Giugno 2023 n. 6 Anno VIII Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice L'impero del senza La fiducia � anche fiducia in se stessi Chi ha ucciso Jane Stanford? L'impero del senza (di Gianfranco Marrone, �Prometeo� n. 158/22) - Alimenti, alcolici, cosmetici. E poi oggetti, servizi, funzioni. Nulla si sottrae all'imperativo categorico della sottrazione. - Sul comodino di un albergo lussemburghese - vale a dire dappertutto -, accanto al telefono e un piccolo blocco d'appunti, c'� un lapis, a suo dire, ecologico. Una grossa scritta in verde, sul dorso, lo dichiara orgogliosamente: crayon �cologique. E in caratteri minuscoli se ne legge la motivazione: la matita � stata prodotta con materiali plastici, rigorosamente artificiali, senza alcun utilizzo di legno o altre sostanze naturali. Un dubbio amletico s'impone: come conciliare l'uso della plastica, nemico dichiarato d'ogni sostenibilit�, con la scelta ambientalista? Non dovrebbe essere il contrario? Perch� non adoperare il legname - pulito, odoroso, caldo - piuttosto che quei materiali per nulla biodegradabili? Perch� lasciarlo negli alberi, nei boschi e nelle foreste? Rinunciare alla natura per difenderla? Sembra il mondo alla rovescia. E forse lo �: dovendo salvaguardare l'ambiente naturale, lo si racchiude in un recinto protettivo con adeguate barriere che impediscano a noi, esseri umani carichi d'antropocentrica hybris, di persistere nel suo progressivo annientamento. Astruso sofisma che, insinuandosi nella nostra esperienza quotidiana, ci trasferisce, coi sensi di colpa d'ordinanza, una valigia di perplessit�. A pensarci un attimo, ci stiamo comportando come quei genitori apprensivi i quali, per evitare ai figlioli cattive compagnie, li tengono serrati nella cameretta verginale: luogo asettico che, rassicurando pap� e mamma, odiosamente imprigiona ragazze e ragazzi. Del resto, qualcosa del genere accade da tempo con pellicce e simili: per difendere visoni e cincill�, leopardi e conigli, le si produce finte, pellicce senza pelliccia. Allargando lo sguardo, anche al di fuori dell'impegno cosiddetto green assistiamo a fenomeni analoghi: birre e vino senz'alcol, pasta senza grano, bistecche senza carne, latte senza lattosio, parquet senza legno, benzina senza benzene... C'� di che: mettendo in crisi ogni istanza ontologica (quella che s'ostina a ragionare sull'essere-in-quanto-essere) si incrinano le nostre pi� elementari certezze, e tutto sembra ripiombare in un confuso scenario da fantascienza diffusa dove non c'� pi� nulla, non solo di scientifico, ma nemmeno di fantastico. � la nostra realt�, tutta similitudini e simulazioni, approssimazioni e finzioni. Debole, impalpabile, liquida, forse gassosa. Quel che in questo frangente colpisce, palpitazioni metafisiche a parte, � una piccola spia linguistica, un'angusta preposizione che - ci hanno insegnato a scuola - introduce il complemento di privazione o, peggio, quello di esclusione. Stiamo parlando, sar� gi� chiaro, di senza - parola magica che, investendo comportamenti e valori dell'homo consumens, fa la gioia di aziende produttrici e uomini di marketing, strateghi di comunicazione e negozianti sotto casa. Ne fa la gioia perch�, manco a dirlo, spopola alle casse o, se si preferiscono termini pi� tecnici, � un prezioso - e assai persuasivo - argomento di vendita. Basta dare un'occhiata ad annunci pubblicitari e confezioni dei prodotti, siti web e scaffali dei supermercati per accorgersi che di senza si parla dappertutto. Cosa che non riguarda soltanto l'ingrediente per cos� dire principale di un determinato prodotto, come nei casi di cui s'� detto, dove l'hamburger � di seitan piuttosto che di macinato di vitello o gli spaghetti sono di riso e non di frumento. Ma coinvolge anche, se non soprattutto, componenti tanto accessori quanto abituali, e cio� sostanze che di solito sono presenti in un certo prodotto ma di cui viene vantata, sic et simpliciter, l'assenza. Domina il settore alimentare: senza grassi, senza glutammato, senza zuccheri, senza aromi artificiali, senza olio di palma, senza glutine, senza coloranti, senza sale, senza polifosfati, senza solfiti, senza conservanti... Coinvolge anche quello dei cosmetici: senza siliconi, senza petrolati, senza parabeni, persino senza lacrime. Ecco l'abbigliamento: cotoni senza trattamenti tossici, vestiti senza sostanze inquinanti per l'ambiente oppure, scarto sindacale, realizzati senza sfruttamento dei lavoratori. Detersivi: senza tensioattivi, senza sbiancanti ottici. Arredamento: mobili senza formaldeide. Combustibili: benzina senza piombo. Vernici: senza solventi. Confezioni varie: zero waste o plastic free, quando non, esaltando lo sfuso, un packaging senza se stesso. E ancora: bottiglie, contenitori, stoviglie, giocattoli e oggetti vari: senza BPA (additivo usato per la produzione della plastica). A dispetto della nostra matita lussemburghese, � proprio la plastica - rivale universale d'ogni coscienza ecologista - a essere ostracizzata un po' dappertutto: basta contare i numerosi libri, manuali, siti web e blog che spiegano come eliminarla dalla vita quotidiana. Portare con s� una borraccia e riempirla appena possibile abolisce, per esempio, l'uso delle bottiglie acquistate nella macchinetta dell'ufficio. Forchette e posate in legno usa-e-getta prendono il posto di quelle usuali delle festine dei bambini... Si dir�: ognuna di queste cose ha le sue ragioni, tutte sacrosante, ora di tipo ambientale ora di tipo sanitario ora di tipo etico e cos� via. Certo, indiscutibile. Colpisce per� la loro impressionante moltiplicazione che, per cos� dire, esonda rispetto ai singoli prodotti e alla loro supposta nocivit�. Sappiamo per esempio che moltissime persone acquistano prodotti senza glutine pur non essendo celiache (gli stessi esperti di marketing ne sono fortemente sorpresi). Analogamente, l'avversione contro l'olio di palma s'� diffusa pur nella assoluta insipienza circa questa sostanza e le sue propriet� specifiche. Al punto che, si ricorder�, una nota marca di cioccolata spalmabile ha lanciato una pubblicit� in controtendenza che ne vantava l'uso, di fatto mettendone in dubbio una pericolosit� pi� da psicosi collettiva che da agenzia sanitaria. � cos� che �l'impero del senza� si trova a essere ancora pi� vasto di quanto descritto sin qui. Esso difatti non interessa soltanto le cose materiali, prodotti, sostanze, ingredienti e simili, ma si estende ai gesti e ai comportamenti d'ogni giorno, soprattutto quando coinvolgono l'uso (o sarebbe meglio dire il non uso) del corpo. � il vasto territorio del cosiddetto touchless. Cos�, nel mondo dei pagamenti il bancomat rende possibile non stare a contatto con banconote e monete; mentre una app come Wallet (o altre similari) presente in molti telefonini rende inutile lo stesso bancomat e varie altre carte plasticate. Analogamente, nei luoghi pubblici appaiono rubinetti che si aprono al semplice avvicinamento delle mani, cos� come lo scarico del water che si attiva con il solo movimento del corpo; idem per le luci del bagno che si accendono senza interruttore, i dispenser dei saponi che si attivano da soli, e perfino gli ascensori che vanno al piano senza avere a che fare con la pulsantiera. Iniziano altres� a proliferare siti e servizi vari che vantano l'accesso senza password. E l'elenco, ovviamente, non � esaustivo. Segno di perfettibilit�? Emerge il dubbio che questa sistematica eliminazione di tutto e del suo contrario dal mondo dei consumi, e cio� dalla nostra vita quotidiana, ecceda le singole motivazioni pratiche grazie alle quali s'� a poco a poco costituito per tracimare nel campo dell'immaginario e del simbolico, l� dove la psicologia d'ognuno si fa passione collettiva, e i valori individuali entrano in un agone che � al tempo stesso sociale e culturale, pubblico e forse antropologico. � la vittoria indiscutibile di Ludwig Mies van der Rohe, il celebre architetto tedesco che per primo ha proposto, come � noto, l'idea del less is more, espressione che da ossimoro del senso comune � divenuto in poco tempo un imperativo categorico col quale ci troviamo regolarmente a fare i conti, se non a subirlo passivamente. La pandemia, da questo punto di vista, non ha inventato nulla: ha soltanto rimotivato, a posteriori, una paura generalizzata nei confronti dell'alterit� materiale, sia essa quella dei corpi altrui come quella delle cose, del contatto fisico con esse. Il senza, in questo, rassicura, facendo emergere un certo inespresso desiderio di purezza, di semplificazione, di fuoriuscita dal rumore del tempo che, passando e ripassando, lascia una gran quantit� di detriti dietro di s�. Melius deficere quam abundare. Uno psicologo aduso alla divulgazione non banale come Paolo Legrenzi ha recentemente pubblicato un libro che affronta questi argomenti: Quando meno diventa pi�. La storia culturale e le buone pratiche della sottrazione (Raffaello Cortina editore). L'idea di fondo � chiara: la sottrazione � una pratica pi� che gentile perch�, impedendo al cervello di sovraccaricarsi di idee, desideri e valori superflui, rende la vita sostanzialmente migliore. Il minimalismo paga, non solo nelle arti e nella comunicazione ma anche nei vissuti quotidiani. Le argomentazioni per dimostrare questa tesi, coniugando storia culturale e sperimentazioni psicologiche, sono fittissime e inequivocabili. Wittgenstein, Popper, il Bauhaus, Pollock e Yves Klein, fra gli altri, vengono convocati per supportare le scienze cognitive, per le quali, contrastando il senso comune, non � l'addizione a fare la felicit� ma il suo esatto contrario. Cos� la sottrazione, da non confondere con la frugalit�, � �lo strumento per la comprensione e l'innesco di una nuova concezione comunitaria dell'esistenza�, dato che, a conti fatti, �� la difficile strada verso la perfezione�. Ne deriva che il senza non sarebbe una tecnica di marketing come tutte le altre, tesa ad assecondare le generiche paure dei consumatori verso tutto e di pi� in modo da propinare loro qualsiasi merce a qualsiasi costo, ma �un segno della perfettibilit� della nostra vita�. In cerca di valori sottotesto Tornando a circoscrivere la questione al solo campo dei consumi, in uno studio approfondito sulle diete e la dietetica (Essere a dieta. Regimi alimentari e stili di vita, Meltemi, 2020) Ilaria Ventura Bordenca si interroga su questa proliferazione del senza nel campo del food. Con una riflessione facilmente estendibile anche in altri settori merceologici. Il ricorso al senza, spiega Ventura, finisce per costituire una vera e propria retorica, e cio� una precisa forma di discorso che non mira tanto a persuadere il consumatore all'uso di determinati prodotti quanto semmai, pi� a monte, a magnificare i valori (reali o presunti, poco importa) di tali prodotti, il senso di cui essi sembrano essere portatori, andando a plasmare i desideri, le ansie, le speranze, le attese di un consumatore che, prima d'esser tale, almeno in linea di principio dovrebbe essere un cittadino di questo mondo: un soggetto dotato di etica e di estetica, di coscienza politica e senso civico. In altri termini, il problema non � che cosa si elimina in s� ma il significato che tale sostanza ha per noi, le ragioni di questa esclusione e, parallelamente, che cosa potrebbe prendere il posto della sostanza eliminata, o, ancora pi� in profondit�, qual � il senso di questo generale desiderio sentimento di esclusione. Desiderio di semplicit�, certo: ma a quale altro desiderio esso si oppone, a fronte di quale altra tendenza dei consumi questa purezza prova a imporsi? Per decenni abbiamo vissuto in una societ� dell'abbondanza, dell'eccesso, dell'accumulo, e le pubblicit� accentuavano questa tendenza verso, direbbe Legrenzi, l'addizione. Negli anni Cinquanta e Sessanta i nostri Caroselli erano pieni di biscotti al plasmon, dentifrici con gardol, pastina glutinata, dado con doppio brodo, carne in scatola arricchita con vitamine, e in pochi chiedevano conto e ragione, poniamo, del gardol (entit� totalmente borgesiana). Andando in un ristorante (ristorante?) di un qualsiasi fast food a dominare, ancor oggi, non sono gli hamburger piastrati o le alette di pollo fritte ma le innumerevoli salse che obbligatoriamente vi si aggiungono. Senza ketchup, maionese o salsa barbecue niente ristorazione veloce. E, del resto, nella cosiddetta cucina internazionale, quella che ancora resiste nelle navi da crociera o negli alberghi asiatici a quattro stelle, quel che conta � il condimento in sovrappi�, il nappato, il ricoperto, e non ci� che sta sotto. Se a lungo insomma ha fatto chic (chic?) l'insalata con vinaigrette e affini; se gli adolescenti di provincia non mangerebbero una patatina fritta, direbbero i francesi, nature, ossia cos� com'�, senza salsine rosate a mascherarla; se le casalinghe del boom economico non avrebbero mai lasciato i loro pargoli senza vitamine... oggi, come dire, non se ne pu� pi�. Siamo come intossicati, non dalle singole sostanze, ma dalla smania di aggiungerle dappertutto, da una tendenza all'addizione che, appunto, viene percepita come grossolana, volgare, rozza, prima ancora di andare a decidere se quelle sostanze aggiunte siano o meno nocive. Per questo l'estetica precede l'etica, il simbolico ha la meglio sulla ragionevolezza, e la passione sbaraglia la ragione, soprattutto se ammantata di spiegazione scientifica. Il sospetto non � l'anticamera della verit�, per carit�, ma sembra che la gente tenda a pensarla proprio cos�, e a comportarsi di conseguenza. Quando va al supermercato, quando si siede a tavola, quando si reca a far rifornimento di carburante, quando va in albergo o anche alle toilette dei caselli autostradali. Eterodiretta? Forse: dato che - ed � qui il problema - l'assenza della politica trasforma i cittadini in consumatori a tutto tondo. Anche quando decidono di non utilizzare mai pi� roba inutile. La fiducia � anche fiducia in se stessi (di Andreas Kruse, �Psicologia contemporanea� n. 216/09) - Dall'infanzia alla vecchiaia abbiamo bisogno di fiducia in noi stessi, che a seconda delle fasi della vita assolve compiti diversi. - L�importanza che ha confidare nelle proprie forze per i processi evolutivi nell'intero corso dell'esistenza � illustrata con molta chiarezza da Erik Erikson. Secondo la sua teoria, lo sviluppo dell'identit� si compie attraverso otto fasi qualitativamente distinte, determinate da specifiche crisi psicosociali. Queste fasi sono caratterizzate da uno spettro di compiti e richieste che l'individuo deve affrontare nel corso della vita per maturare una �personalit� pienamente funzionante�. Il compito evolutivo di trovare un equilibrio sostenibile tra fiducia e diffidenza si pone secondo Erikson fin dalla fase iniziale dello sviluppo, quando il bambino deve venire a capo delle prime esperienze di separazione. Gi� in questa prima crisi, tuttavia, non � in gioco solo l'affidabilit� delle figure adulte di riferimento, ma anche la convinzione di potersi fidare di s� e del proprio corpo per fare fronte a bisogni impellenti. L'aspetto della fiducia entra in gioco comunque anche in tutte le successive crisi psicosociali. Lo sviluppo di una volont� autonoma, la capacit� di prendere iniziative e di sperimentare il nuovo, la sensazione di riconoscimento delle proprie attivit�, l'integrazione delle esperienze e dei ruoli sociali in un'identit� personale sostenibile rimandano direttamente alla fiducia in se stessi. Ma anche lo sviluppo di intimit�, generativit� e integrit� dell'Io - i compiti che caratterizzano le tre fasi dell'et� adulta, dalla giovent� alla vecchiaia - rispecchiano sempre una fiducia nella propria persona. Oltre a sostenere che la fiducia in se stessi continua a svilupparsi per tutto l'arco della vita, la teoria di Erikson colloca espressamente tale sviluppo nel contesto della societ� e delle istituzioni. Infatti, esercitare e sviluppare il proprio corredo di attitudini e capacit�, ottenendo con un'attivit� produttiva il riconoscimento degli altri, costituisce il fondamento della fiducia del saper affrontare con successo anche le prove dell'et� adulta, negli anni della maturit� e oltre. Viceversa, la perdita di quelle possibilit�, causata ad esempio dalla disoccupazione, pu� danneggiare la fiducia in s�, con effetti negativi in molti ambiti della vita. La fiducia nelle varie et� della vita Nel vissuto infantile la costruzione della fiducia, sia nelle proprie forze che nelle figure di riferimento, ha un posto assolutamente centrale. Negli anni giovanili l'accento cade soprattutto sulla fiducia riposta nel futuro: la formazione dell'identit� � strettamente legata alla convinzione di poter contare su sviluppi futuri, sia a livello personale che sociale. In et� adulta la fiducia verso di s� e verso gli altri assume un accento ancora diverso: le proprie risorse personali sono viste pi� alla luce di una corresponsabilit� verso le generazioni future, mentre nei rapporti sociali si d� maggior peso alla cura delle relazioni significative. Infine, in tarda et� la fiducia collega l'orientamento verso il passato a una prospettiva futura che travalica la propria esistenza: si accetta la biografia personale, malgrado la sua frammentariet�, si elabora la finitezza, si inquadra la propria vita in un contesto pi� vasto. L'infanzia: sicurezza e legame Come si comportano i bambini al ritorno della madre dopo una breve separazione? Studiando le loro reazioni, Mary Ainsworth ha distinto tre tipi di attaccamento: sicuro, insicuro-evitante, insicuro-ambivalente. Attraverso questi diversi legami si esprime direttamente la fiducia del bambino verso la figura materna: reagisce con gioia al suo ritorno? Si fida di comunicare sentimenti negativi? Si lascia consolare? Un attaccamento sicuro si manifester� poi in una generale valorizzazione degli altri con la disponibilit� ad accettare e offrire sostegno. Le persone che hanno una storia di attaccamento insicuro tendono a svalutare l'importanza delle relazioni personali e hanno un atteggiamento di rifiuto verso le offerte di aiuto. La ricerca dimostra che lo sviluppo di uno stile sicuro o insicuro di attaccamento e di legame interpersonale � strettamente legato alla capacit� della figura primaria di riferimento (madre, padre o altre figure sostitutive) di interpretare esattamente l'espressione delle emozioni del beb� e di rispondervi in maniera adeguata. Molti studi indicano che le esperienze infantili di attaccamento hanno effetti a lungo termine, le cui conseguenze sono ancora riconoscibili in et� adulta e fino nella vecchiaia. L'et� giovanile: prospettiva futura Lo sviluppo di un orientamento verso il futuro nel giovane che si avvia a diventare adulto ha bisogno di una certa fiducia nella prevedibilit� e controllabilit� degli eventi. � quindi legato, almeno indirettamente, alla stabilit� politica, economica e sociale. Le attuali ricerche su formazione e sviluppo dell'orientamento dei giovani verso il futuro si occupano sostanzialmente di due aspetti: le prospettive circa il futuro privato, personale, e le aspettative circa il futuro della societ�. In una recente ricerca dell'ufficio studi della Shell Germania (2006) sulla popolazione giovanile, questi due temi sono stati esaminati separatamente. Per quanto riguarda la societ�, � stato chiesto ai soggetti di valutare la probabilit� di un certo numero di sviluppi prevedibili nel futuro: controllo delle minacce all'ambiente naturale, stabilizzazione dell'economia, clima non violento nella societ�, ecc. L'esame delle prospettive future nel privato si � concentrato su due temi fondamentali: famiglia e lavoro. I risultati attestano un essenziale ottimismo dei giovani per quanto riguarda il proprio futuro. Tuttavia, le trasformazioni nelle condizioni sociali impediscono di sviluppare la convinzione di poter controllare la propria vita e ostacolano un orientamento ottimistico per quanto riguarda gli sviluppi sociali futuri. Rafforzare la fiducia di fondo nei giovani significa riconoscere e influenzare le condizioni sociali, favorire la stima di s� e la fiducia sia verso le relazioni interpersonali che verso le istituzioni della societ�. L'et� adulta: generativit� Lo sviluppo in et� adulta � caratterizzato dalla rinuncia a rapporti sociali superficiali, per privilegiare le relazioni che sono considerate soggettivamente significative. Il nuovo orientamento sociale che emerge � indicato da Erikson con il termine �generativit�, in quanto si accompagna a un accresciuto senso di responsabilit�, non da ultimo nei confronti dei figli. Questa dimensione corrisponde alla polarit� �attivit� creativa-stagnazione�. Mentre per Erikson essa si esprime in primo luogo nelle relazioni familiari, soprattutto nell'educazione dei figli, altri autori ne hanno proposto un'interpretazione pi� estesa: generativit� come impegno personale nei confronti della societ� nel suo complesso. Premessa importante � quindi una fiducia nell'umanit�, nei termini propri della cultura cui si appartiene: �Se tale fiducia manca, difficilmente l'adulto si impegner� in comportamenti generativi, in quanto li riterr� poco utili�, scrive Dan I. McAdams (1992). A suo avviso, il comportamento generativo dipende dal fatto che quel tipo di impegno sia sentito in armonia con la propria storia personale, l'ambiente sociale di appartenenza e la cultura in generale. Nello �scenario generativo� si rispecchia la fiducia nell'aver creato con la propria vita qualcosa di durevole, ovvero che anche dopo la morte resti almeno qualcosa di noi. La vecchiaia: integrit� e gerotrascendenza In tarda et� una visione del mondo fino ad allora piuttosto razionalista e materialista tende a trasformarsi in una prospettiva pi� cosmica e trascendente nei confronti del mondo e della vita. A questo sviluppo, indicato talora col termine �gerotrascendenza�, sono legati gli aspetti seguenti: un orientamento meno egocentrico, una scelta pi� rigorosa delle attivit� sociali, un legame intenso con le generazioni passate, un forte bisogno di valori cosmici e spirituali. Secondo Erikson all'anziano si pone soprattutto il compito di sentire la propria vita come qualcosa di globalmente coerente, di accettarla nei suoi aspetti positivi e negativi, nella sua unicit�, definitivit� e finitezza, di assentirvi con un senso di soddisfazione. In armonia con tutto ci�, l'integrit� dell'Io si manifesta, secondo Erikson, anche sotto forma di rinuncia e di saggezza, ovvero in un atteggiamento di amore post-narcisistico, non di s� ma dell'individualit� umana, che implica spiritualit� e comprensione dell'ordine cosmico. Gerotrascendenza e integrit� dell'Io si possono definire una forma qualitativamente nuova di fiducia. Non si tratta pi� di fare affidamento sulla propria persona, con le sue motivazioni, prospettive, conoscenze e competenze, o sugli altri esseri umani in quanto nostri simili, solidali, cooperativi e responsabili, ma di sviluppare una fede in un ordine del mondo immutabile, che c'era prima di noi e ci sar� anche dopo. Chi ha ucciso Jane Stanford? (di Lidia Di Simone, �Focus Storia� n. 199/23) - La dispotica fondatrice dell'universit� di Palo Alto fu avvelenata due volte e fuggire alle Hawaii non la salv� dalla stricnina. Un libro cerca di fare chiarezza. - Il colpevole � il maggiordomo, secondo la classica formula del giallo all'inglese: �The butler did it�. Ebbene, nel nostro cold case non ci andremo troppo lontano. Gli elementi di questo noir rimasto irrisolto sono: un'anziana milionaria vissuta durante la Gilded Age, l'epoca d'oro americana, tra '800 e '900, la politica spregiudicata, i soldi fatti con i monop�li, un figlio perduto troppo presto e un dolore colmato con le sedute spiritiche. A questi ingredienti aggiungiamo lo scenario da sogno in cui si svolsero i fatti: grandi ville candide affacciate sulla baia di San Francisco e hotel in stile coloniale alle isole Hawaii. Concludiamo con il dettaglio pi� curioso: Jane Elizabeth Lathrop Stanford (1828-1905) fu avvelenata con la stricnina non una, ma due volte. Ultimo ma non meno importante tassello, l'ambiente dove i protagonisti di questo giallo molto intricato si muovevano. Jane era una donna importante: fu lei, con il marito Leland, a fondare la Stanford University, la prestigiosa universit� di Palo Alto che, tra ex studenti e membri delle sue facolt�, vanta 36 premi Nobel. E si tratta dell'ateneo dove si sono formati molti geni della Silicon Valley. Alle origini di questo tempio del sapere scientifico c'era dunque una dama ricca e colta, appassionata d'arte, potente e autoritaria. Chi le somministr� il veleno? Ma prima di provare a risolvere il giallo bisogna partire dalla prematura fine di un adolescente. Si chiamava Leland Stanford jr. e aveva 15 anni. Era un ragazzo fortunato, solo erede di una fortuna immensa. Come ogni figlio unico era viziato, ma i giochi di cui mamma e pap� lo ricoprivano non erano balocchi, bens� reperti di arte antica. Fin da bambino Leland era stato infatti un collezionista, uno dei pi� importanti d'America. I genitori lo portavano ogni anno in giro per l'Europa per fargli conoscere la culla della civilt�, i musei pi� importanti e i vasti giacimenti culturali che il Vecchio continente poteva offrire come trastullo alla mente sveglia e fertile di un predestinato. E a ogni viaggio la collezione di antichit� del ragazzo cresceva. Aveva trascorso interi pomeriggi nell'ala egizia del Louvre, copiando geroglifici e imparando a decifrarli con l'aiuto del famoso egittologo Georges Daressy. Nelle case d'asta aveva acquistato monete antiche, vasi greci e altri reperti con piccole somme che gestiva con una contabilit� rigorosa. Ad Atene nel gennaio 1884, con la neve alta, Leland Jr. aveva insistito per visitare i templi e incontrare Heinrich Schliemann, l'uomo che aveva portato alla luce Micene e Troia. Forse si ammalarono in Grecia. Ma la famiglia Stanford si trovava in Italia quando Leland fu colpito dalla febbre tifoide e tutti i soldi del mondo non servirono a salvarlo. La mattina in cui il ragazzo mor� all'Hotel Bristol di Firenze, il 13 marzo 1884, Leland e Jane Stanford giurarono l'uno all'altra che sarebbero diventati i genitori d'America. A chiederglielo era stato il loro figliolo dall'oltretomba. Sembra infatti che Mr. Stanford, a sua volta malato dopo aver tanto pregato e dopo aver inutilmente applicato per due settimane impacchi freddi sulla fronte del ragazzo, si fosse appisolato esausto, quasi in uno stato di trance, avendo una visione del giovane Leland che gli consegnava un lascito: �Padre, non dire che non hai niente per cui vivere... Vivi per il bene dell'umanit�. Gli Stanford cercavano soltanto un modo per sopravvivere al dramma, visto che l'et� non avrebbe consentito loro di avere altri figli. Jane era gi� stata una primipara attempata quando, dopo 18 anni di vane speranze, era riuscita a concepire. Al momento della morte dell'adorato figlio lei aveva 55 anni, Leland 60. Lo avevano cresciuto con attenzione invogliandolo in tutti i modi a coltivare la passione per il bello, fornendogli stimoli culturali e saperi, adesso avrebbero fatto la stessa cosa con altri ragazzi: �I bambini della California saranno i nostri figli�, dissero. Nulla distolse gli Stanford dal loro obiettivo. Il 14 maggio del 1887, nel 19o anniversario della nascita di Leland Jr., posarono a Palo Alto la prima pietra dell'universit�: sarebbe sorta sulla tenuta di frutteti, vigneti, pascoli, stalle e piste per il trotto che il padre latifondista aveva acquistato per il divertimento del figlio, dove il ragazzo era andato a spasso sul suo pony con i cani alle calcagna, aveva pescato nel torrente, cacciato con l'arco e fatto i picnic sotto le sequoie. Intanto Leland era stato eletto senatore e aveva assunto la presidenza di un'altra compagnia ferroviara e di una di navi a vapore. Gli Stanford si erano trasferiti da Sacramento a San Francisco, a Nob Hill, il quartiere pi� elegante, in una magione fatta costruire nel 1876 al costo astronomico di 2 milioni di dollari: era la pi� elegante dello Stato, si diceva, con un grande parco e circondata da un muro di basalto e granito. La villa bruci� nell'incendio seguito al terremoto del 1906, ma Jane e Leland erano gi� morti. Lui se ne and� per un attacco di cuore il 21 giugno 1893 e fu sepolto a Palo Alto. Dopo la sua morte, il governo federale fece causa all'unica erede per recuperare 15 milioni di tasse evase. Non solo, Collis P. Huntington, succeduto a Leland alla presidenza delle ferrovie, esigeva che Jane saldasse i creditori privati della compagnia. L'eredit� fu congelata e negli anni successivi la vedova us� i suoi beni personali per tenere a galla l'ateneo con appena 10-mila dollari al mese. Vinta la battaglia legale nel 1898, vendette le sue azioni e stacc� un generoso assegno all'universit� per una somma equivalente a circa un quarto di miliardo di oggi. Ordin� cos� la costruzione del Memorial Arch e del mausoleo dedicato alla memoria del marito, e avvi� il primo nucleo del museo che doveva contenere le opere d'arte di famiglia. Nel 1905 mise a disposizione i suoi gioielli (per un valore di 500-mila dollari di allora) disponendo che alla sua morte venissero venduti per finanziare l'ateneo. Donazione che ancora oggi alimenta il fondo milionario della Jewel Society, dove affluiscono i soldi dei generosi finanziatori di Stanford destinati all'acquisizione di biblioteche (sul frontespizio dei volumi viene impresso un ex libris che raffigura Jane Stanford mentre offre i suoi gioielli ad Atena, la dea greca della sapienza). Tanto generosa, eppure tanto detestata. La vedova Stanford assunse il controllo dell'universit� con pugno di ferro. Richard White, membro emerito dell'ateneo e autore del volume Who Killed Jane Stanford? (sottotitolo: �Un racconto della Gilded Age di omicidi, inganni, spiriti e la nascita di un'universit�), pubblicato dall'editore americano Norton nel 2022, ne traccia un ritratto... al veleno. White descrive una donna sgradevole e cattiva, tirannica con la servit� e le persone di famiglia e pessima con i dipendenti delle sue fattorie, che licenziava per assumere immigrati irregolari sottopagati. Una milionaria accentratrice che brandiva i suoi soldi come un randello, licenziando i docenti quando non ne condivideva le opinioni. E cercando di far entrare la religione e lo spiritismo in facolt�. Gi�, perch� Jane Stanford era in contatto con l'aldil�, o almeno era fortemente influenzata dai messaggi che, a suo dire, le inviavano il defunto marito e il figlio perduto. �I fantasmi gestivano l'universit�, scrive White. Di certo Mrs. Stanford, quando non si distraeva con le sedute spiritiche, la amministrava accentrando nelle sue mani un potere assoluto, pare anche usando l'ateneo per riciclare denaro guadagnato illegalmente. Gli storici Richard Hofstadter e Walter P. Metzger in Development of Academic Freedom in the United States (1955) hanno scritto che Jane adorava l'istituzione nascente con �l'amore imponente e intrigante che uno sfrenato istinto materno d� a un figlio unico�. Fin� per scontrarsi presto con il rettore David Starr Jordan, intromettendosi nelle questioni accademiche. Il licenziamento di un docente venne coperto da Jordan, che si trov� a dover difendere a ogni costo l'operato della sua patronessa. Il possente cancello in ferro battuto della sua dimora non protesse Jane dall'odio di chi voleva liberarsi di lei. La sera del 14 gennaio 1905, nella sua villa di 50 stanze a San Francisco, la vedova Stanford bevve un sorso d'acqua minerale dalla bottiglia che qualcuno le aveva lasciato sul comodino. Il liquido aveva un sapore amaro e lei si infil� due dita in gola per costringersi a vomitare. La sua assistente e la cameriera l'aiutarono a ingerire acqua calda per liberarsi. Come poi emerse da un'analisi che lei stessa commission�, l'acqua era stata contaminata con veleno per topi. Il fratello, chiamato al suo capezzale, invece di coinvolgere la polizia incaric� un avvocato di seguire le indagini, affidate a un investigatore privato. Jane era ormai terrorizzata dalla consapevolezza di avere un nemico mortale. Inoltre, era stremata per una affezione polmonare che non le lasciava requie. Cos� il 15 febbraio salp� per le Hawaii, dove confidava di rimettersi in salute. Con lei c'era la fidata segretaria, l'immigrata tedesca Bertha Berner. Scesero al Moana Hotel di Honolulu. La notte del 28 febbraio la signora Stanford prima di andare a letto chiese a Bertha di prepararle un po' di bicarbonato. Poco dopo le 23 url� alla sua assistente di chiamare il medico. La trovarono appoggiata allo stipite: si sentiva male, temeva di essere stata avvelenata di nuovo. Il medico dell'hotel arriv� in pochi minuti, ma la donna ormai stava morendo. Mentre il dottore cercava di somministrarle una soluzione, la poveretta lamentava di sentire le mascelle rigide. Cosa che conferm� il dottor Humphris al coroner che lo interrog� in seguito. L'agonia di Jane fu straziante: fu colta da uno spasmo tetanico che progred� inesorabilmente fino a uno stato di grave rigidit�, con la mandibola serrata, le cosce spalancate, i piedi girati verso l'interno, le dita strette a pugno e la testa girata all'indietro. Poi smise di respirare. Il resoconto di quei momenti viene dato nel volume The Mysterious Death of Jane Stanford (Stanford University Press), pubblicato nel 2003 da Robert W.P. Cutler, per un trentennio docente di neurologia a Palo Alto. Quella notte furono chiamati in soccorso altri medici, Humphris cerc� di somministrare un emetico, il dottor Francis R. Day us� una pompa gastrica, accorse anche il collega Harry Vicars Murray, ma nessuno riusc� a salvarla. Il coroner ordin� l�autopsia, che fu condotta da sette medici e un tossicologo, compresi tre dottori che non avevano assistito la signora Stanford la notte della sua morte. Un becchino e un assistente dell'obitorio erano testimoni. Dopo tre giorni di deposizioni, ci vollero solo due minuti per concludere che Jane Lathrop Stanford era morta �per avvelenamento da stricnina, introdotta in una bottiglia di bicarbonato di sodio con intento criminale da parte di una o pi� persone sconosciute a questa giuria�. Nel suo libro-inchiesta Cutler osserva che l'assistente Bertha Berner era l'unica persona presente a entrambi gli avvelenamenti. Ma non era finita qui: intanto era arrivato a Honolulu anche il rettore dell'ateneo, David Starr Jordan, che prese in mano la situazione assumendo un medico locale, Ernest Coniston Waterhouse, per contestare la causa della morte. Jordan dichiar� alla stampa che la ricca patronessa era morta per insufficienza cardiaca. E questo fu riportato nelle cronache dell'epoca. Le indagini proseguirono anche a San Francisco, ma nessuno venne mai accusato dell'omicidio. Invece, secondo Cutler, Jordan e altri organizzarono un elaborato insabbiamento per mettere in dubbio le prove mediche e accreditare le cause naturali. C'erano in ballo oltre a un patrimonio multimilionario anche la Stanford University, quindi un processo per omicidio doveva essere evitato a tutti i costi. Roland de Wolk, nella sua biografia American Disruptor: The Scandalous Life of Leland Stanford, del 2021, torna su un dettaglio: la segretaria personale di Jane Stanford aveva accesso diretto a entrambe le bottiglie avvelenate. Richard White, insomma, arriva per ultimo con la sua indagine, ma rimestando nelle cronache dell'epoca tira fuori un racconto avvincente della San Francisco durante la Gilded Age, con i suoi poliziotti corrotti, le bande di Chinatown in guerra, i giornali rivali che sparavano titoli cubitali, gli avvocati senza scrupoli e i robber barons che si odiavano combattendosi senza esclusione di colpi. White aggiunge altri dettagli e attori del cold case: la servit� infedele di casa Stanford, le faide fra i docenti e le sordide scappatelle sessuali dentro il campus. Insomma, il mondo corrotto che circondava Jane e la sua universit� dalle finanze traballanti e dallo statuto contorto, con gli amministratori mal pagati e le spese da saldare. Al centro di tutto questo c'era lei, la dama imperiosa, solitaria ed eccentrica che cercava di guidare il suo impero aiutandosi con le sedute spiritiche o interpretando i messaggi che le arrivavano in sogno dall'aldil�. Una donna che, secondo White, aveva una lista di nemici lunghissima. A San Francisco i cronisti di nera restrinsero l'elenco dei sospetti a tre domestici che avevano avuto accesso alla Stanford: Elizabeth Richmond, una cameriera inglese presa di mira dall'investigatore privato che indag� sul primo tentativo di avvelenamento; un altro britannico, l'ex maggiordomo Alfred Beverley, legato alla Richmond; Ah Wing, il cuoco cinese che era stato torchiato dai poliziotti. Alla fine vennero tutti scagionati. Emerse il nome della Berner, che forn� una testimonianza incoerente, ma fu difesa da Jordan. Ecco, il perno di tutto, a oltre un secolo di distanza, sembra essere il presidente e rettore dell'ateneo. Secondo Cutler, la Stanford usava i docenti per spiare il suo operato. Uno di questi, il tedesco Julius Goebel, secondo un altro professore era �un confidente, se non una spia, per Jane Stanford�. Ai tempi del primo avvelenamento, la matriarca lo aveva appena incaricato di indagare su questioni universitarie, secondo Cutler. Pare che nel 1904 la fondatrice non tollerasse pi� il presidente dell'ateneo. Goebel sussurrava alle orecchie della patronessa che il rimedio era rimuovere Jordan. Invece fu lui a essere licenziato dal rettore dopo la morte della Stanford. Ma alla fine, come and�? Il professor Cutler, basandosi sui referti medici e sui resoconti contrastanti dei testimoni, conclude che la donna fu sicuramente avvelenata e che la condotta del presidente e rettore della Stanford University, a sua volta scienziato di spicco, fu eclatante: Jordan si precipit� a Honolulu per �mettere a tacere� chi c'era. Arriv� al punto di accusare il medico dell'albergo di aver aggiunto la stricnina al bicarbonato di sodio dopo la morte della signora Stanford, e insinu� nelle autorit� di Honolulu dubbi sul tossicologo, raccomandando di �tenere d'occhio le azioni e la storia passata dei due medici intervenuti al Moana Hotel�. Eppure, come sostiene Cutler, se il rettore aveva il movente, non aveva per� l'opportunit�, essendo arrivato sul posto a delitto compiuto. Nel suo libro, White avanza una tesi diversa: a mettere la stricnina nell'acqua fu l'unica persona presente a entrambi gli avvelenamenti, fu l'assistente Bertha Berner. Secondo White, Bertha odiava la sua dispotica datrice di lavoro e fu coperta dal presidente Jordan, che invece aveva l'obiettivo di preservare l'onore dell'universit�. Di certo la segretaria aveva l'opportunit� di avvelenare la sua padrona. Sappiamo che fu la prima a scrivere una biografia della vedova, descrivendola molto amata e dedita alle azioni benefiche, ritratto che non combacia troppo con i libri successivi scritti dai professori di Stanford. Berta firm� addirittura due memoir, Incidents in the Life of Mrs. Leland Stanford, e Mrs. Leland Stanford: An Intimate Account, con dettagli sulla notte dell'avvelenamento che per� cambiano da un libro all'altro. Scrisse infatti che la sera fatale lei e Jane avevano ammirato la luna sorgere sul Pacifico. Un particolare smentito dalle carte astronomiche, secondo le quali la luna non era sorta fino alle 2:53 del mattino successivo, quando la Stanford era ormai morta da un pezzo. Prove indiziarie, per�, nulla di pi�. Si trattava di ricordi confusi o Bertha si era involontariamente autoaccusata? �Fu interrogata�, spiega Cutler, ma �non era considerata una sospettata seria. Berner sembra avesse avuto ampie opportunit�, ma nessun movente ovvio�. Eppure il movente era grande come una casa: la dimora che Jane Stanford le aveva lasciato nel testamento, insieme con un lascito pari a centomila dollari di oggi. Centomila buoni motivi. Insomma non � stato il maggiordomo, ma forse ci siamo andati vicini. Le sedute spiritiche La domanda che circolava era: l'ateneo di Stanford � stato fondato durante una seduta spiritica? Nell'autunno del 1891 la medium Maud Lord Drake raccont� ai giornali che era andata cos� e che lei era stata l'intermediario-guida nella decisione di Jane e Leland Stanford. Dopo la morte del figlio, in effetti la coppia aveva preso parte ad alcune sedute a Parigi. Avevano poi incontrato Madame Drake a New York, davanti al tavolino a tre gambe, alla presenza degli amici, l'ex presidente Usa Ulysses Grant e sua moglie Julia. Ma fu nell'autunno 1884, mesi dopo la morte del figlio, quando i lasciti destinati all'universit� erano gi� stati definiti. Se la Drake era una truffatrice, � vero per� che lo spiritualism nel mondo angloassone aveva milioni di seguaci. Si presentava come un movimento quasi religioso e prometteva di mettere in collegamento i suoi fedeli con l'aldil�. Uno degli sponsor era il fratello di Leland, Thomas Welton Stanford, distributore di macchine per cucire Singer in Australia, dove aveva fondato la Victorian Association of Progressive Spiritualists. Prese parte alla fondazione del campus e fu una forza trainante nelle attivit� �ultraterrene� di Jane. Il rettore Jordan scrisse nelle sue memorie che gli Stanford �furono profondamente interessati a certe fasi dello spiritualismo�. Ma nel 1891 loro smentirono dichiarando: �Nessuna influenza spiritualista ha influito sulla decisione�. Il movente e l'opportunit� Richard White, professore di Stanford in pensione, finalista al premio Pulitzer e storico della Gilded Age, ha avuto il merito di ricostruire, pi� che il delitto, l'ambiente attorno al quale matur�. E ha dato un volto all'assassina: quello della segretaria Bertha Berner. Ma resta un'ipotesi, perch� dopo le indagini dell'epoca nessuno parl� di omicidio. Ci� su cui White solleva il velo sono le sordide vicende che accompagnarono la nascita di una leggendaria istituzione accademica. Costruire un impero a quei tempi presupponeva non farsi scrupoli e il presidente di Harvard, Charles W. Eliot, insinu� allora che la Leland Stanford Jr. University fosse un tentativo di �innalzare un monumento personale mediante il buon uso di denaro ottenuto illecitamente�. Secondo White, non si sbagliava. Importanti studiosi avevano rifiutato la presidenza, e la coppia si �accontent� di assumere David Starr Jordan, sconosciuto ittiologo dell'Indiana. La morte di Leland, che negli affari sistemava le cose a modo suo, cre� problemi enormi: ci volle un emendamento alla Costituzione della California per sancire la fondazione di quell'ateneo che secondo la legge non aveva i presupposti legali. Secondo White l'universit� era gestita nel caos, sotto il peso di uno statuto contorto e con finanze traballanti. Docenti e amministratori, mal pagati, erano sempre sulle barricate contro la propriet�, che si trattasse di autonomia accademica, di priorit� di spesa o di amanti. Jane Stanford aveva fatto sapere che aveva intenzione di licenziare il presidente Jordan al suo ritorno dalle Hawaii. Ma non torn�. Quindi, forse, le complicit� dietro l'omicidio furono molte. Ci fu un elaborato insabbiamento messo in atto per contestare le conclusioni delle analisi post mortem e convincere autorit� e stampa che il decesso fosse dovuto a cause naturali. A chi giovava? A tutti i beneficiari del patrimonio: la Stanford University, il suo presidente, i parenti e due dipendenti. Un processo per omicidio andava evitato a tutti i costi, poich� avrebbe potuto portare a contestare il testamento in tribunale. Bertha Berner scrisse nella biografia della Stanford che Jane era �arrivata a governare le persone attraverso la sua ricchezza, e nessuna corona o titolo avrebbe potuto rendere il suo governo pi� assoluto n� la realizzazione del suo potere pi� chiara nella sua mente�. In effetti si alien� ogni simpatia: secondo il suo pi� stretto consigliere, George Crothers, le sue decisioni andavano �dall'illegale all'incostituzionale, all'impraticabile e all'irragionevole�. La Stanford violava sistematicamente i diritti costituzionali dei membri della facolt�, le loro libert� accademiche, e cercava di orientare l'ateneo verso lo �sviluppo dell'anima� piuttosto che della mente, violando la legge delega dell'universit� che vietava ogni forma di insegnamento religioso. Quando poi, nel 1905, fu presa dal panico perch� c'erano troppe ragazze nel campus, si mosse per licenziare Jordan, che si opponeva ai suoi tentativi di consegnare l'universit� alla Chiesa cattolica. La Stanford propose allora un sistema di matrone �con piena autorit� per imporre la disciplina� alle studentesse, con sentinelle e guardie a cavallo tenute a denunciare �e a consegnare il colpevole alle autorit� universitarie per punizione�. La sua morte port� un certo sollievo. Jane fu sepolta in una cerimonia elaborata con una preghiera collettiva per l'universit�. Ma forse qualche preghiera era gi� stata esaudita: non c'� miglior benefattore del benefattore morto.