Giugno 2022 n. 6 Anno VII Parliamo di... eriodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. Resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice Un cervello troppo permissivo La forza dei micro-contenuti Un cervello troppo permissivo (di Daniela Kaufer e Alon Friedman �Le Scienze� n. 635/22) - La presenza di falle in un filtro protettivo del cervello potrebbe portare ad Alzheimer e altre demenze. Ma studi su animali mostrano che � possibile invertire gli effetti di questo cattivo funzionamento. - Eravamo nel cuore della notte a Gerusalemme e osservavamo topi nuotare. Era il 1994, e noi due autori eravamo piegati sopra una vasca di acqua fredda in un laboratorio alla Hebrew University. La stanza era gelida, le nostre schiene dolevano e avremmo ripetuto la procedura per pi� notti. Eravamo stanchi e nervosi. Anche i topi lo erano: detestano nuotare, specialmente nell'acqua fredda, ma volevamo sottoporli a uno stress. Noi umani svolgevamo il turno di notte perch� di giorno avevamo altre incombenze: Kaufer era dottoranda in neurobiologia molecolare; Friedman era medico delle forze di difesa israeliane, e spesso era di turno. A unirci ogni sera ai topi era l'intento di capire un mistero della medicina: la sindrome della guerra del Golfo. Dopo la fine del conflitto del 1991 era aumentato il numero di segnalazioni di soldati della coalizione guidata dagli Stati Uniti afflitti da fatica cronica, dolori muscolari, problemi del sonno e deterioramento cognitivo, e quei militari erano ricoverati con pi� frequenza dei veterani, non schierati. Alcuni medici sospettavano che la piridostigmina, un farmaco somministrato ai soldati per proteggerli dalle armi chimiche, potesse essere la causa di questi disturbi se fosse riuscita a entrare nel loro cervello. Ma questa teoria aveva un grande problema: la piridostigmina nel flusso sanguigno non avrebbe dovuto raggiungere il cervello. I vasi sanguigni che percorrono quest'organo vitale hanno pareti formate da cellule specializzate, vicinissime tra loro e capaci di controllare che cosa pu� entrare e uscire. Formano uno scudo che trattiene in modo sicuro agenti patogeni, come i batteri, e buona parte dei farmaci nei vasi. La struttura si chiama barriera ematoencefalica (o BEE), e il farmaco non avrebbe dovuto attraversarla. A meno che, per�, la barriera non fosse danneggiata. Ci eravamo chiesti se lo stress fisico e mentale bellico avesse potuto generare falle nello schermo, e i topi che nuotavano ci permettevano di verificare se lo stress causava il danno. Al termine di ogni sessione toglievamo ogni topo dalla vasca e iniettavamo una goccia di colorante blu in una sua vena; poi aspettavamo che il colorante attraversasse il corpo, facendo diventare l'animale progressivamente blu. Se la BEE era intatta, il cervello avrebbe dovuto conservare il colore bianco-roseo. Sottoponevamo i topi a eutanasia per osservarne il cervello al microscopio; per diverse sere avevamo provato vari tempi di nuoto, ma senza osservare cambiamenti. Quella sera, per�, due nuotate in un'acqua un po' pi� fredda e le cose erano andate diversamente: i cervelli avevano un marcato colore blu. Il lavoro di laboratorio � spesso tedioso, ma quella volta abbiamo fatto i salti di gioia e ci siamo abbracciati, con l'entusiasmo a mille. Il nostro bizzarro esperimento aveva funzionato: situazioni di stress potevano generare falle nella BEE. Con la nostra relatrice, la neuroscienziata Hermona Soreq, abbiamo continuato e dimostrato che simili cambiamenti lasciavano entrare la piridostigmina e modificavano l'attivit� cerebrale. Nel 1996 abbiamo pubblicato i risultati su �Nature Medicine� e nel 1998 su �Nature�. Un quarto di secolo dopo possiamo dire che guardare quei cervelli blu � stato un momento decisivo per le nostre carriere, oltre che l'inizio di un'amicizia e una collaborazione scientifica durate una vita. La scoperta di quella sfumatura di blu rivelatrice � stata il primo passo di un percorso che negli anni ci avrebbe portati a indagare sempre pi� a fondo il collegamento tra altre malattie del cervello e difetti nel guscio protettivo di quest'organo. Oggi la piridostigmina � un'ipotesi importante sulla causa della sindrome della guerra del Golfo, pur con altri candidati. Le nostre indagini hanno poi collegato un danno alla BEE - causato dall'invecchiamento o da una lesione in aggiunta a uno stress acuto - a malattie pi� familiari, come l'Alzheimer e patologie correlate, l'epilessia e la lesione cerebrale traumatica. In due articoli pubblicati nel 2019 su �Science Translational Medicine� abbiamo dimostrato che, quando le persone invecchiano, questo schermo perde la propria integrit� e inizia a mostrare falle, permettendo il passaggio nel cervello di proteine del sangue che di norma non vi accedono. Queste proteine attivano una cascata di eventi tra le cellule cerebrali che provocano alcuni dei cambiamenti pi� chiari e osservati, tra quelli associati all'invecchiamento e alla malattia: infiammazioni, attivit� anormale dei neuroni e deterioramento cognitivo. La connessione causa-effetto appare marcata. Bloccare le reazioni innescate da queste perdite inverte i segni della malattia, almeno nei roditori. Nei topi pi� anziani possiamo eliminare la nebbia infiammatoria con un farmaco che impedisce alle cellule cerebrali di essere irritate da proteine del sangue o con modifiche genetiche che impediscono a queste cellule di rilasciare molecole infiammatorie. Dopo qualche giorno dall'inizio del trattamento, i cervelli anziani dei nostri topi avevano iniziato a funzionare in modo pi� simile ai cervelli giovani: l'attivit� elettrica anormale era diminuita; i marcatori dell'infiammazione erano scesi a bassi livelli; messi in un labirinto, gli animali trovavano la strada con la stessa rapidit� e accuratezza dei topi giovani. Non possiamo provare le stesse modifiche sperimentali nel cervello umano; � una violazione etica. Ma siamo riusciti a usare le tecniche di imaging per confrontare il cervello di persone con Alzheimer con quello di persone in salute. Le immagini rivelano un versamento eccessivo e progressivo nella BEE delle persone con la malattia, insieme ad altre caratteristiche della cascata legata all'Alzheimer. Ancora non sappiamo se una barriera danneggiata sia la vera responsabile del morbo di Alzheimer o di altre malattie cerebrali. Potrebbe avere un ruolo complementare insieme ad altre cause tra cui la genetica e una serie di problemi cellulari che sono stati osservati nei cervelli anziani; o potrebbe essere un danno collaterale. Del resto, gli esperimenti con i topi spesso non portano a qualcosa negli esseri umani. Ma la teoria dominante di lungo corso sull'Alzheimer - che sia scatenato da un accumulo della proteina beta-amiloide nel cervello - � sempre meno convincente. Numerosi esperimenti hanno ridotto i livelli di questa proteina nel cervello umano, eppure la malattia e il declino mentale associato sono rimasti immutati: farmaci mirati contro la beta-amiloide non hanno portato benefici. Dato che oggi nel mondo ci sono 50 milioni di persone con demenza e secondo l'Organizzazione mondiale della Sanit� ogni anno vengono diagnosticati 10 milioni di nuovi casi, molti scienziati sostengono che sia il momento di considerare spiegazioni alternative. Se le falle nello scudo protettivo del cervello avviano una catena di eventi che sfocia nella malattia - una catena che, come suggeriscono gli esperimenti, si pu� bloccare per ripristinare la salute cerebrale - vale la pena seguire questa pista. Falle nella parete Includendo la parola �barriera� nel proprio nome, la BEE sembra essere come un muro attorno al cervello. Ma in realt� � pi� simile a un filtro distribuito. La centralina di controllo del nostro corpo riceve dal 15 al 20 per cento del sangue, ricco di ossigeno, pompato dal cuore, trasmesso da una trama intricata di vasi sanguigni. Questi vasi hanno un aspetto diverso dai vasi delle altre parti del corpo perch� le loro pareti sono formate da cellule strettamente impacchettate, dotate di specifici sistemi di trasporto molecolare, che formano un filtro semipermeabile. Per funzionare, le reti di cellule cerebrali hanno bisogno di un ambiente controllato minuziosamente. Quindi il filtro lascia passare molecole come ossigeno e glucosio, ma blocca le proteine del sangue, alcuni tipi di ioni, le cellule del sistema immunitario e gli agenti patogeni. Questa trama protettiva si estende su buona parte delle aree del cervello, dagli strati esterni della corteccia - la sede dei processi cognitivi di ordine superiore - a sedi profonde come l'ippocampo, che regola l'archiviazione dei ricordi. Eventuali problemi con il filtro possono quindi causare ogni forma di disturbo neurologico. Ritornando agli anni novanta, quando stavamo completando il lavoro iniziale sulla sindrome della guerra del Golfo, sapevamo che altri ricercatori avevano osservato un danno alla BEE in alcuni disturbi cerebrali, tra cui l'Alzheimer. Ma non sapevamo se questo problema fosse una causa oppure un effetto, n� come cominciassero i versamenti e nemmeno come agissero per alterare la funzione cerebrale. Ma volevamo scoprirlo a ogni costo. Dopo il periodo di lavoro insieme a Gerusalemme, Daniela si era trasferita a Stanford come borsista, e Alon aveva continuato la formazione di medico in Israele, specializzandosi in neurochirurgia. Ma il tempo e la distanza non ci avevano fatto perdere di vista. Ci saremmo ritrovati in una vacanza insieme, noi e le nostre famiglie, a fare vela tra le isole greche. Nel lavoro a Stanford, Kaufer imparava sempre pi� cose sugli influssi dello stress sul cervello dei topi. Nella sua professione Friedman riconfermava le prime osservazioni di altri ricercatori, che avevano rilevato una BEE difettosa in molti pazienti con disturbi neurologici differenti tra loro. Ma che cosa combinava la barriera danneggiata? Abbiamo cominciato a decifrare la risposta verso il 2005, quando abbiamo lavorato a Berlino con Uwe Heinemann all'Istituto di neurofisiologia, parte del Charit� Center for Basic Medicine. Heinemann, scomparso nel 2016, aveva messo a disposizione il suo laboratorio per i nostri successivi esperimenti decisivi. Volevamo osservare la funzione cerebrale direttamente dopo che la BEE aveva cominciato a funzionare in modo non corretto. Cos� somministravamo ai topi una sostanza che creava buchi nella barriera, e poi dissezionavamo il loro cervello. Tenevamo in vita le fette di cervello in un mezzo nutritivo e usavamo un elettrodo per registrare i segnali usati dalle cellule per comunicare tra loro. I primi giorni sono stati piatti. I neuroni emettevano segnali con un andamento irregolare, intermittente, �parlando� tra loro come se non fosse accaduto nulla di insolito. Avevamo quasi deciso di mollare tutto. Poi, il quinto giorno, la forma dei dialoghi tra le cellule � cambiata. Un numero crescente di neuroni ha iniziato a inviare impulsi in sincronia. Dopo una settimana li abbiamo stimolati con un piccolo segnale da un elettrodo, imitando un breve messaggio elettrico nella corteccia cerebrale. Lo stimolo ha indotto un gran numero di cellule a scaricare insieme, in modo simile a quanto si osserva nelle persone e negli animali con epilessia. Quello che � successo a queste cellule � analogo a generare una tempesta su Twitter. Immaginate di creare un account su Twitter e di twittare frasi sensazionali. Probabilmente riceverete una risposta molto esigua perch� avete pochi follower. Ma se nei giorni seguenti costruirete una rete di follower pi� ampia e ritwitterete la stessa frase, quest'ultima sar� verosimilmente ritwittata, reclutando pi� follower, che la ritwitteranno a loro volta, sfociando in una tempesta di tweet sul social network. Analogamente, quando abbiamo interrotto il normale funzionamento della BEE, sul momento i neuroni del cervello non sono stati scombussolati ma, dopo che avevano dedicato una settimana a costruire una nuova rete di connessioni, una piccola scossa ha generato una grande tempesta elettrica. Questi andamenti, i cosiddetti eventi parossistici a onda lenta, sono simili all'attivit� che altri scienziati avevano osservato in persone con Alzheimer ed epilessia. La tempesta si manifestava solo dopo che avevamo imitato un versamento nella BEE. Senza di esso, le fette di cervello non mostravano alcuna tempesta elettrica. Quindi abbiamo ipotizzato che qualche elemento nel sangue raggiungesse questi neuroni per scatenare la reazione. Abbiamo verificato la teoria in un giovane ratto in buona salute, la cui BEE era normale, iniettando sangue nel suo cervello - aggirando la barriera - e registrando l'attivit� elettrica. Dopo diversi giorni, la tempesta � esplosa. Aveva chiaramente qualche relazione col sangue. Ma il sangue � un fluido complesso, con molti tipi di cellule e di proteine. Cos� abbiamo iniziato un'opera di filtrazione e di cattura, per isolare il colpevole; e alla fine abbiamo scoperto una proteina del sangue che creava l'alterazione. Era l'albumina. Iniziano i problemi La nostra pesca non ci aveva esaltato pi� di tanto: l'albumina � molto comune ed � implicata in tante funzioni del corpo. Quindi era complicato capire che cosa facesse in questa situazione. Avremmo preferito una componente pi� rara, ma l'albumina era quello che avevamo ottenuto, cos� siamo andati pi� a fondo. Kaufer si era trasferita all'Universit� della California a Berkeley per dirigere un proprio laboratorio e Friedman aveva avviato il proprio, prima all'Universit� Ben Gurion, in Israele, poi alla Dalhousie University, in Canada. Avevamo programmato una serie di esperimenti congiunta e a distanza, da effettuare nell'arco di anni, per delineare i passi dalla disgregazione della BEE e dal versamento di albumina alla comparsa dei disturbi neurologici. La prima cosa che abbiamo imparato � che quando l'albumina entra nel cervello sembra stimolare gli astrociti, cellule cerebrali essenziali che forniscono il sostegno strutturale e chimico ai neuroni e alle loro connessioni. Quando l'albumina entra in contatto con un astrocita, si lega a recettori che di solito agiscono da punti di attracco per una molecola chiamata fattore di crescita trasformante beta, o TGF, da transforming growth factor beta. Tra altre sue funzioni, TGF attiva gli astrociti e le cellule sentinella, la cosiddetta microglia, per far partire l'infiammazione. Di regola, l'infiammazione localizzata � sfruttata dal cervello per limitare il danno, distruggendo le cellule che funzionano male in un assalto mirato. Ma se l'albumina continua a infiltrarsi astrociti e microglia sono iperstimolati e vengono rilasciate troppe sostanze dannose, tra cui una sovrabbondanza di TGF. Numerose cellule cerebrali saranno danneggiate, circuiti neurali essenziali saranno modificati o indeboliti e le loro funzioni peggioreranno. I medici hanno spesso osservato questa stessa cascata distruttiva dopo una lesione cerebrale traumatica, che talvolta sfocia in crisi epilettiche. La sequenza si manifesta anche nel cervello anziano, come abbiamo imparato dalla ricerca nei topi. Questi animali vivono in media poco pi� di due anni. Abbiamo lasciato che una colonia di topi invecchiasse serenamente, poi abbiamo scrutato il loro cervello in diversi momenti. Come abbiamo osservato, l'albumina era assente nel cervello dei topi pi� giovani, ma iniziava a comparire a un'et� di mezzo. All'inizio l'effetto era modesto, ma era chiaro il degrado dell'integrit� della barriera, che peggiorava con l'invecchiamento dei topi. Inoltre, i topi interessati avevano pi� problemi a ricordare il percorso nei labirinti rispetto ai topi pi� giovani e relativamente poveri di albumina. Come ci avrebbero rivelato ulteriori esperimenti, quando compariva l'albumina TGF iniziava ad attivarsi. Abbiamo colorato i cervelli, per evidenziare la forma attivata del fattore di crescita come pure gli astrociti che la producevano. L'infiammazione legata a TGF iniziava sempre dopo la comparsa dell'albumina, e peggiorava in modo proporzionale alla quantit� di proteina infiltrata. Questa associazione era piuttosto marcata nell'ippocampo, un'area cerebrale essenziale nella regolazione della memoria. In questi ultimi cinque anni circa abbiamo offerto prove valide del fatto che questo processo avviene anche negli esseri umani. Abbiamo usato molecole traccianti per identificare segnali di versamenti nella barriera in persone tra i 25 e i 75 anni di et�. Con la tomografia a risonanza magnetica abbiamo osservato che l'entit� dei versamenti aumentava con l'invecchiare dei soggetti. Altri ricercatori - come Berislav V� Zlokovic, della Keck School of Medicine alla University of Southern California, e colleghi - hanno usato metodiche di imaging leggermente differenti per rivelare le alterazioni della barriera in persone anziane affette da deterioramento cognitivo. Nel nostro lavoro abbiamo aggiunto autopsie di un gruppo separato di persone e dimostrato che livelli pi� alti di albumina accompagnavano quantit� pi� grandi di TGF, sempre negli astrociti. Le concentrazioni erano pi� elevate nelle persone anziane, e pi� alte anche nelle persone morte di Alzheimer, se confrontate con persone senza la malattia. Ringiovanire il cervello Poi abbiamo invertito il deterioramento nei topi. Non siamo riusciti a impedire che l'albumina si infiltrasse attraverso la BEE, ma potevamo bloccare la cascata di TGF che si verifica dopo i versamenti. Abbiamo sviluppato un gruppo di topi in cui avevamo eliminato geneticamente la porzione di DNA che dice agli astrociti di produrre i recettori del TGF, eliminando quel tratto dalle cellule. Quando i topi erano ancora relativamente giovani, abbiamo impiantato nel loro cervello una minuscola pompa che iniettava albumina; poi abbiamo ripetuto l'operazione con un gruppo di topi giovani, normali; infine abbiamo messo i due gruppi in un complicato labirinto d'acqua. I topi con i recettori avevano molti problemi; quelli senza, invece, nuotavano nel labirinto come i topi giovani e normali - in modo spedito e accurato - e quando abbiamo modificato la configurazione del labirinto hanno imparato anche il nuovo percorso. Analizzando il loro cervello, abbiamo osservato bassi livelli d'infiammazione e di attivit� elettrica anomala. Questi risultati sono stati davvero incoraggianti. Ma nel caso delle persone l'opzione di disattivare un gene che codifica per un tratto del cervello non sar� una terapia disponibile a breve. Per� c'� un'altra forma terapeutica. Il chimico-farmacologo Barry Hart, di Innovation Pathways, start-up farmaceutica di Palo Alto, in California, aveva progettato un farmaco antitumorale che bloccava in modo specifico l'attivit� del recettore di TGF. Hart ci ha contattato suggerendoci di provare il farmaco, chiamato IPW, sui nostri topi. Per inciso, da allora noi tre abbiamo fondato un'azienda per sviluppare ulteriormente il farmaco. Quando lo abbiamo somministrato a topi di mezza et�, cio� quelli che iniziavano a mostrare un versamento di albumina, abbiamo scoperto che l'aspetto del loro cervello ringiovaniva: l'attivit� di TGF era scesa a livelli osservati nei topi giovani; i marcatori dell'infiammazione erano calati; e l'attivit� elettrica anomala e la predisposizione ad accessi epilettici diminuite. Ma la grande sorpresa � arrivata quando abbiamo analizzato il comportamento e le capacit� cognitive reali. Avevamo predisposto un labirinto diverso, e stavolta erano i topi pi� anziani a percorrerlo. Alcuni erano stati trattati con IPW, altri no. Non prevedevamo chiss� quale miglioramento. Pensavamo che il danno irreversibile fosse gi� stato fatto (ai nostri topi senza il gene per TGF erano stati risparmiati i lunghi mesi di deterioramento causato dalla cascata infiammatoria; non a questi topi per�). Ma nel giro di qualche giorno i topi trattati erano diventati bravi a imparare il labirinto quasi quanto i topi che avevano la met� della loro et�. I topi non trattati camminavano trascinandosi, come al solito. Inoltre, i topi che avevano ricevuto IPW non mostravano alcun segno dell'effetto �tempesta di Twitter�, che in genere osserviamo nelle persone con Alzheimer o epilessia, e mostravano scarsi segni di infiammazione. Era come se un velo infiammatorio fosse stato sollevato, permettendo al cervello di acquisire di nuovo le sue capacit� giovanili. Questi, insieme agli studi su cervelli umani, sono i risultati che abbiamo pubblicato nel 2019 su �Science Translational Medicine�. L'esito del labirinto si � rivelato inaspettato anche per noi. Come la maggior parte delle persone, avevamo considerato il danno da invecchiamento un viaggio senza ritorno, un deterioramento impossibile da cancellare. Probabilmente � quello che succede nei principali disturbi cerebrali, come il caos che avviene negli individui con il Parkinson, o in uno stadio avanzato dell'Alzheimer, dopo che si � accumulata una quantit� di beta-amiloide elevata al punto da uccidere schiere di neuroni e di altre cellule. Ma la nostra ricerca ai fini di un intervento potrebbe indicare che, in assenza di una massiccia morte cellulare, il cervello anziano ha una capacit� nascosta di ristabilirsi da alcune forme di lesione. I nostri risultati, poi, hanno implicazioni anche per le lesioni acute, oltre che per il deterioramento graduale. Trattare i topi con IPW dopo una concussione o una lesione cerebrale traumatica alleviava l'infiammazione, le crisi epilettiche e il declino cognitivo che avevano sviluppato; i topi che avevano ricevuto un placebo, invece, non avevano ottenuto alcun beneficio. Riparare il danno La popolazione mondiale invecchia e il numero di persone con demenze e Alzheimer � in crescita. Anche noi due invecchiamo, quindi � qualcosa che ci tocca da vicino. Siamo entrambi cinquantenni e spesso le conversazioni a tavola con gli amici ruotano attorno a preoccupazioni per l'invecchiamento del corpo (alcuni di noi correvano maratone e oggi nemmeno riescono a concludere un corso di Zumba) e del cervello (Kaufer non ricorda i nomi dei genitori della classe di sua figlia a scuola). I neuroscienziati hanno una scarsa conoscenza dei fattori precoci che scatenano la transizione da un cervello giovane e sano a uno vecchio e disfunzionale. L'Alzheimer e altre malattie neurologiche dell'invecchiamento sono complesse, e possono avere molte cause. Ora una BEE con versamenti � da considerarsi una delle possibili cause. Questa teoria d� un nuovo modello, intuitivo e diretto, per capire perch� il cervello decade con l'et�. Ed � un modello ottimistico: i risultati del nostro lavoro indicano che il cervello anziano conserva una capacit� di riplasmarsi e di ristabilirsi, un'abilit� che potrebbe essere repressa, ma non perduta irreversibilmente, da un versamento persistente e dalla conseguente catena di eventi. Il passo successivo sar� la ricerca di strategie e di terapie per ridurre il versamento nella barriera. In passato, le ricerche farmaceutiche sulla barriera miravano ad aumentare la permeabilit�, non a limitarla, affinch� la attraversassero farmaci per il trattamento di tumori o di infezioni cerebrali. I nostri risultati mostrano che la questione va capovolta: possiamo concepire modalit� per impedire che lo schermo si degradi, che sostanze dannose passino all'interno o almeno, qualora filtrassero, possiamo interrompere il domino molecolare? Potremo fare molto per tante persone se capiremo come risolvere questi problemi. La forza dei micro-contenuti (di Alessio Beltrami e Luca Mazzucchelli �Psicologia contemporanea� n. 279/22) - Per farsi conoscere il pi� possibile, un professionista della salute deve comunicare con autorevolezza, ma pure con efficace agilit�. - Se dovessimo pensare al modo pi� autorevole per presentare un professionista del benessere al grande pubblico, probabilmente concorderemmo tutti sul fatto che un libro - in particolar modo nella sua pubblicazione cartacea - rappresenti ci� che � universalmente riconosciuto come un elemento di credibilit�. E ogni professionista ha innanzitutto bisogno di risultare credibile. A prescindere dal suo contenuto e dalla validit� delle argomentazioni, il libro ha il potere di attribuire autorevolezza al nome scritto in copertina. Ci� non impedisce al lettore di cambiare idea dopo poche pagine, ma � una verit� oggettiva che l'impressione fatta sull'interlocutore non possa che essere positiva al primo impatto. Nel tentativo continuo di promuovere la nostra professione � giusto chiederci quale possa essere la strada pi� adatta per avvicinare il pubblico ai nostri servizi. Sebbene quanto detto sul libro resti valido, dobbiamo fare i conti con due verit�: la prima ha a che vedere con la difficolt� legata alla scrittura e alla pubblicazione di un libro e la seconda invece � direttamente collegata alle abitudini che caratterizzano la ricerca di informazioni in questo momento storico. Ricapitolando: a scatola chiusa, 200 pagine rilegate con il nostro nome in copertina sono un'ottima cosa, ma nel quotidiano i pazienti che stiamo cercando di intercettare cercano e consumano informazioni in modi molto diversi da questo. Di qui la necessit� di capire come raggiungere le persone condividendo con loro informazioni utili. Per farlo, � bene osservare il nostro stesso comportamento nel consumo di contenuti online. Se avessimo un contatore, potremmo ottenere una stima precisa del numero di volte che ogni giorno avviciniamo le nostre mani a smartphone, tablet e PC per avviare una ricerca. Poco conta che si tratti di mera curiosit� o di questioni importanti come la gestione delle finanze o la salute: quando abbiamo un dubbio digitiamo la domanda su un dispositivo elettronico perch� sappiamo che la risposta sar� immediata e semplice da fruire. Senza scomodare ricerche e studi universitari, � evidente che risulta frammentato il modo in cui consumiamo informazioni. Ecco perch� sempre pi� spesso si parla di microcontenuti. Cosa sono i micro-contenuti? Potremmo dire che sono tutti quei contenuti fruibili online senza richiedere una dose extra di tempo e concentrazione al lettore, e quindi senza che sia necessario mettere in pausa ci� che stiamo facendo per poterli fruire. Forse � pi� semplice e onesto collocare questa definizione nella realt� quotidiana immaginando di essere alle prese con un normale dubbio e di cercare la risposta online. Quando la comprensione della risposta non ci richiede una concentrazione totale � probabile che quello che abbiamo per le mani sia un micro-contenuto: ossia un contenuto di facile comprensione, capace di rispondere a un nostro dubbio senza monopolizzare tempo e concentrazione. A prima vista potrebbe sembrare un modo superficiale di cercare risposte, oppure, vedendo il bicchiere mezzo pieno, potremmo considerarlo un modo intelligente di comunicare dove chiedendo poco (tempo e concentrazione) riusciamo a dare molto (informazioni). A questo punto per�, se risulta difficile la scrittura di un libro, come possiamo pretendere di trasferire un valore analogo creando micro-contenuti? � una domanda legittima che trova risposta nelle diverse forme di contenuto. Le abbiamo sotto gli occhi ogni giorno, ma fatichiamo a vederle quando tocca a noi comunicare in prima persona. Ecco alcune idee che possono aiutare ogni professionista del benessere a fornire risposte intelligenti con i micro-contenuti. Brevi blog post - Articoli, sul nostro blog, di 300-400 parole che richiedendo 3 minuti di lettura offrono una sintesi fedele delle informazioni ricercate. Superare i 3 minuti significa inserirsi in uno spazio difficile da conquistare; al contrario, occupare uno spazio ridotto, come 2 o 3 minuti, permette all'utente di trovare risposta anche in un momento di pausa, di attesa o nei tempi morti della routine quotidiana. L'obiettivo � quello di inserirci dove c'� spazio libero, ma non possiamo chiedere pi� di ci� che ci viene offerto. Sarebbe pi� completo un contenuto corposo, ricco di riferimenti e capace di operare tutti i distinguo del caso? S�, ma terrebbe anche a distanza la maggior parte degli utenti, perch� quando abbiamo poco tempo non investiamo in attivit� che sappiamo di non poter portare a termine, e la gratificazione ricercata dall'utente � quella di portare a termine la sua missione. Brevi video - I video online non sono la trasposizione della documentaristica televisiva. I video online sono scoperte improvvise che arrivano mentre stiamo cercando una risposta e vogliamo arrivare al sodo. Anche qui, fornire in 2-3 minuti una risposta diventa obbligatorio. � difficile avere un tempo maggiore a disposizione e il nostro video dovr� adattarsi al momento. Contenuti sui social - Un contenuto testuale di 300-400 parole pu� essere perfetto anche sui social - da Facebook a LinkedIn -, richiedendo poco tempo e collocandosi all'interno delle abitudini degli utenti. Audio ad hoc - Esistono molte possibilit� per divulgare informazioni attraverso il formato audio, e ci� senza richiedere investimenti o competenze tecniche particolari. Un canale Telegram o un podcast sono soluzioni che richiedono investimenti economici vicini allo zero e che permettono di utilizzare la nostra voce per creare brevi contenuti fruibili nel modo in cui oggi quasi tutti siamo abituati a comunicare (ascoltando, per esempio, una nota audio di un amico su WhatsApp). Insomma, la credibilit� e l'autorevolezza sono indispensabili, ma anche l'immediatezza con cui possiamo arrivare agli utenti fa la sua parte. I micro-contenuti non sono pensati come sostitutivi di contenuti pi� ricchi, ma come strumento di avvicinamento. Leggere e approfondire qualcosa investendo il nostro tempo � una scommessa che ci sentiamo di fare solo dopo aver ottenuto in cambio garanzie chiare e i micro-contenuti sono la miglior garanzia da offrire agli utenti. Sono il nostro biglietto da visita intelligente per arrivare a un gran numero di persone.