Aprile 2022n. 4 Anno VII Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice Menzogne, fake news, post-verit� Giordano Bruno: il furore della scienza La donna che salv� il cinema Menzogne, fake news, post-verit� (di Diego Ingrassia e Massimo Berlingozzi �Psicologia contemporanea� n. 282/22) - In un mondo che non risulta sempre interessato ad accertare e diffondere la verit� su un tema, ci sono tecniche per leggere i segnali corporei di chi mente. - Per molto tempo abbiamo creduto che le bugie avessero le �gambe corte� e che, per questa ragione, faticassero ad andare lontano. Almeno cos� c'insegnavano i nostri genitori. La verit�, magari lentamente, arrivava sempre. Era una morale chiara, capace d'indicare ci� che era giusto, legata a un'antica novella di Fedro di cui forse si era persa l'origine. A tutti invece era familiare il nome di Collodi e del suo Pinocchio: quel naso che si allungava quando diceva le bugie ci trasmetteva infatti la stessa morale. Questa visione non rappresentava, per�, tutta la verit�. Qualche anno dopo, ancora sui banchi di scuola, un altro straordinario racconto ci avrebbe fatto conoscere l'uso astuto e strategico della menzogna. L'Odissea, il viaggio di Ulisse di ritorno dalla guerra di Troia, � costellata infatti di innumerevoli situazioni di questo tipo, a partire dallo stratagemma del cavallo di Troia, sino alla fuga dalla dimora di Polifemo. Ma in un caso il tema della menzogna viene affrontato in modo esplicito, quando Ulisse, finalmente rientrato ad Itaca, mente sulle proprie origini raccontando a un pastorello di essere un cretese in fuga. Sotto le spoglie del giovane ascoltatore si cela in realt� la dea Atena, sua protettrice, la quale, dopo aver ascoltato il racconto, gli dice: �Sei un meraviglioso bugiardo, se non conoscessi la verit�, ti avrei creduto�. Post-truth Da Omero a Collodi, la storia della menzogna sembra attraversare un arco di tempo che sfiora i tremila anni, senza perdere nulla della sua forza e del suo fascino. Un tempo durante il quale tuttavia, indipendentemente dai fatti, dai loro esiti e dalla morale conseguente, nessuno avrebbe mai pensato di infrangere il confine che separava la menzogna dalla verit�. Confondere le acque non era consentito. Poteva esserci disaccordo nell'interpretazione dei fatti, certo, ma non nella definizione dei due grandi spartiacque: la verit� stava da una parte, la menzogna dall'altra, e non vi erano dubbi riguardo a dove fosse giusto stare: �Non uscire da te stesso, rientra in te stesso: nell'intimo dell'uomo risiede la verit�, afferma sant'Agostino. Siamo certi di poter affermare oggi la stessa cosa, nell'�ra che qualcuno ha definito della post-verit�? Credo che a molti questa definizione risulti ancora volutamente forzata o strumentale, eppure, limitandoci ai dati, basterebbe citare il serissimo Oxford Dictionary che elegge il termine �post-truth� come parola dell'anno nel 2016, per comprenderne l'importanza. Il suo primo uso risale al 1992, quando compare in un articolo scritto dal drammaturgo serboamericano Steve Tesich sulla rivista The Nation, in cui l'autore, analizzando le reazioni dell'opinione pubblica durante la prima guerra del Golfo, affermava: �Abbiamo liberamente scelto di voler vivere in una specie di mondo post-verit�. Lee McIntyre, ricercatore in filosofia e storia della scienza a Boston e autore di Post-truth, recentemente tradotto anche in Italia, definisce la post-verit� come �un contesto in cui l'ideologia ha la meglio sulla realt� perch� quale sia la verit� interessa poco o niente�. Ci� che distingue quindi il concetto di post-verit� da quello di menzogna � che nel primo caso chi mente cerca di convincere il suo interlocutore della veridicit� di quanto dice, mentre nella post-verit� ci� diventa irrilevante. Creare disinformazione, attraverso fake news, risulta a questo punto una pratica efficace, perch� chi le riceve preferisce credere, acriticamente, nelle cose che si accordano con le proprie opinioni. Se ci si interroga sull'origine del fenomeno, � importante cercare di comprendere le sue caratteristiche peculiari, poich� chiaramente la menzogna, come abbiamo visto, � antica quanto la storia dell'uomo, e non solo, dal momento che gli etologi riconoscono tale capacit� negli animali pi� evoluti, capaci di mettere in atto sofisticati trucchi per raggiungere i loro scopi. Di �fake news� si parla ormai da diversi anni, ma l'uso di questa espressione � diventato pratica comune nel linguaggio giornalistico dopo l'elezione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in occasione delle campagne di attacco verso i media a lui ostili. Altro dato importante da rilevare, la comparsa dei social media e la loro enorme e facile diffusione dopo l'avvento degli smartphone, che ha fatto assumere a tali fenomeni dimensioni sino a pochi anni fa difficilmente immaginabili. La verit�, un relitto del passato? Fake news e post-verit� sono evidentemente due concetti intimamente legati, e la loro caratteristica distintiva, rispetto all'idea di menzogna in quanto tale, � rappresentata dalla dimensione sociale del fenomeno e dalla sua diffusione nel mondo dei media. Ripensando dunque a quell'antico valore, sapientemente trasmesso dalla favola di Pinocchio, c'� da chiedersi se non ci troviamo di fronte a un mutamento dell'etica pubblica. Marco Biffi, in un articolo dedicato al tema, pubblicato sul sito dell'Accademia della Crusca, si chiede, non senza una certa malizia, se la post-verit� non si risolva nella �verit� dei post�, facendo comprendere quanto il fenomeno dei social media abbia inciso in questi mutamenti. Il web � lo spazio virtuale che, attraverso le caratteristiche tipiche delle tecnologie digitali in fatto di facilit� di accesso e di velocit� di diffusione, ha reso possibile la nascita di un fenomeno pervasivo, di grande impatto sociale e per sua natura difficilmente controllabile. Il cosiddetto �factchecking� (verifica dei fatti) � l'antidoto che a partire dai primi anni Duemila si � attuato per cercare di contrastare il fenomeno; sono molti ormai i siti specializzati in questo tipo di attivit�, promossa anche da diverse testate giornalistiche. Si tratta di un'attivit� meritoria e importante che manifesta tuttavia anche evidenti limiti. Il primo � che richiede tempo e voglia da dedicare alla lettura dei dati e delle analisi da mettere a confronto. A ci� si aggiunge la naturale resistenza al cambiamento di chi privilegia una conferma, quasi sempre �emotivamente calda�, delle proprie opinioni, mentre le verifiche sono, per loro natura, pi� fredde e analitiche. Ma l'aspetto pi� difficile da contrastare � la �potenza di fuoco� delle false informazioni, diffusamente e spontaneamente rilanciate. Contrariamente all'antica censura, la post-verit� non nasconde, non taglia, adotta invece l'astuto stratagemma di �spegnere il fuoco aggiungendo la legna�. In sintesi, siamo molto pi� vicini a Il mondo nuovo di Huxley che a 1984 di Orwell. Vicende molto note come quella dei 350 milioni di sterline alla settimana versati alla Unione Europea, stampati sulle fiancate degli autobus, che sarebbero potuti ritornare nelle casse del sistema sanitario nazionale britannico oppure le insinuazioni che mettevano in dubbio la cittadinanza americana di Barack Obama sono l'esempio di notizie false perfettamente confutabili a livello potenziale, ma capaci di influenzare la scelta di milioni di elettori, nel caso della Brexit e dell'elezione di Donald Trump. Anche la recente pandemia da Covid-19 ha messo in luce molti di questi aspetti, uno scenario dove proprio sul terreno dei social si � riversato un fiume di informazioni non sempre facili da verificare, se si tiene conto dei dati pubblicati dall'Autorit� per le Garanzie nelle Comunicazioni, secondo i quali, su 16000 nuovi domini Internet registrati dedicati al Coronavirus, il 20% aveva finalit� malevole. In tal caso, pure gli interventi dei cosiddetti esperti non hanno sempre aiutato a fare chiarezza, alimentando opinioni contrastanti che hanno generato polemiche non ancora del tutto sopite. Aspetto comprensibile quando si confrontano opinioni diverse, non accettabile quando, per confermare le proprie tesi, si nascondono o si deformano i dati. Ma questo, probabilmente, � un male antico, se � vero che Hegel, informato della scoperta di un settimo pianeta dopo averne teorizzati sei, ebbe a dire: �Se i fatti non coincidono con la teoria, tanto peggio per i fatti�. L'idea di verit� � dunque malata, e lo � da molto tempo? Probabilmente s�, se pensiamo che solo un sistema ideologico forte � capace di garantirne la piena integrit�. Ma quello a cui assistiamo oggi � qualcosa di diverso, una sorta di �evaporazione� del concetto di verit�, un indebolimento della sua forza morale. La Rete, nata in origine come luogo di libert�, di accesso alla piena informazione, di potenziale culla di una matura democrazia, col tempo ha mutato le sue forme producendo effetti per molti versi inaspettati. Ormai si � compreso assai bene il ruolo degli algoritmi nel filtrare le informazioni (filter bubble): quello che si genera � un processo automatico che crea un mondo di idee che confermano i nostri gusti e i nostri preconcetti. Un mondo virtuale rassicurante e accogliente a sostegno della nostra visione del mondo. Vittima principale: il pensiero critico. La valutazione della credibilit� e l'importanza del pensiero critico Se nel mondo delle informazioni la possibilit� di scoprire la verit� � affidata a un'attenta analisi e al confronto di tutti i dati disponibili, sul piano dell'interazione personale scoprire le menzogne - o meglio, valutare la credibilit� di un nostro interlocutore - � una competenza che pu� essere sviluppata acquisendo consapevolezza, a diversi livelli, della nostra capacit� di osservazione e di ascolto. Anche perch� gli esseri umani non si rivelano particolarmente abili nel riconoscere le menzogne: alcune ricerche hanno dimostrato che persino agenti di polizia esperti, quando basano la loro valutazione sull'osservazione del comportamento, sono in grado di smascherare un bugiardo solamente una volta su due, con percentuali quindi che non si discostano da quelle relative all'affidarsi al caso. La causa principale di questi scarsi risultati risiede nella mancanza di un metodo attendibile. Gli errori pi� comuni sono infatti da attribuire a una tecnica approssimativa nel porre le domande e nella ricerca di segnali a livello della comunicazione non verbale ritenuti inequivocabili: �Se non ti guarda negli occhi, allora mente�, �Si lecca le labbra, allora � in ansia�, �Incrocia le braccia, � insicuro, vuole proteggersi da te� ecc. Purtroppo, nella vita reale non esiste il �naso di Pinocchio�, nessun singolo gesto o segnale di comunicazione non verbale equivale in s� a un significato preciso. Questo modo di procedere � metodologicamente sbagliato e rappresenta una delle principali cause di errore. Un'ulteriore riflessione indispensabile riguarda la filosofia d'approccio del nostro ipotetico �cacciatore di menzogne�. Perch� quando l'osservazione del comportamento si limita alla ricerca di quei segnali che confermerebbero che il nostro interlocutore sta mentendo, il rischio di esporsi al noto fenomeno della �profezia che si autoavvera� diventa molto alto. La valutazione della credibilit� non richiede solo un metodo, che ora andremo brevemente a illustrare, ha bisogno di un atteggiamento di base caratterizzato da una mente aperta che utilizza il pensiero critico come strumento al servizio della conoscenza, teso a comprendere una realt� che, per sua natura, � mutevole e complessa. Attraverso gli studi di Paul Ekman � nata una metodologia scientifica a sostegno della valutazione della credibilit� (ETaC, Evaluating Truthfulness and Credibility) che permette di analizzare con precisione i segnali provenienti da tutti i canali espressivi coinvolti. L'impiego di queste conoscenze trova spazio nel mondo giudiziario, nel campo della sicurezza e in ambito aziendale nelle attivit� di selezione del personale e in altre attivit� di tipo valutativo. La tecnica in questione abbina l'uso di domande mirate all'osservazione di 6 differenti canali: - le espressioni e le micro espressioni facciali; - il linguaggio del corpo (reazioni posturali, gesti, prossemica e aptica); - i cambiamenti nella voce (timbro, frequenza, ritmo ecc�); - lo stile verbale (pause, cambio di pronomi, modi di dire, �slang� ecc.); - il contenuto verbale (resoconto narrativo dell'interlocutore); - il sistema nervoso autonomo (riflessi; reazioni neuro-fisiologiche; stati neuro-vegetativi). La sola osservazione di questi 6 canali, infatti, non fornisce ancora la prova che una persona sta mentendo. Oltre al confronto con lo stile naturale della persona � fondamentale considerare l'importanza delle domande, perch� anche se siamo capaci di rilevare con precisione un cambiamento nel comportamento della persona o una determinata emozione non potremo mai sapere perch� ci� avviene. L'importanza della memoria � importante al riguardo soffermarsi sulla definizione che Ekman attribuisce al concetto di verit�: �Un tentativo sincero di fornire un'informazione accurata�. Una definizione che racchiude un presupposto di buona fede, ma anche un elemento di incertezza legato al ruolo della memoria in questo processo. Eventi fortemente emotivi possono infatti produrre importanti alterazioni nel meccanismo della memoria. Conoscere come funziona la memoria risulta quindi determinante per svolgere efficacemente tale attivit�. La memoria � importante anche perch� nei racconti veri sono presenti dettagli in quantit� adeguata riguardanti il cuore della storia, quello di massima intensit� emotiva per il protagonista. I bugiardi, relativamente a questi aspetti, devono stare attenti a non contraddirsi con il linguaggio del corpo, devono ricordarsi delle loro bugie, devono gestire le emozioni che provano durante il loro racconto. Mentire � un processo cognitivo ed emotivo molto gravoso. Mentre si costruisce una storia plausibile, bisogna sopprimere la verit� e cercare di anticipare le aspettative del nostro interlocutore. A causa di questa complessit� cognitiva, le bugie tendono ad essere brevi, poco genuine e non sviluppate nel dettaglio. I bugiardi inoltre provano emozioni, come la paura, il senso di colpa o addirittura il piacere, ben pi� intensamente di chi � sincero. Questi sentimenti sono troppo forti per essere soppressi completamente anche dal mentitore pi� esperto, che non sar� in grado di controllare tutti e 6 i canali della comunicazione contemporaneamente, soprattutto quando la posta in gioco � alta e le conseguenze della propria testimonianza sono gravose. Questi cambiamenti di solito vengono attribuiti a 3 processi principali: cambiamenti emotivi; carico cognitivo; controllo comportamentale. Ecco perch� Ekman ci ricorda che �Se qualcuno sta per mentire, ci� che importa � sapere cosa sta pensando e come si sta sentendo�. Alla fine di questa esplorazione ai �confini della verit�, nel mondo dei nuovi media e delle relazioni personali, possiamo affermare che nulla si rivela pi� importante, nella sua ricerca, di uno sguardo aperto e disincantato, capace di osservare e raccogliere informazioni, libero da pregiudizi e condizionamenti. Quello sguardo che in una delle pi� belle fiabe della storia dell'umanit�, I vestiti nuovi dell'imperatore, porta un fanciullo a esclamare: �Il re � nudo!�. Giordano Bruno: il furore della scienza (di Vito Mancuso, �La Stampa� del 17 febbraio 2022) - Il rogo del filosofo 422 anni fa, fu una retrocessione culturale, caus� la crepa tra fede e ragione che non abbiamo ancora sanato. - All'inizio del 1599 il cardinale Roberto Bellarmino, allora gesuita e inquisitore, oggi santo e dottore della Chiesa, offr� a Giordano Bruno la possibilit� di salvarsi la vita. La condizione? Abiurare otto proposizioni tratte dalle sue opere. Da otto anni nelle carceri dell'Inquisizione, il filosofo in un primo tempo sembr� accettare, poi per� rifiut� e fu arso vivo, all�et� di 52 anni: era infatti nato a Nola nel 1548. Il rogo ebbe luogo a Roma in Campo de' Fiori il 17 febbraio 1600. Perch� Bruno non abiur�? Diciassette anni prima, descrivendo a una non meglio conosciuta signora Morgana B. il suo pensiero, aveva dichiarato: �Con questa filosofia l'animo mi s'aggrandisse, e me si magnifica l'intelletto�. Egli aveva una filosofia che ingrandiva l'animo e magnificava l'intelletto, e quando il pensiero � vero, vero non nel senso di esatto ma nel senso di autenfico cio� radicato profondamente nell'esistenza, trasforma la vita. E se egli rifiut� di abiurare, fu perch� sopraggiunse in lui la forza della sua filosofia che gli fortific� l'animo e gli magnific� l'intelletto, mettendolo in grado di affrontare la morte con dignit� e coraggio, come testimoniano le cronache del tempo. Ancora oggi tutti noi paghiamo le conseguenze di quel rogo; cui va aggiunta l'abiura alla quale fu costretto Galileo trentatr� anni dopo per evitare la fine di Bruno. L'Italia, a quel tempo centro della cultura umanistica e scientifica, inizi� l'involuzione che tutti conosciamo. La ricerca scientifica, che fino ad allora era in armonia con la fede e la spiritualit� (Copernico, Galileo, Keplero, Newton, protagonisti della rivoluzione scientifica, erano credenti) prese a distaccarsi dalla religione e oggi gli scienziati sono in maggioranza atei. Lo stesso vale per la filosofia: i pi� grandi filosofi della modernit� erano credenti, ovviamente ognuno a modo suo, si pensi a Cartesio, Pascal, Locke, Vico, Kant, Fichte, Schelling, Hegel, oggi invece i pi� condividono l'affermazione attribuita a Schopenhauer: �O si pensa o si crede�. E per quanto riguarda la spiritualit�, ne � scaturita la situazione descritta cos� da Spinoza qualche decennio dopo il rogo di Bruno: �Per il volgo religione significa tributare sommo onore al clero�. Quel �clericalismo�, che oggi papa Francesco indica quale male maggiore della Chiesa, non scende dalla luna ma emerge come logica conseguenza della storia. Bellarmino era un gesuita e il fondatore dei gesuiti, sant'Ignazio di Loyola, al termine degli Esercizi spirituali ammonisce: �Per essere certi in tutto, dobbiamo sempre tenere questo criterio: ci� che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica� (Esercizi spirituali, n. 365, tredicesima regola). Questa Chiesa gerarchica che per secoli ha insegnato ad amare se stessa pi� della verit�, che ha voluto custodire il proprio potere pi� di ogni altra cosa e quindi bruciava le persone che ne mettevano in forse la dottrina, esprime nel modo pi� evidente la negazione dell'insegnamento di Ges� secondo cui �il sabato � per l'uomo e non l'uomo per il sabato�. Ha scritto Karl Barth, uno dei pi� grandi teologi del Novecento: �La Chiesa ha crocifisso Cristo�. Ovviamente quello non intendeva la Chiesa storica ma l'istituzione che sopprime la libert� della coscienza, la quale (si chiami chiesa, o sinagoga, o partito, o in altri modi) � sempre la medesima e per questo si pu� dire che l'istituzione che bruci� vivo Giordano Bruno � la medesima che quindici secoli prima aveva fatto crocifiggere Ges� dal potere romano, cos� come � la medesima che lungo la storia ha condannato, imprigionato e talora ucciso mistici e spirituali (tra cui Margherita Porete, Meister Eckhart, Jan Hus, Michele Serveto, Giulio Cesare Vanini) e che nel Novecento ha perseguitato grandi profeti quali don Romolo Murri, don Ernesto Buonaiuti, padre Turoldo, padre Balducci, don Milani, don Mazzolari, don Arturo Paoli, per limitarmi ad alcuni italiani. Io penso che la piaga purulenta della pedofilia del clero, che affligge la Chiesa in tutto il mondo, abbia molto a che fare con la dittatura intellettuale a cui essa sottopone i suoi membri, esercitando una repressione sulla mente che cos� non giunge a quella maggiore et� simbolo dell'illuminismo descritta da Kant, e cos� rimane intimamente infantile, e ricerca proprio chi non � ancora adulto. Lo stesso dicasi delle omissioni di denunce alle autorit� di polizia dei preti pedofili da parte dei rispettivi vescovi, preoccupati anzitutto di tutelare l'onore della Chiesa gerarchica. Giordano Bruno, interprete radicale di Copernico, rifiutava il geocentrismo e l'antropocentrismo tradizionali sostenendo che la terra non � al centro dell'universo e che gli esseri umani non sono dei privilegiati ma condividono con tutti gli altri viventi la condizione da lui denominata �mutazion vicissitudinale del tutto�. In tale universo infinito e senza centro, in cui nessuno occupa una posizione privilegiata e ogni cosa muta secondo incontrollate vicissitudini, si tratta di trovare un orientamento nella vita e questo lo si pu� fare connettendosi con il divino. Era questo lo scopo della filosofia di Bruno: �Il mio primo e principale, mezzano et accessorio, ultimo e finale intento in questa tessitura fu et � d'apportare contemplazion divina�. Questa contemplazione si ottiene tramite un particolare stato interiore che egli chiamava �furore�, �eroici furori�. Per lui, infatti, tra natura e divinit� non c'era nessuna separazione; al contrario, riteneva che �la divina luce � sempre presente; s'offre sempre, sempre chiama e batte a le porte de nostri sensi et altre potenze cognoscitive et apprensive�. Si tratta solo di aprirsi alla pienezza della vita e quando la ragione si unisce alla sfera emotiva e sentimentale si ha la condizione privilegiata detta per l'appunto furore. Valgono per lui queste parole di Albert Einstein: �Grandi spiriti religiosi di tutti i tempi si sono distinti per questo tipo di sentimento religioso che non conosce n� dogmi n� un Dio concepito a immagine dell'uomo... � proprio fra gli eretici di ogni epoca che troviamo uomini carichi del pi� alto sentimento religioso�. I nostri giorni hanno un bisogno enorme di ritrovare una spiritualit� all'altezza dei nostri tempi, la quale potr� nascere solo nel dialogo con la scienza e la filosofia, ridando cos� alla mente quell'armonia e quella fiducia senza cui essa inaridisce e si trasforma in un'asettica e avida calcolatrice. A tal fine per� deve scomparire il dogmatismo e deve primeggiare l'amore incondizionato e umile per la ricerca della verit�, che nessuno possiede perch� � sempre pi� grande e di cui tutti hanno bisogno. Tra piazza San Pietro e Campo de' Fiori ci sono meno di tre chilometri. Quando un Papa avr� compiuto quei tremila passi andando a omaggiare la memoria di un ex frate domenicano fatto bruciare vivo da uno dei suoi predecessori, allora forse nasceranno le condizioni per la spiritualit� di cui il nostro tempo e soprattutto i nostri giovani hanno urgente bisogno. La donna che salv� il cinema (di Paola Panigas, �Focus Storia� n. 184/22) - Perch� il Museo del Cinema si trova a Torino? Merito della visionaria Maria Adriana Prolo, che per realizzare il suo sogno si batt� come una leonessa. - Era l'8 giugno 1941, quando Maria Adriana Prolo, a 33 anni, scarabocchi� sulla sua agenda una frase piuttosto ermetica: �Pensato il Museo�. Non un'idea qualsiasi buttata l�, ma una visione che la fulmin�, forse la ossession�, sicuramente non la abbandon� per il resto della sua vita. Aveva visto lontano, perch� quel museo, che nacque a Torino, culla del cinema muto italiano, � ancora oggi il pi� importante per la settima arte, nel nostro Paese. L'illuminazione arriv� dopo aver conosciuto �registi, attori, attrici, sceneggiatori, cartellonisti, tutti con lo stesso rimpianto: l'et� d'oro del cinema torinese era anche stata quella della loro vita. Quasi tutti avevano documenti, foto e apparecchi�, raccontava la Prolo, fondatrice del Museo nazionale del Cinema di Torino. �La signorina del cinematografo�, come era soprannominata al Balon, lo storico mercato delle pulci di Porta Palazzo, dove si presentava tra le bancarelle ogni sabato per cercare vecchie pellicole di celluloide �da salvare�, in realt� con quel mondo aveva poco a che fare. Era nata nel 1908 nell'agiatezza (grazie al nonno imprenditore e fondatore di una ditta di liquori) della sua villa di Romagnano Sesia, un piccolo paese vicino a Novara. In assoluta controtendenza con le usanze dell'epoca la famiglia aveva incoraggiato tutte e tre le figlie a seguire le proprie inclinazioni. Maria Adriana, la minore, si appassion� alla poesia e agli studi storici, ma presto manifest� interesse per il cinema: il titolo del primo film, Occhi che videro (1914), che la streg� a soli otto anni, suona quasi come una premonizione. La passione per i libri sfoci� in uno studio sistematico dell'archiviazione e della conservazione dei documenti storici, derivato non solo da un tirocinio, dopo la laurea, nella prestigiosa Biblioteca Reale di Torino, ma anche dai corsi di biblioteconomia, archivistica e paleografia, che segu� in parallelo alla pubblicazione di un saggio storico sulla dinastia sabauda. Il destino di Maria Adriana, per�, non era diventare un �topo di biblioteca�, ma scrivere lei stessa qualcosa che ancora nelle biblioteche non si trovava, perch� la storiografia del cinema all'epoca era appena agli albori. Quindi, dopo aver raccolto faticosamente, anche durante gli anni di guerra, testimonianze dirette dai protagonisti del mondo cinematografico ancora in vita e articoli sulle riviste d'epoca, nell'autunno 1951 pubblic� il primo volume della Storia del cinema muto italiano (il secondo non uscir� mai). Grazie a questo enciclopedico lavoro divenne amica del regista Giovanni Pastrone (1882-1959), autore nel 1914 del primo kolossal, Cabiria, di Arrigo Frusta (1875-1965) e del critico cinematografico de La Stampa Mario Gromo (1901-1960). Nel 1949 conobbe, poi, quello che diventer� il suo punto di riferimento oltralpe, Henri Langlois (1914-1977), che, animato dal suo stesso sogno, aveva fondato nel 1936 la Cin�math�que Fran�aise. Da studiosa a collezionista il passo fu breve. Nel suo certosino lavoro di archiviazione, catalogazione e studio di tutte le fonti (orali, visive e materiali) nell'ambito cinematografico, la Prolo intu� che nella complessa realizzazione di una pellicola, il film � solo il punto di arrivo. Quindi si dedic� a un'infaticabile ricerca di reperti, come un'archeologa-collezionista, di tutto quello che riguardava la settima arte: macchine da presa, pellicole, scenografie, riviste, fotografie, cartelloni e persino gadget e merchandising ante litteram. �Il Museo � nato ufficialmente nel 1958, ma io a raccogliere materiale ho incominciato molto prima. Per la verit� mi chiedo ancora oggi come mai tutti mi abbiano preso sul serio. Il podest� mi diede una sede alla Mole e parecchi privati mi aiutarono. Grazie a loro, e grazie al mio stipendio di insegnante, sono riuscita a mettere insieme ci� che adesso il Museo possiede�, confid� la Prolo in un'intervista a Stampa Sera nel 1983. Il primo cimelio lo compr� negli anni Trenta. Era la bobina di un film del 1915, L'emigrante, pagata 600 lire. Da l� in avanti i suoi acquisti dagli antiquari si fecero sempre pi� consistenti, fino a intaccare il suo patrimonio personale all'insaputa del padre, come confessa nel documentario di Daniele Segre a lei dedicato: Occhi che videro (1989). Quei pezzi girarono il mondo, con mostre organizzate a Milano, Parigi, Monaco di Baviera, Bruxelles e Buenos Aires. Per arrivare all'agognato traguardo di un museo di respiro, almeno nazionale, per�, la strada era lunga. �Una delle mie occupazioni preferite nell'infanzia consisteva proprio nella raccolta degli oggetti pi� strani e disparati. (...). La raccolta era fatta in funzione di un gioco che avevo inventato: il gioco dell'esposizione, dove, naturalmente, erano mostrati gli oggetti raccolti. All'esposizione erano accompagnate le bambole vestite da signore, e gli oggetti erano loro illustrati con molta fantasia�, raccontava la Prolo nel 1988. Nel 1941, quando inizi� a raccogliere i fondi per il suo ambizioso progetto, intu� quanta tenacia e determinazione avrebbe dovuto mettere in campo per coronare quel suo sogno di bambina. E cominci� a battere a tappeto la citt�. In realt�, quando Maria Adriana Prolo decise di dar vita a un Museo del Cinema italiano, Torino rispose positivamente. Non tanto per ambizione culturale, ma perch� sembrava una buona idea per valorizzare la citt� dal punto di vista economico e produttivo. L'idea iniziale del museo, infatti, era in sintonia con l'esigenza di ridare splendore (e risorse) alla vecchia, gloriosa industria cinematografica torinese che, dagli anni Trenta, puntava alla ripresa dell'attivit� produttiva (si erano da poco riaperti gli studi cinematografici Fert, che resteranno attivi fino al 1973). Per il bel mondo torinese, dunque, con il quale la Prolo era in stretto contatto il museo rappresentava la celebrazione dell'industria cinematografica piemontese. Nel giro di pochissimo tempo ottenne i primi finanziamenti e il Comune le concesse finalmente un tetto dove custodire il suo mondo di celluloide: un salone al secondo piano della Mole Antonelliana. Per racimolare il denaro necessario all'uso dei locali (9.100 lire) fu costretta a ricorrere alle sue conoscenze personali, coinvolgendo nella raccolta fondi grandi aziende come Fiat, Lancia e Cassa di risparmio di Torino. Intanto, neppure la Seconda guerra mondiale fermava la sua frenetica ricerca di pellicole dimenticate e lanterne magiche (antenate di tutti i sisistemi di proiezione). Cos�, nel 1942, ottenne anche l'uso dei magazzini nel seminterrato, per salvare il suo prezioso archivio dai bombardamenti. �Le difficolt� della guerra e dell'immediata fase postbellica interruppero bruscamente l'avventura e, nonostante l'avvio promettente, l'apertura del museo si prospettava di anno in anno pi� difficoltosa�, sottolinea Donata Pesenti Campagnoni nel saggio Maria Adriana Prolo. �A fronte di un contesto locale favorevole al progetto, si presentava infatti un contesto nazionale disinteressato alla creazione di un Museo del Cinema (e, tanto meno, alla sua realizzazione nel capoluogo piemontese)�. Sia il Centro sperimentale di cinematografia di Roma sia la Cineteca italiana di Milano ambivano a ospitare la sede di un museo dedicato alla settima arte, di respiro nazionale e cercarono di �sottrarre� alla Prolo la sua creatura. Nel 1953, nonostante i numerosi tentativi di decentrare il progetto in altre citt�, la Prolo ottenne finalmente una sede di tutto rispetto per allestire la sua collezione: Palazzo Chiablese, un'ala del Palazzo reale torinese. �Il 7 luglio, alle 7 di sera, presenti 7 persone, in via Riberi 7 nasce il Museo nazionale del cinema di cui la Prolo viene nominata direttrice. Tra i fondatori ci sono anche Giovanni Pastrone [...] e Mario Grongo, l'incredulo che si � infine arreso, e si d� da fare per mettere insieme i venti milioni che permettano la sistemazione in un'ala a piano terra�, rievocava quello storico momento Stampa Sera nel 1989. A proposito dell'inaugurazione, nel luglio 1955, la Prolo scrisse al collega Beaumont Newhall (1908-1993), all'epoca curatore del George Eastman Museum, il pi� antico museo di fotografia al mondo: �Sono 14 anni che lavoro a questo scopo, sacrificando tante cose che a una donna farebbero molto piacere, e spero che il periodo pi� brutto sia ora finito�. Il 27 settembre 1958 Maria Adriana Prolo inaugur� finalmente le 12 sale del Museo nazionale del Cinema a Palazzo Chiablese. �Quando una nasce con il pallino dei musei non c'� niente da fare�, scrisse in seguito in una lettera del giugno 1973, appena prima dell'apertura di un'altra sua creatura, il Museo storico etnografico di Romagnano Sesia, dove raccolse le testimonianze della vita locale, dall'Ottocento fino alla Grande guerra. Il suo impegno di pioniera della storiografia cinematografica non si ferm� neanche il 6 gennaio 1985, quando per motivi di sicurezza l'esposizione di Palazzo Chiablese fu costretta a chiudere i battenti. Grazie ai contatti con intellettuali, scrittori, registi e attori, la collezione continu� a crescere lo stesso, grazie ai lasciti di figure chiave del cinema del Novecento. Ma la Prolo era destinata a terminare la sua vita senza aver trovato una casa definitiva per la sua creatura. Il suo sogno era riportare il museo l� dove era nato, alla Mole Antonelliana. Mor� il 20 febbraio del 1991 e non riusc� a vedere la collezione tornare l�, nella spirale mozzafiato dell'edificio simbolo di Torino, dove approd� soltanto nel 2000.