�, cos� abusato sia nella comunicazione che in politica, dobbiamo preferire sempre quello di �paese�. Anche nel linguaggio comune, dal Nord al Sud di questa Italia incompresa e scarsamente rappresentata, quando si vuole indicare il luogo dove si nasce, dove si torna o dove si resta, si dice �paese�, non �borgo�: vado in paese, torno al paese, eccetera. Il borgo riguarda soprattutto la dimensione urbanistica, definisce pi� il contenitore che il contenuto; � una parte, non il tutto, mentre il termine �paese� rimanda alla comunit�, all'insieme di relazioni e funzioni che includono le persone, le loro attivit�, i loro sentimenti (Barbera, Cersosimo, De Rossi, 2022). La rinascita richiede un lavoro culturale, inteso come iniziative, progetti, manifestazioni, pratiche, ma soprattutto come messa in valore del patrimonio territoriale, di cui i beni culturali, il paesaggio, i prodotti e l'insieme dei servizi ecosistemici costituiscono gli ingredienti di rilievo. Seguendo una linea che va dalla deriva alla rinascita possibile, sullo sfondo della storia italiana dell'ultimo secolo, i paesi emergono come i nodi nevralgici del patrimonio territoriale, vittime dell'abbandono, ma anche laboratori di rinascita nell'orizzonte incerto della societ� contemporanea, fattosi pi� cupo con la pandemia da Covid19, che ha reso pi� evidenti gli squilibri e le contraddizioni del modello di sviluppo, pi� impellente la necessit� di un cambiamento e di un riequilibrio. Il primo passo � la conoscenza del territorio, la sua rilettura in termini di vocazioni e di risorse; il secondo � la traduzione di questa conoscenza in coscienza di luogo, concepita come elemento necessario, insieme alle politiche, per la rivitalizzazione di una parte estesa del Paese e per riabitare i paesi. In questo modo, entro l'orizzonte critico della societ� contemporanea, i paesi e le campagne si configurano come luoghi pi� sani e ambiti privilegiati per nuove forme di economia e per un pi� corretto rapporto tra uomo e ambiente. I paesi sono comunit�, dicevamo, ed esprimono il bisogno di ricostruire relazioni col territorio come base di un ritrovato senso di comunit�. Per questo occorre ridare valore all'agricoltura, all'allevamento e all'artigianato, secondo metodologie e approcci incentrati sulle filiere corte del cibo e pi� in generale sui circuiti di produzione-consumo, sulla gestione collettiva dei beni comuni, sulle microimprese cooperative, sull'accoglienza, sperimentando modelli che assumano la solidariet� al posto della competizione, in un quadro di politiche differenziate che a partire dalla fiscalit� e dai servizi favoriscano condizioni di uguaglianza: scuola, sanit� e trasporti in primis. � la via per scongiurare una definitiva perdita del paese e per sfuggire ai rischi della colonizzazione culturale e dello snaturamento, che finirebbero per sostituirsi all'abbandono, allo spopolamento e allo spaesamento, o per accompagnarli. Se invertiamo la vista, guardando l'Italia non pi� soltanto dalle grandi citt� - Roma, Milano, Napoli - o da un centro che osserva e governa le sue periferie, ma dai monti del Molise o dalle colline della Toscana, come da un qualsiasi altro paese della penisola, dalla Sicilia al Piemonte e al Friuli, dalle sue campagne e dai suoi mille e mille borghi rurali tornati paesi, ci sembrer� di intravedere un Paese diverso, scorgendo equivoci, paradossi, dialoghi spezzati, ma anche una ricchezza celata dall'abbandono. Al di l� delle siepi disfatte, nei campi invasi dai rovi, dietro le finestre chiuse e gli intonaci cadenti, � possibile ritrovare valori e tradizioni non ancora spente del tutto, che non appaiano pi� soltanto tracce di passato, ma che divengano utili per il processo di rinascita delle comunit� rurali come componenti significative della societ� e del territorio. Paesi come laboratori di futuro, dunque, per mettere a nudo le contraddizioni di uno sviluppo squilibrato, proponendo una lettura delle potenzialit� delle aree interne italiane in chiave territorialista, rimettendo al centro il territorio e cercando di indicare nuovi sentieri nei paesi antichi. Scandalosa Colette (di Silvia B�chi, �Focus Storia� n. 196/23) - La scrittrice pi� amata di Francia visse senza freni, infrangendo le regole di rispettabilit� della sua epoca. Ma il talento fu pi� forte delle convenzioni. - Viso triangolare, capelli lunghi fino alle caviglie (a un certo punto sacrificati alla modernit� di un taglio da paggio), occhi verdi-azzurri come quelli dei suoi adorati gatti... Sidonie Gabrielle Colette (1873-1954), per tutti semplicemente Colette, fra i suoi numerosi doni aveva anche la bellezza. Scrittrice raffinata e prolifica (un'ottantina i titoli pubblicati), attrice e ballerina, giornalista, autrice e critica teatrale, in alcuni momenti della vita anche estetista e commerciante... Il tutto in anni in cui le donne dovevano strappare con le unghie e con i denti il diritto di lavorare. Lei lo fece, e and� oltre. Raggiunse fama e successo da viva (ricevette il titolo di grand'ufficale della Legion d'Onore e fu eletta all'Accademia Goncourt) grazie a un talento letterario fuori dal comune che fece accettare la sua vita erotico-sentimentale spregiudicata, giocata fra tre mariti e numerosi amanti di ambo i sessi. Colette crebbe nella provincia francese, in una famiglia affettuosa e stimolante. La madre, Sidonie Landoy (detta Sido), era una splendida donna di ampie vedute che insegn� alla figlia a osservare e amare la natura: �Avrebbe voluto la giungla vergine, ma si limitava alla rondine, al gatto e alle vespe, al grosso ragno ritto sulla sua ruota di trina argentata dalla notte� ricorder� pi� tardi la stessa Colette. Dalla madre impar� a suonare il pianoforte e a divorare libri: a sei anni gi� leggeva Honor� de Balzac, Alphonse Daudet e Prosper M�rim�e. Tra loro c'era un legame forte che rimase sempre vivo, ovunque Colette si trovasse, e che divenne ancora pi� intenso quando un grave dissesto economico sconvolse la famiglia. A soli 18 anni Colette si lasci� l'infanzia alle spalle per infilarsi in un matrimonio con un uomo pi� grande di lei di 14 anni. Si chiamava Henry Gauthier-Villars, meglio conosciuto come Willy, ed era il rampollo di una famiglia molto nota a Parigi. Non si sa esattamente a che et� Colette lo conobbe, prima come amico di famiglia e poi come innamorato. Di sicuro ci fu un incontro a Parigi nel 1891 che permise loro di chiarire i reciproci sentimenti. Dopo due anni di fidanzamento si sposarono. Era il maggio del 1893 e non avevano un soldo in tasca: i genitori di Willy, infatti, non approvavano il matrimonio con una ragazza di una posizione sociale inferiore alla loro. Willy divenne il suo mentore, le fece scoprire una Parigi mondana, di circoli musicali, letterari e boh�mien e la introdusse alla scrittura. Willy era editore, pubblicitario, giornalista satirico e di costume, feroce critico musicale. Coordinava, all'interno di una sorta di officina letteraria, il lavoro di un nutrito gruppo di letterati emergenti, detti �gli schiavi�, pagati pochissimo e privati persino del diritto di firmare gli articoli con il proprio nome. Intanto Colette, innamoratissima, scriveva nel suo diario: �N� il dubbio, n� la malinconia, anche pi� soave, sfiorarono quella notte trionfante e solitaria, cinta di glicini e di rose�. Notte trionfante ma crudele: molto presto Colette si accorger� di avere sposato un incorreggibile donnaiolo. L'appartamento di rue Jacob, che comprendeva anche la redazione, si poteva a malapena definire casa: un cortile triste, una scala grande e fredda e una cucina sul pianerottolo davanti al loro ingresso. Colette era spesso sola e passava intere giornate in compagnia dei suoi gatti, delle lettere di Sido e di qualche libro: �Ecco la mia giovinezza incredibilmente spenta�, scriveva. La sera Willy pretendeva che sua moglie rimanesse ad aspettare per buona parte della notte in un angolo della redazione, �cascando dal sonno, disgustata e annoiata a morte in quelle vecchie sale di redazione, dove tutti erano scontenti�. Ma la triste vita boh�mienne a volte era attraversata da qualche lampo sul mondo: nell'ambiente musicale e in quello letterario i salotti erano vitali per le pubbliche relazioni e Willy era onnipresente. Colette per� non si sentiva a suo agio a quelle cene: �Ero ben consapevole che in quell'ambiente venivo tollerata solo come moglie di Willy, uno strano animaletto con strascichi campagnoli, paralizzato dalla timidezza. Vedevano solo lui. Se mi guardavano un istante, credo fosse per compiangermi. Mi facevano capire chiaramente che, senza di lui, io non esistevo�. A questo disagio si aggiunse, a due anni dal matrimonio, la depressione. Troppo dolorosa la scoperta dei tradimenti del marito e troppo debilitante la malattia venerea che la fece soffrire a lungo. Per essere un abile talent scout e un frequentatore di salotti letterari, Willy fu piuttosto lento nel capire che un vero talento della scrittura gli dormiva a fianco. E quando finalmente scopr� le doti della moglie non ci pens� due volte a �ingaggiarla� nel suo circolo di letterati-schiavi. La convinse a immergersi nella scrittura e presto nacque il libro Claudine a scuola. Peccato che usc� con la firma di Willy. Di fatto, Colette divenne la ghostwriter del marito e tre su quattro libri della serie che aveva Claudine come protagonista furono firmati soltanto da lui. I romanzi della serie (quattro in tutto) si ispiravano alla vita della stessa Colette, resa in chiave piuttosto maliziosa, e il primo libro fu un trionfo (ma non per la vera autrice, rimasta nell'ombra). Willy aveva scoperto una miniera d'oro e mise la moglie al lavoro in condizioni infinitamente pi� dure di quelle imposte agli altri impiegati. Lo studio in cui era costretta a scrivere divenne presto per Colette una prigione: �Il rumore della chiave che Willy girava nella toppa, la libert� restituita dopo quattro ore di lavoro��, scriver� in seguito. Nel 1901 l'apprendista venne finalmente promossa operaia. �Da quel momento�, spiega la scrittrice francese e docente di letteratura Mich�le Sarde, che a Colette ha dedicato una biografia di riferimento, �Colette rinunci� a fare la sposina sottomessa e sacrificata; esigeva, lottava, e fin� per ottenere�. Il 1906 fu l'anno della separazione della coppia. Infedele lui, nauseata dai tradimenti lei, ma anche sempre pi� attratta dall'amore saffico, conosciuto grazie alla ricchissima Mathilde de Morny, detta Missy, figlia del duca di Morny, che amava vestirsi in abiti maschili. Colette abbandon� - non senza dolore - la casa familiare e si trasfer� in rue Villejust 44. Ma gi� dall'estate 1906 le due amanti si erano trasferite nella villa di Missy, la Belle Plage a Le Crotoy, dove Colette scrisse La vagabonda. Per guadagnarsi da vivere decise di allargare i suoi orizzonti e, dal 1907 al 1912, si tuff� nel mondo del music-hall esibendosi in audaci performance in cui appariva quasi nuda. Non solo, il 3 gennaio 1907 Colette e Missy crearono una pantomima dal titolo Sogno d'Egitto al Moulin Rouge, nella quale Missy diede scandalo nel ruolo di un egittologo che dava un bacio lesbico in una scena d'amore. Da quel momento, le due si fecero vedere sempre meno in pubblico e la carriera di Colette nello spettacolo fin� con la loro relazione, nel 1912. Quell'anno Colette convol� a nozze per la seconda volta, con Henry de Jouvenel, giornalista del quotidiano Le Matin che aveva gi� due figli: Bertrand, nato da un precedente matrimonio, e Renaud, frutto di una relazione con la contessa Isabelle de Comminges. Nel 1913 dalla nuova coppia nacque una bimba, Colette de Jouvenel, da tutti chiamata Bel-Gazou: una figlia non voluta, che venne ben presto sistemata in un castello del marito sotto la vigilanza di una bambinaia inglese. Quando poi venne il momento di andare a scuola, Bel-Gazou fu mandata al collegio di Saint-Germain-en-Laye, rimanendovi per tutta la durata delle scuole. In pratica, la ragazza vedeva sua madre soltanto in estate, al mare e per appena un mese. Un distacco, fisico ed emotivo, che Bel-Gazou non perdon� mai. Quando scoppi� il primo conflitto mondiale Colette, gi� redattrice a Le Matin, part� per il fronte seguendo il marito. La scrittrice affront� il racconto della guerra osservando la vita che cambiava attorno a lei, nelle case, nelle vie e nelle piazze, ma anche dove si moriva negli ospedali militari: �Un giovane smilzo biondo, amputato della gamba da quattro giorni, � coricato, a braccia aperte, e nel suo sonno sembra aver rinunciato alla vita. Un uomo barbuto, le braccia ingessate, cerca sospirando la posizione meno dolorosa. Quell'altro, la gola bendata, rantola quasi soffocandosi. [...] Eccoli i prodi, vinti alla lunga dal sonno. E miseri come sono, si sveglieranno? S�, si sveglieranno! Non appena i passerotti cantano sul prato imbiancato dal gelo, gli otto feriti saluteranno anch'essi l'alba rossastra, con un grido pi� vivo, un sospiro pi� alto e una bestemmia soffocata in cui riaffiorano, ancora, la vita e il sorriso�. Alla fine della guerra Henry de Jouvenel era cambiato, si era dato alla politica e ormai marito e moglie si vedevano raramente. E quando questo avveniva, era solo per litigare. Henry la tradiva e Colette pens� bene di dare il colpo di grazia al loro matrimonio �aiutando� il timidissimo figliastro Bertrand (diciassettenne) a �diventare uomo�. Questo episodio della sua vita ispir� nel 1923 lo scabroso romanzo Il grano in erba, ma fin� anche per accelerare il divorzio, che avvenne quello stesso anno. �Com'� difficile vivere sola�, annotava la scrittrice, dopo che anche Bertrand era scomparso dalla sua vita. Ma nell'aprile del 1925, grazie a un'amica comune, Colette conobbe l'uomo che sarebbe diventato il suo compagno di vita per dieci anni e sposo dal 1935: Maurice Goudeket. Di 16 anni pi� giovane, Maurice era colto, elegante e aveva letto tutti i libri di Colette. Ai suoi genitori, Maurice aveva annunciato: �Sposer� quella donna, � la sola che pu� capirmi�. A causa della Seconda guerra mondiale, rimasero a lungo lontani, con Colette sconvolta per i rischi che lui correva (era di origini ebraiche) e l'angoscia per le notizie che trapelavano sugli orrori dei campi di sterminio nazisti. �Il cammino interiore di Colette�, spiega ancora Mich�le Sarde, �si confonde sempre di meno con la vita. Alle soglie della vecchiaia comincia un lavoro di distacco dal presente: dopo i cinquant'anni i suoi scritti segnano una rottura e testimoniano la lenta trasformazione che la porta a rivolgersi al passato�. Dal 1938 Colette abitava al primo piano del Palais Royal, da cui godeva di una splendida vista sui giardini. L'amico Jean Cocteau ogni tanto passava a salutarla e il marito Maurice le stava sempre accanto. Da tempo le avevano diagnosticato un'artrite implacabile, che la accompagner� fino alla morte, avvenuta a 81 anni il 3 agosto 1954. I suoi furono funerali di Stato, con tanto di bandiera tricolore, nel cortile del Palais Royal: chiss� cosa avrebbe pensato di tutti quegli onori, lei che aveva dichiarato: �La morte non mi interessa, nemmeno la mia�. Instancabile scrittrice Colette fu una scrittrice prolifica, che nella sua lunga carriera produsse circa 80 volumi tra romanzi e racconti. In ognuno di questi inser� qualcosa del proprio vissuto e del mondo che la circondava. Nel 1900 dalla sua penna usc� il romanzo Claudine a scuola, che vendette 40-mila copie in due mesi, seguito da altri tre volumi: Claudine a Parigi, Claudine sposata, Claudine se ne va. Ogni libro continuava la stessa vicenda, come in una serie televisiva. Nel primo libro si racconta di una ragazzina, negli altri di una donna che vive le diverse fasi della vita. Ne La vagabonda, uscito nel 1910, Colette sembra invece rispecchiarsi in Ren�e Ner�, la protagonista. Il romanzo � la celebrazione della rinuncia all'uomo, al matrimonio, alla sicurezza, al calore di un focolare domestico, in nome della libert�. Ch�ri, scritto nel 1920, � considerato il capolavoro di Colette, il primo dei libri che l'hanno resa celebre. � l'affresco stupendo di un'epoca e di un ambiente, ma anche una sottilissima e spietata indagine psicologica e sociale. Nel 1923 inizi� la pubblicazione a puntate del romanzo Il grano in erba, incentrato sulla scoperta della sessualit� di due adolescenti. L'editore sospese per� le pubblicazioni a causa del tema scabroso. Un'aura di scandalo circond� questo titolo, quasi subito uscito in volume e destinato a diventare il pi� popolare di Colette, ispirando anche diversi film. Una figlia impegnata Bel-Gazou aveva solo 18 anni quando, nel 1931, finiti gli studi, divenne assistente di Jeanne Roques, detta Musidora, regista de La Vagabonde, film tratto dal romanzo di sua madre Colette. Riusc� a inserirsi nel business del cinema, ma quando ci prov� con la Paramount non ebbe successo perch� la casa di produzione americana non accettava assistenti alla regia donne. La ragazza lasci� allora tutto trasferendosi nella Guinea francese. Nel 1935 sia Bel-Gazou sia sua madre si sposarono, nello stesso giorno: Colette era alle terze nozze, con Maurice Goudeket, la figlia si un� al medico Denis Dausse, ma il matrimonio dur� pochi mesi. Quando, nell'ottobre dello stesso anno, mor� il padre della ragazza, Henry de Jouvenel, tra madre e figlia, gi� in rapporti difficili, cal� il silenzio. Un relativo riavvicinamento ci fu solo alla fine, quando Bel-Gazou si altern� al capezzale della madre morente con Maurice e la governante Pauline. Bel-Gazou ebbe una vita impegnata: prima durante la Resistenza contro il nazismo e il fascismo, poi in campagne femministe e sociali. Morta nel 1981, riposa vicino alla madre, nel cimitero parigino del P�re-Lachaise.