Luglio 2023 n. 7 Anno VIII Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. Resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice Demoni della filosofia Perch� mezzo mondo � intollerante al lattosio Noi ragazzi contro Hitler Demoni della filosofia (di Edward Boniecki, �Prometeo� n. 111/10) - Un excursus da Socrate a san Tommaso, da Cartesio a Fichte fino al silenzio dei contemporanei. - In filosofia di tanto in tanto si affacciano diversi tipi di demoni. E con differenze reciproche che possono essere molto evidenti. Nel periodo della filosofia antica non ci si fa nemmeno caso, infatti vengono considerati residui di una mitologia non sufficientemente razionalizzata. Ma gi� sul daimonion di Socrate, la cui voce decideva del progresso etico distinguendo cosa � buono o cattivo, non si sa pi� cosa dire. Questo spirito, da Socrate definito �quella profetica voce abituale in me� (Platone, Apologia di Socrate, p. 69), che a volte lo interrompe nel bel mezzo di un discorso, non pu� essere ignorato, o perlomeno questo non � accaduto nella storia della filosofia. Si pu� anche affermare che esso sia un legislatore e un giudice, le cui sentenze costituiscono leggi morali tuttora valide. Tatarkiewicz, che continua la tradizione illuministica del razionalismo, cerca effettivamente di giustificare lo spirito socratico. Scrive che �quella voce interiore non era un'integrazione dell'intelletto con un altro elemento psichico simile alla volont� o alla sensibilit�, quanto piuttosto un'integrazione dell'etica con un fattore religioso, una concessione d'aiuto che la divinit� accorda alla gente� (p. 75). Presenta quindi il daimonion come fonte �ausiliaria� di principi etici, senza assolutamente sminuirne il significato. Altre posizioni accusano persino Socrate di soffrire di allucinazioni, oppure al contrario lo si esalta come servo di Apollo a cui � stato concesso il dono della profezia (si veda Krokiewicz 1958, pp. 60-63, 174-75). Scrive Krokiewicz al proposito: �Sembra che Socrate possedesse il dono dell'intuizione sentimentale che restava legata all�anima popolare e al suo forte sentimento di onnipotenza e onniscienza divino che governa il mondo fenomenico� (Krokiewicz 1971, nota a p. 284). Ad ogni modo, lo spirito che inquietava Socrate non rientrava negli standard razionalisti e nemmeno in quelli religiosi, essendo stato il filosofo accusato anche di empiet�. D'altra parte, era abbastanza razionale da cavarsela con la sillogistica senza uscire dal campo della filosofia. Era quindi indubbiamente uno spirito filosofico. Sembrerebbe che la natura degli spiriti sia pi� vicina alla furia della tragedia greca piuttosto che alla filosofia, e la loro vitalit� scaturisce da una capacit� sempre pi� raffinata di usare l'intelletto in qualche modo contigua alla morte. Al tempo stesso vi sono nella filosofia alcuni spiriti che non riescono a staccarsi da lei e vivono in silenzio nella sua ombra, dando di tanto in tanto qualche segno di s�. Non si pu�, a dire la verit�, affermarlo a proposito delle gerarchie di spiriti detti eoni, che come intelligenze pi� o meno sottili appaiono negli scritti dei filosofi al tramonto dell'antichit� e all'inizio del Medioevo, come intermediari fra Cielo e Terra, Dio e gente comune. Questi spiriti entrano nella tradizione filosofica direttamente dalla tradizione religiosa del giudaismo e delle concezioni gnostiche allora diffuse. Quindi, dal punto di vista della filosofia, non si differenziano in niente di particolare dai predecessori greci antichi e possono esserne facilmente estirpati. Sant'Agostino lottava ancora con gli spiriti manicheisti che ostacolavano il riconoscimento dell'onnipotenza del Buon Dio, ma si trattava comunque di una resa dei conti privata del dottore della Chiesa. Gli spiriti dei manicheisti non erano troppo filosofici. Nei loro caratteri c'erano pi� fantasia e poesia piuttosto che speculazione o lavoro intellettuale. I veri spiriti filosofici compaiono solo con Tommaso d'Aquino. Si tratta, in questo caso, dei famosi angeli delle opere di san Tommaso (che in considerazione della purezza perfetta propria degli angeli ottenne il soprannome di Dottore angelico). Al primo sguardo non c'� in essi niente di speciale, se consideriamo la ricca letteratura angelologica. Eppure sono eccezionali. La problematica angelica ha impegnato tutto il Medioevo, si potrebbe quindi ritenere che san Tommaso abbia seguito le orme dei predecessori e al massimo abbia risolto il problema inglobandolo nel proprio sistema filosofico. Ma proprio qui risiede la causa della differenza degli angeli di Tommaso: per quanto si sa, tutti i precedenti spiriti angelici derivavano da credenze religiose ed erano spiriti teologici, mentre gli angeli di Tommaso, pur senza recidere i legami con la religione, sono spiriti filosofici. Tommaso pose chiaramente la questione della separazione tra teologia e filosofia, e perci� dei giudizi dedotti da presupposti teologici oppure fondati su presupposti filosofici. Distinse la Rivelazione dalla sapienza naturale, e anche la verit� della fede dalle verit� ottenute per mezzo del ragionamento. E anche se afferm� la complementarit� di entrambe le strade per arrivare alla verit�, che � unica, la separazione della filosofia dalla teologia divenne un dato di fatto. Da qui � facile dedurre in cosa consiste l'originalit� degli angeli di Tommaso: si tratta di spiriti filosofici. La loro esistenza � dedotta sulla base di un'analisi razionale dell'essere, come elemento necessario di armonia della creatura. La scoperta della possibilit� di manifestazione concreta di sostanze spirituali composte di essere ed esistenza � compiuta da Tommaso dopo l'analisi dell'essere realmente esistente e alla fine di un percorso intellettuale che lo ha condotto a Dio come Essere la cui essenza � l'esistenza. Di per s� tali sostanze sono modello a se stesse, poich� non possiedono nella propria natura la materia, cosa che le individualizzerebbe. L'essere umano, a differenza degli angeli, si compone oltre che di forma anche di materia, cosa che decide della sua individualit�. Ma essendo individuo esso appartiene al tempo stesso a un genere, infatti l'anima umana � indipendente per quanto riguarda il genere, mentre appartiene alla natura dell'essere umano insieme alla materia e con essa � fonte di identit� di genere per l'essere umano (nella dottrina sulla forma del genere, come in altri problemi filosofici, san Tommaso si rif� coerentemente all'autorit� di Aristotele). Il problema si presenta quando bisogna spiegare di volta in volta la nascita di una persona come nuovo essere, alla luce delle cause. La prima causa dell'esistenza creativa ed estrinseca della persona � Dio. I genitori sono le cause estrinseche intenzionali dell'esistenza della persona in relazione al suo corpo e alla sua psiche. Le cause intrinseche della persona sono un atto di esistenza creato, ovvero l'essere formato da materia e anima che si compone degli accidenti fisici nel corpo umano. Resta da scoprire la causa estrinseca finale dell'anima, necessaria a costituire l'essenza della persona. L'anima comprincipiata della persona non contiene materia nella sua struttura esistenziale, quindi la sua causa estrinseca deve possedere carattere analogo. �Espressa geneticamente � effetto dell'influenza di quelle cause finali che non contengono materia nella propria essenza. Sostanze costruite soltanto dall'atto di esistenza e di essere, che � esclusivamente forma e possibilit� spirituale, sono gli angeli. Perch� nell'ambito che stabilisce la nostra potenzialit� si costituisca l'anima, il risultato deve essere evocato da cause finali, che sono gli angeli. Poich� queste comprincipiano l'anima umana, che non contiene materia nella propria struttura esistenziale e da sola non potrebbe costituirsi tale, intervengono a questo punto gli angeli come cause estrinseche dell'essere dell'anima umana, in accordo con la proporzione risultante tra causa ed effetto� (Gogacz 1987, p. 97). La stessa ragione quindi esige l'esistenza degli angeli e - se vuole restare logica - deve arrivare alle opportune conclusioni su tale questione. E poich� per san Tommaso non vi era conflitto tra fede e ragione, poteva scrivere sugli angeli come esecutori della provvidenza divina: �Fra queste [cause] in modo particolarmente universale realizzano la provvidenza divina le sostanze spirituali, che chiamiamo angeli, essendo particolarmente vicine alla Prima causa. Sono dunque gli angeli esecutori universali della divina provvidenza. Infatti il loro nome � significativo, �angeli� ovvero �messaggeri�. I messaggeri infatti sono tenuti a eseguire gli ordini del loro mandante�. Forse per� il pi� interessante degli spiriti filosofici, considerandoli dal punto di vista contemporaneo, � il genio di Cartesio, probabilmente al tempo stesso il pi� stupefacente: la voce che udiamo alla soglia della modernit� in filosofia non � nemmeno un sussurro ma soltanto silenzio. Non cos� intellettualmente sottile come il suo predecessore scolastico, in compenso molto raffinato nell'azione, cosa che accentua la sua consonanza con lo spirito del suo tempo. � al tempo stesso il pi� influente tra gli spiriti filosofici moderni. In rapporto al suo silenzio andrebbe caratterizzato come tipo introverso e misantropo. Oggi, quando ormai sono trascorsi i migliori anni della sua vita e ha perso molto del suo significato, possiamo arditamente affermare che si trattava di una scaltra strategia. Perch� c'era forse bisogno di astuzia e disinvoltura per suggerire a Nietzsche l'idea dei pensieri blasfemi? E che bisogno c'era di far sfoggio di destrezza nel tessere la rete cartesiana di intrighi filosofici in cui � caduta con tutte le scarpe l'intera modernit�, che fino ad oggi si dibatte in essa? Quel genio merita indubbiamente grande interesse e altrettanta attenzione. La sua azione � stata scaltra. Non ha nascosto a Cartesio la sua potenza e le sue intenzioni, e al tempo stesso si � offerto al filosofo come il pi� umile servitore. Per effetto di ci� Cartesio ha postulato che non esiste �un Dio ottimo, fonte di verit�, ma un certo genio maligno, per di pi� sommamente potente e astuto� che ha �posto tutto il suo zelo ad ingannarmi� (Descartes, Meditazioni metafisiche, a cura di L. Urbani Ulivi, 2001, p. 157). Dunque lo stesso Cartesio, per propria libera volont�, a un certo punto ha invitato alla collaborazione il �genio maligno�, per dimostrare insieme la bont� di Dio che in precedenza aveva metodicamente contestato e per istituire i criteri della conoscenza certa. Il genio di Cartesio quindi � un demone ipotetico verso cui il filosofo ha indirizzato tutta la sua potenza intellettuale, in modo che lo spirito non potesse ingannarlo. Al tempo stesso se n'� servito come partner nel gioco della verit�. La scienza conosce questi demoni ipotetici. Se ne serve particolarmente volentieri la fisica per escogitare nuovi esperimenti (per esempio i demoni di Laplace e di Maxwell). Tuttavia sembra che la fisica controlli meglio gli spiriti, poich� l'effetto di queste considerazioni ipotetiche connesse all'esperimento implica, oltre all'arricchimento dello strumentario della scienza e un accesso pi� facile alla realt� fisica, la scoperta dei confini della conoscenza e delle potenzialit� dell'essere umano risultanti dalla mappatura della natura umana. Invece lo spirito di Cartesio rivela al cospetto del filosofo un ambito di controllo ancora maggiore. Si tratta qui di un controllo del pensiero umano sul mondo e al tempo stesso di un potere illimitato sull'essere umano. A Cartesio non � stato rimproverato come a Socrate di ampliare il culto della superiorit� umana, poich� il potere dello spirito della filosofia moderna era notevolmente pi� grande e comprendeva gli eccellenti intelletti dell'Illuminismo. Nessuno quindi si stupiva dell'impero della ragione in ascesa, in cui il mondo si rappresentava in modo chiaro ed espressivo. Un'eccezione � rappresentata da Pascal. La prima opera dello spirito cartesiano � stata l'istituzione del filosofo meditante come essere, quasi una sua �creazione�. Il filosofo, che dubita dell'esistenza del mondo e persino di se stesso, vede ovunque falsit� e illusione. In questa situazione una cosa soltanto non suscita in lui dubbi, e cio� l'esistenza dello spirito maligno, fonte di raggiri. �Ma c'� un non so quale ingannatore, sommamente potente, sommamente astuto, che di proposito mi inganna sempre. Ma allora di certo non c'� dubbio che io esisto, se egli mi inganna� (Descartes, cit., p. 163). E dunque per naturale conseguenza il soggetto meditante si rivela una derivazione dello spirito traviatore. La sicurezza della propria esistenza viene a basarsi sulla certezza dell'esistenza del demone. Ora che la ragione ha trovato sostegno nello spirito maligno come assoluto ontologico pu� finalmente chiedere: �Sono dunque una cosa vera, e veramente esistente; ma quale cosa?� (Cartesio, cit., p. 34). Le ulteriori considerazioni di Cartesio riguardano appunto tale questione. Scopre di essere una cosa pensante, e il suo intelletto contiene idee sul mondo che sono oggetto della sua attivit� conoscitiva. Tuttavia, soltanto in relazione a due idee si pu� avere la certezza che esistono: e cio� che io esisto e che esiste Dio. Queste due idee la ragione le esprime al grado pi� perfetto in modo chiaro ed espressivo, e questo � il confine delle possibilit� di conoscenza con l'aiuto della luce della ragione naturale. Tutte le altre idee possono essere create da me, e possono comunque essere false per effetto dell'azione dello spirito maligno. Non pu� essere falsa l'idea della mia esistenza, poich� essa si basa sulla certezza dell'esistenza dello spirito, n� l'idea di Dio, in quanto oltrepassa la realt� sensoriale e la natura dell'essere umano. Entrambe queste idee sono innate. �E di certo non c'� da meravigliarsi che Dio, creandomi, abbia infuso in me quell'idea, che fosse come il marchio che l'artefice imprime nella sua opera; e non � necessario neppure che quel marchio sia qualcosa di diverso dall'opera stessa. Anzi, nel semplice fatto che Dio mi ha creato risulta fortemente credibile che mi abbia fatto in qualche modo a sua immagine e somiglianza, e che io percepisca quella somiglianza, nella quale � contenuta l'idea di Dio, mediante la medesima facolt�, con la quale io vengo percepito da me stesso� (Descartes, cit., p. 215). A questo punto del ragionamento Cartesio fa un'aggraziata giravolta e dimentica il demone ipotetico, dal momento che gli � ormai riuscito di dimostrare l'esistenza di Dio e su questo di fondare la certezza del suo intelletto. Questa certezza deriva dal riconoscimento in Dio dell'Essere pi� perfetto, cosa che esclude anche la possibilit� di ingannare la mente umana. Il conseguimento della certezza in questi due argomenti, e in particolare l'esistenza di Dio e il fatto che egli non sia un ingannatore, � il momento culminante nel ragionamento di Cartesio, poich� altrimenti, come egli stesso afferma: �non mi sembra di poter mai essere pienamente certo di nessun'altra cosa� (Descartes, cit., p. 185). In questo modo Dio, che nel ragionamento � anche una conseguenza dell'esistenza dello spirito maligno, ha preso il suo posto assumendo il ruolo di assoluto ontologico. Da questo momento, evocato nel ruolo di Dio buono, � garante della vera conoscenza. La fede del filosofo nella bont� di Dio gli consente di credere che ci� che conosce con il proprio intelletto � la verit�. Tommaso d'Aquino sarebbe forse divertito dal ragionamento di Cartesio e rifacendosi all'autorit� di Aristotele dimostrerebbe l'inutilit� di questa argomentazione. Tuttavia, gi� ai tempi di Cartesio non era facile il rapporto con le autorit�. Lo stesso Cartesio, nonostante l'ambizione di costruire un modello del mondo completamente razionale, possedeva ancora abbastanza umilt� per pacificarsi con le contraddizioni e i punti poco chiari del suo sistema. E quindi, per esempio, non � stato conseguente nell'assolutizzazione dell'�io� n� nella fondazione di una realt� accessibile attraverso la conoscenza in base al dogma della coscienza. Sono arrivati a questo traguardo soltanto i suoi successori, a cui � mancata la virt� dell'umilt�. Anche nella questione del soggetto non si � espresso in modo univoco, non ha ridotto infatti definitivamente l'essenza dell'umano al suo ego come campo degli atti della coscienza, seppure il suo ragionamento proceda in tale direzione. Nella Sesta meditazione recupera i resti dell'unit� spirituale-corporale che costituisce l'essere umano (l'io completo che si compone di mente e corpo), anche se dal corpo non bisogna secondo lui attendersi nulla di buono. Nella conoscenza della verit� si � reso invece indipendente, in ultima istanza, dalla volont� del Dio buono, che non pu� desiderare di ingannare l'essere umano. Questa indipendenza non � stata notata da Husserl, che ripercorrendo la strada del ragionamento di Cartesio ha costruito un mostruoso �Io� trascendentale per poter ancorare a qualcosa la vera conoscenza. Non ha oltretutto bisogno dell'aiuto di nessuno spirito, nemmeno ipotetico, con cui poter avviare il discorso e trovare i riferimenti e il sostegno per il proprio pensiero. I tempi ormai erano cambiati. Husserl vive dopotutto in un'epoca in cui l'essere umano crea da solo i suoi dei. Un altro spirito filosofico degno di particolare attenzione � lo spirito-conversatore con il quale conduce una lunga disputa Johann Gottlieb Fichte. Questo spirito � importante nella genealogia delle apparizioni della filosofia moderna poich� discende in linea diretta da Cartesio, e inoltre � molto romantico. Appare a Fichte quando questi, assorto in un cosmo meccanicisticamente organizzato e spaventato dalla visione dei fini ultimi e perfetti, inizia a perdere la pace interiore e il sentimento della propria dignit� come essere umano. Lo spirito appare al filosofo e gli propone la conoscenza, quella vera. Facendo leva sul sentimento di libert�, sceglie il metodo opportuno per condurre una disputa, affinch� il suo interlocutore si senta soddisfatto nel suo bisogno di ingannare la libert� di pensiero e grazie a ci� lui stesso riesca ancora meglio a padroneggiare il proprio pensiero. Il metodo, d'altronde, � ben noto in filosofia. Lo utilizzava gi� Socrate ed � passato alla storia con la denominazione di �metodo maieutico�. Ed ecco come Fichte descrive l'apparizione dello spirito: �Una volta, all'ora della mezzanotte, mi parve che una meravigliosa figura mi passasse innanzi e mi rivolgesse la parola: povero mortale, sentii dire; accumuli, nei tuoi ragionamenti, errori su errori, e ti credi savio. Tremi dinnanzi a delle immagini paurose che tu stesso ti sei penosamente create. Abbi il coraggio di diventar veramente saggio. - Io non ti porto alcuna nuova rivelazione. Ci� ch'io ti insegno lo sai da gran tempo e devi soltanto ricordartene ora. Non ti posso ingannare; poich� tu stesso mi darai ragione in tutto, e se tu fossi deluso, lo saresti per colpa tua. Fatti coraggio; ascoltami, e rispondi alle mie domande. Io presi coraggio. - Si appella alla mia ragione. Voglio osare, mi dicevo. Egli non pu� costringermi a pensar nulla; ci� ch'io devo pensare, lo devo pensare da me; se debbo lasciarmi convincere, questa convinzione devo crearla io stesso in me� (Fichte 1944-1970, p. 53). Come si vede lo spirito ha promesso al filosofo non certo una bazzecola, ma addirittura la saggezza autentica, la libert� e l'indipendenza di pensiero. Non dice per� nulla sul prezzo del suo servizio. Da questo punto di vista Mefistofele � stato pi� leale nei confronti di Faust. In una lunga disputa lo spirito dissolve un pezzetto alla volta tutte le ultime convinzioni del filosofo e disvela l'universum dell'ego. Il filosofo lentamente perde il sentimento della realt� che fino a quel momento lo ha legato al mondo trascendente. Per effetto degli argomenti messi in campo dallo spirito, a cui non riesce a non dare ragione, sprofonda completamente nell'immanenza del proprio io. Usando furbescamente le arti speculative il demone ha imprigionato il filosofo nella gabbia del proprio io e la sua vittoria � resa ancora pi� trionfale dal fatto che il filosofo si � chiuso in essa quasi con le sue stesse mani e con il suo intelletto. Tutta la conoscenza che il filosofo ha estratto dalla conversazione con lo spirito si rivela soltanto un gran vuoto, cosa che lo stesso spirito riconosce francamente nel finale della discussione. La discussione di per s� si � dimostrata una tortura per la mente del filosofo, poich� non avendone ricavato vera conoscenza essa causa nel suo cuore una confusione ancora pi� grande. Nel congedarsi, tuttavia, lo spirito racconta quasi di sfuggita che nessuna conoscenza pu� dare la verit� e se si anela alla realt� bisogna cercarla in un modo diverso che prescinda dalla conoscenza e dalla sapienza. E rivela al filosofo uno strumento segreto che possiede, il cui utilizzo � fonte di calma. Lo strumento segreto si rivela una voce interiore che sollecita il filosofo ad andare oltre le conclusioni del pensiero speculativo riconoscendo la realt� delle proprie fantasie. � una voce innata della fede presente in ciascun individuo, sulla cui base si forma in noi una visione naturale del mondo. Fichte chiama questa voce anche �voce della coscienza�. Il sentimento della realt� ottenuto attraverso la fede consente di attivare lo slancio all'azione presente in ogni individuo. Riconoscendo la realt� delle proprie fantasie, l'individuo ora pu� dare forma a piacere al suo mondo e a se stesso. Diventa quindi signore di se stesso e del mondo. Che altro pu� desiderare? Ma la voce della coscienza dice al filosofo ancora dell'altro, in particolare lo chiama alla vocazione di formare il proprio mondo e se stesso. La coscienza decide di qualunque azione, e ascoltandola l'individuo crea il bene attraverso le proprie azioni. � difficile affermare se lo spirito che conversa parli ora con la voce della coscienza del filosofo, poich� Fichte non si interroga su questo punto e non fa caso alla sua provenienza. Forse questo sospetto non � giustificato. Bisogna tuttavia notare che la voce della coscienza in Fichte in tanti casi ricorda il daimon di Socrate. E dunque quello spirito filosofico rivive forse negli scritti del filosofo romantico... La docilit� di Fichte nei riguardi degli spiriti lo conduce sulla strada pericolosa dell'utopia. Infatti, dopo aver scoperto con il loro aiuto che l'essere umano � artefice del proprio mondo, scopre in s� nel contempo il desiderio di un mondo diverso e migliore. Questo desiderio si trasforma in vocazione, poich� al filosofo si dispiega una visione in cui la natura, l'essere umano e tutta la societ� e gli stati vengono rinnovati in nome del bene. Il fine a cui tendere � una situazione di organizzazione ideale per l'umanit�, in cui essa raggiunger� la stabilit�. Sar� un'esistenza razionale perfetta. �Non � la ragione che esiste per l'esistenza, ma � l'esistenza che esiste per la ragione. Un'esistenza, che per se stessa non soddisfa la ragione e che non risolve tutte le sue domande, � impossibile che sia il vero essere� (Fichte 1944-1970, p. 138). Certamente questa visione deve essere stata suggerita al filosofo da uno spirito-utopista, che oltretutto ha raggiunto il culmine della superbia. Il fatto che Fichte consideri le azioni terrene una preparazione alla vita eterna, o il segno di una sottomissione alla legge morale non modifica tale giudizio. Nella prospettiva dell'eternit� riesce a infrangere in parte l'immanentismo del proprio io indicando un altro ordine come riferimento alla vita terrena, e soprattutto quando addita Dio come creatore del mondo nei nostri pensieri (il collegamento dell'esistenza di Dio con l'assoluto dell'io condurr� i suoi seguaci filosofici alla conclusione che anche Dio � un prodotto dell'io umano). Dal punto di vista filosofico questa non pu� essere una soluzione soddisfacente, sebbene anche Cartesio si sia salvato con una fuga verso Dio. Tommaso d'Aquino avrebbe forse sorriso contemplando la ritirata intellettuale di Fichte. A Fichte stesso questa cura dell'intelletto ha fatto bene, poich� ha trovato la tranquillit� a cui ardentemente anelava. �[...] e io me ne sto libero, e perfino il mio mondo se ne sta tranquillo e immobile. [...] Il mio spirito � chiuso per sempre all'inquietudine e alla confusione, all'incertezza, al dubbio e all'ansiet�; il mio cuore � chiuso alla tristezza, al pentimento, alla brama� (Fichte 1944-1970, pp. 174-175). Oltre quello di Fichte vi sono ancora altri spiriti romantici. Ma nella filosofia dello spirito attuale essi tacciono caparbiamente, zittiti dai positivisti. Tuttavia, come sappiamo dall'esperienza passata, essi riescono ad agire anche tacendo. Anche ai filosofi non resta altro che tacere, dal momento che non sanno con chi intavolare una discussione. Tacere e aspettare, fino a che si far� vivo forse qualcuno dei demoni filosofici. Cos� bisogna intendere l'esortazione di Wittgenstein alla filosofia perch� taccia? Meglio comunque del mondo prigioniero della lingua di Gadamer, che oltretutto non vuole rivelare quale demone governa quella lingua. Ci si pu� infatti far assalire da centinaia, milioni di parole in tutte le lingue e rimanere senza speranza di toccare le cose? Senza odori e colori? Senza speranza nella visione del mondo e nell'ascolto della musica? Avvolgere l'essere umano in una rete di parole � quasi una nuova cattivit� babilonese, da cui ci pu� liberare soltanto qualcosa dall'esterno, una creatura proveniente da un altro mondo, cos� come ci ha rinchiuso in essa non si sa quale demone. Poich� non � la parola che cerca la cosa, ma la cosa che cerca la parola, bisogna che la cosa sia nominata affinch� la parola possa indicarla. I confini linguistici sono confini della conoscenza, ma non sono confini esistenziali. Eppure anche la parola vive. Vive e vuole liberarsi dal dominio, per tornare alla cosa. La filosofia del linguaggio di Gadamer � quindi ancora un affaruccio da demone cartesiano, invisibile dietro una rete di parole e ben istruito oltretutto nel kantismo. A dire il vero l'esistenza va oltre la lingua e la parola � secondaria rispetto all'esistenza. E qui non ci aiuta il silenzio dei filosofi, infatti c'� bisogno di una lingua, bisogna chiedere a un profeta la parola che ci liberi dalle pastoie del demone e apra i cancelli della nostra prigione, facendoci recuperare la libert� promessa. La ragione forse non si sviluppa proprio per scavarsi la propria fossa? E tuttavia non vogliamo uno sterminio della civilt� umana accompagnato da esplosioni, bens� una ragione che torni alla Parola che indica, cos� come la lingua tende alla cosa che denomina. Tuttavia, affinch� ci� accada, la ragione deve innanzitutto intraprendere una lotta contro i falsi dei, gli spiriti autonomi che abbandonata la volont� del Creatore vogliono far girare il mondo secondo i proprio piani. A questo scopo essi cercano inizialmente di isolare la ragione umana dalla Parola. Inventano allora le trappole pi� varie, per far cadere la ragione nella propria rete e farla prigioniera. La ragione istintivamente si difende, ma sebbene protetta dagli angeli, essa � debole di natura e soccombe alle istigazioni dei demoni. E facilmente si corrompe quando manca la fede. La fede che si accompagna alla Parola. Senza fede nella Verit� � impossibile qualunque teoria filosofica della verit�, e inoltre se un filosofo vuole formulare il criterio della verit� deve esplicitamente o implicitamente accettare l'esistenza del principium che concretizza questa verit�. Tale realizzazione conferma la sua esistenza. Ma questo non pu� essere compiuto dalla mente umana, non � possibile poich� significa confermare l'esistenza delle cose nella loro pienezza, e ci� va oltre le possibilit� umane. Ecco perch� ogni criterio della verit� elaborato con il pensiero � parziale, proporzionato alla natura umana. Lo sapeva bene san Tommaso, che nonostante la separazione della filosofia dalla teologia perseguiva una verit� univoca. Questa saggezza � mancata a Cartesio e ai suoi successori. La ragione tuttavia ha voluto autogiustificarsi, desiderando un senso ed esigendo un assoluto. E cos� per semplificarsi questa esigenza i filosofi hanno cominciato a costruire d�i artificiali che a loro volta creavano esseri umani finti, un sistema cibernetico chiuso. Creato a immagine e somiglianza di un Dio vivo l'essere umano � diventato un robot. Ma come tale non funziona in modo troppo efficiente ed � facilmente preda della follia. Perch� mezzo mondo � intollerante al lattosio (Ilpost.it) - Siamo tra i pochi mammiferi a bere latte in et� adulta: la nostra ostinazione nel farlo anche se lo digeriamo male ci dice qualcosa sull'evoluzione umana. - Il latte � una delle bevande pi� consumate al mondo, eppure la maggior parte della popolazione mondiale ha diversi gradi di intolleranza al lattosio, il principale zucchero presente nel latte. La distribuzione delle persone che non riescono a digerirlo non � per� omogenea: ci sono posti del mondo in cui quasi tutte le persone riescono a bere il latte senza problemi, come l�Irlanda e buona parte del nord Europa, e altre dove l�intolleranza � molto diffusa, come in alcuni paesi asiatici. Le ragioni di queste marcate differenze sono ancora oggi un mistero, ma le molte ipotesi formulate in questi anni sulla base di test, esperimenti e grandi quantit� di dati suggeriscono qualche spiegazione e soprattutto dicono qualcosa su come siamo fatti e su come ci siamo evoluti. Nei primi anni di vita quasi tutti i mammiferi riescono a digerire normalmente il latte, l�unico alimento per i piccoli di molte specie compresa la nostra. Questa digestione � resa possibile dalla lattasi, un enzima che si occupa di scindere il lattosio in glucosio e galattosio, rendendo il latte pi� facilmente digeribile dall�organismo. Dopo lo svezzamento, l�attivit� dell�enzima si riduce in quasi tutti i mammiferi, determinando una intolleranza al lattosio. In alcune popolazioni umane, per�, la lattasi si mantiene attiva e rende possibile la normale digestione del latte anche in et� adulta, una condizione che viene definita: �persistenza di lattasi�. L�assenza o la minore attivit� della lattasi dopo i primi anni di vita fa s� che il lattosio non venga scomposto efficacemente, comportando problemi soprattutto a livello intestinale dove il lattosio fermenta. I meno esposti al problema hanno disturbi lievi, mentre chi ha maggiori difficolt� digestive fa spesso i conti con mal di pancia, accumulo di gas intestinale ed episodi di diarrea, che possono essere ricorrenti e nei casi pi� gravi debilitanti. A queste persone viene consigliato di solito di astenersi dal consumo di latte e di molti dei suoi derivati, oppure di assumere farmaci che aiutano l�organismo a digerire il lattosio. La persistenza di lattasi varia molto tra le popolazioni di esseri umani. Si stima che in Grecia ce l�abbiano solo due persone su dieci, mentre nei paesi nordici europei si arriva a 8-9 su dieci. Tra i pi� tolleranti al lattosio ci sono gli irlandesi, dove si stima che la persistenza di lattasi riguardi la quasi totalit� della popolazione. In Cina si stima che pi� dell�85 per cento della popolazione sia intollerante al latte e le percentuali sono molto alte in numerose zone dell�Africa, per quanto con qualche eccezione. Spiegare questa grande variet� nella distribuzione geografica non � semplice, ma aiuterebbe a comprendere meglio non solo il problema dell�intolleranza al lattosio, ma anche a capire come mai talvolta l�evoluzione si muove molto rapidamente. La capacit� di digerire o meno il lattosio ha infatti una componente genetica molto importante, mentre sembra avere meno a che fare con l�abitudine di continuare a bere il latte dopo lo svezzamento (come invece si sente dire spesso). Di solito � sufficiente che uno dei due genitori abbia la persistenza di lattasi per trasmetterla alla prole, perch� basta una variante del gene che regola l�enzima per digerire efficacemente buona parte del lattosio in una porzione di latte. Ma come mai ci sono posti del mondo in cui sono praticamente tutti tolleranti al latte e altri dove regna il mal di pancia? L�ipotesi pi� condivisa, per quanto ancora discussa, � che la persistenza di lattasi inizi� ad affermarsi in alcune popolazioni umane dopo la domesticazione e l�allevamento di alcune specie animali che producevano latte, circa 10mila anni fa. Prima di quel periodo le popolazioni di cacciatori-raccoglitori erano intolleranti al lattosio, secondo gli studi paleogenetici, basati quindi sulle caratteristiche genetiche degli umani pi� antichi. L�allevamento aveva reso disponibile in breve tempo il latte come nuovo alimento nella dieta di molte persone: era nutriente e permetteva di sfruttare molto pi� velocemente gli animali per nutrirsi rispetto alla macellazione delle loro carni, che era pi� laboriosa e richiedeva tempi pi� lunghi. La maggiore disponibilit� di latte fu quindi probabilmente uno dei fattori che favorirono una rapida evoluzione della nostra specie verso la capacit� di produrre la lattasi. Come avviene spesso con l�evoluzione, il processo non fu per� omogeneo e fu condizionato da numerosi fattori, come mostra il caso europeo. Ancora 5-mila anni fa pochissimi esseri umani riuscivano a digerire il latte, nonostante fosse ormai alquanto diffuso. Le cose cambiarono per� drasticamente in poche migliaia di anni, quando nelle popolazioni del nord Europa si present� una mutazione genetica che cambi� tutto, rendendo possibile l�attuale tasso del 95 per cento circa di tolleranza al lattosio tra chi vive nei paesi nordici europei. Per capire che cosa determin� questa accelerazione, un gruppo internazionale di ricerca ha provato a tenere traccia del consumo di latte da parte delle antiche popolazioni europee a partire da 9mila anni fa. Ha analizzato pi� di 13-mila frammenti di vasellame rinvenuto in vari siti archeologici ed � andato alla ricerca delle tracce lasciate dalle sostanze grasse del latte penetrate all�interno dei recipienti utilizzati dai nostri antenati. L�analisi ha permesso di confermare che gi� 9-mila anni fa il latte veniva consumato dalle popolazioni europee. Una successiva analisi basata sull�esame del materiale genetico di oltre 1.700 resti di esseri umani ha poi permesso di riscontrare l�emergere della variante del gene responsabile della persistenza di lattasi intorno a 5mila anni fa, a conferma del fatto che per molto tempo il latte era bevuto in assenza o con attivit� ridotta della lattasi. Dalle analisi dei dati raccolti non era emersa una differenza particolare nel consumo di latte prima e dopo l�avvento della persistenza di lattasi: a quanto pare la possibilit� o meno di digerire il latte non fu cos� determinante nella sua diffusione e in quella dei suoi derivati (che hanno una concentrazione variabile di lattosio, spesso pi� bassa). Quelle popolazioni non lasciavano che gli effetti spiacevoli condizionassero il consumo di latte. A ben vedere, qualcosa di analogo avviene ancora oggi. Una ricerca condotta nel Regno Unito su circa 500mila individui non ha trovato differenze significative nel consumo di latte tra chi ha la persistenza di lattasi e chi non ce l�ha. Gli intolleranti al lattosio non sembrano avere problemi di salute nel lungo periodo se consumano ugualmente latte, n� in termini di longevit� n� di capacit� di riprodursi. L�ipotesi � che nell�antichit� il latte fosse quindi consumato pur con qualche inconveniente perch� i benefici erano superiori agli aspetti negativi. Questa osservazione non aiuta per� a spiegare come mai a un certo punto molte popolazioni europee svilupparono ugualmente la persistenza di lattasi e cos� velocemente. Se potevano bere lo stesso il latte, che beneficio avrebbe portato svilupparla? Non c�� ancora una risposta condivisa e convincente fino in fondo, ma gruppi di ricerca hanno sviluppato alcune teorie. Una � che probabilmente lunghi e difficili periodi di carestia accelerarono la diffusione della variante del gene che rende tolleranti al lattosio. In condizioni normali � probabile che nessuno morisse per un�intolleranza al lattosio, visto che gli effetti sono dolori addominali e nel peggiore dei casi qualche episodio di diarrea. Ma avere questi disturbi quando si � malnutriti a causa della mancanza di cibo cambia le cose: episodi ricorrenti di diarrea debilitano ulteriormente l�organismo, favoriscono la disidratazione e nei casi pi� gravi possono causare la morte. In mancanza di altro cibo � probabile che ci fosse un maggior ricorso al latte, peggiorando ulteriormente la situazione per chi era intollerante. Dobbiamo immaginare che ci� avvenisse in un mondo molto diverso dal nostro, dove infezioni e malattie ora curabili con facilit� potevano rivelarsi letali. In un contesto simile, gli individui con persistenza di lattasi avevano pi� probabilit� di sopravvivenza rispetto agli intolleranti al lattosio. Ci fu di conseguenza una rapida selezione che insieme ad altre mutazioni del tutto casuali a livello genetico favor� l�emergere di popolazioni via via pi� in grado di digerire il lattosio. Il fenomeno si verific� in modo disomogeneo in varie aree dell�Europa favorendo la diversit� che riscontriamo ancora oggi. Un�altra teoria simile vede come causa le epidemie al posto delle carestie. Le prime popolazioni vivevano al chiuso in ambienti poco spaziosi e a stretto contatto con gli animali, in condizioni che potevano favorire la circolazione di virus e batteri. Se si ammalavano in molti c�erano minori possibilit� di gestire il raccolto, la disponibilit� di cibo diminuiva e si faceva un maggior ricorso al latte. Le persone gi� debilitate dalla malattia e intolleranti al lattosio avevano minori possibilit� di sopravvivenza rispetto a chi aveva la persistenza di lattasi e l�avrebbe poi trasmessa alla prole. Le simulazioni basate su queste teorie fanno riscontrare una corrispondenza tra l�aumento della persistenza di lattasi tra le popolazioni europee e i periodi in cui ci furono carestie ed epidemie. Lo stesso approccio fatica per� a trovare spiegazioni convincenti per altre aree del mondo. Nelle steppe tra Europa e Asia ci sono popolazioni che tradizionalmente consumano molto latte, ma tra i cui individui c�� una bassa percentuale di persone in grado di digerire il lattosio. Oltre al vasellame e alle analisi del materiale genetico, informazioni sul consumo di latte in tempi relativamente pi� recenti possono essere derivate dalle testimonianze scritte. Alcuni autori dell�antica Roma, per esempio, segnalavano nei loro testi con una certa sorpresa un importante consumo di latte da parte dei popoli nordici. Le condizioni climatiche probabilmente influivano sulla minore disponibilit� e variet� di cibo nel nord dell�Europa, rendendo pi� significativo il ricorso al latte come alimento. Uno studio realizzato sulle isole britanniche ha rilevato che la persistenza di lattasi si diffuse agli inizi dell�et� del ferro, circa un millennio prima della sua forte presenza in alcune aree dell�Europa continentale. Anche in questo caso la tempistica sembra indicare che il latte divenne in quel periodo un�importante fonte alimentare. L�alta percentuale di persone che digeriscono il latte avrebbe influito molti secoli dopo sulla diffusione della bevanda anche in luoghi dove non viene digerita, almeno secondo alcune recenti analisi sulla storia dell�intolleranza al lattosio. Nel suo libro Spoiled, parola che in inglese significa �avariato�, la storica culinaria statunitense Anne Mendelson scrive che quando il Regno Unito divenne una potenza mondiale estendendo il proprio dominio in numerose colonie, esport� nei territori conquistati tradizioni e usanze compresa quella di bere il latte. Era considerato un alimento nutriente, completo, relativamente economico e facile da digerire, almeno cos� ritenevano i britannici dall�alto della loro persistenza di lattasi. Popolazioni che non bevevano latte non processato, o che comunque lo bevevano in rare occasioni, si ritrovarono a cambiare le loro abitudini con le difficolt� del caso. Lo stesso avvenne in seguito anche quando gli Stati Uniti iniziarono a essere una potenza mondiale e ad avere una grande influenza su altri paesi. Tra la fine dell�Ottocento e l�inizio del Novecento, ricorda sempre Mendelson, alcuni medici iniziarono a comprendere il latte nelle loro indicazioni per la dieta dei pazienti e nei loro trattati, sostenendo che tutti gli esseri umani potessero digerirlo senza problemi. Dopo la Seconda guerra mondiale l�approccio rimase il medesimo, con campagne volte a incentivare il consumo di latte in molti paesi, spesso dovuto alla necessit� di sostenere economicamente il settore. Al crescente numero di persone che consumavano latte non corrispose un aumento considerevole di casi segnalati, soprattutto per i motivi che abbiamo gi� visto: gli effetti dell�intolleranza variano moltissimo da persona a persona, al punto che molti trascorrono la loro intera esistenza senza scoprire di essere intolleranti al lattosio. In alcuni casi � stata riscontrata la capacit� del microbiota � che viene chiamato spesso genericamente �flora intestinale� � di favorire la digestione del lattosio, rendendo quindi possibile un migliore assorbimento senza gli inconvenienti che provano altre persone. I disturbi intestinali possono essere inoltre molto lievi, specialmente se il consumo di latte o prodotti che contengono lattosio � saltuario e le quantit� ingerite non sono grandi. Altre persone ancora sviluppano invece disturbi importanti anche dopo l�assunzione di poco lattosio. A chi sospetta di avere un�intolleranza al lattosio di solito viene prescritto un �breath test� (test del respiro), che viene effettuato a intervalli regolari per un paio di ore dopo aver fatto assumere al paziente del lattosio sciolto in acqua. Se nell�aria espirata viene rilevato un alto tasso di idrogeno, significa che il lattosio non � stato scisso dalla lattasi e ha iniziato a fermentare nell�intestino. I gas che si producono a causa della fermentazione vengono assorbiti dalla mucosa del colon, finiscono nel circolo sanguigno e raggiungono i polmoni, che li eliminano attraverso la respirazione. Vengono poi utilizzati specifici parametri per stabilire se la concentrazione sia tale da essere riconducibile alla mancanza di attivit� della lattasi. La diagnosi di pi� casi e la maggiore accessibilit� dei test genetici dovrebbe favorire nuove ricerche e studi su come siamo diventati pi� o meno tolleranti al lattosio a seconda dei casi. Quantit� maggiori di dati dovrebbero inoltre facilitare un allargamento degli studi ad altre aree del mondo oltre l�Europa, dove finora si � concentrata la maggior parte delle ricerche, proprio per la presenza di popolazioni in cui l�intolleranza al lattosio � marginale se non quasi del tutto inesistente. Secondo i pi� critici la grande attenzione al contesto europeo ha portato a trascurare fenomeni che si verificarono migliaia di anni fa in Africa e in Asia, che potrebbero aiutarci a capire meglio il nostro rapporto travagliato, a volte letteralmente, col latte. Noi ragazzi contro Hitler (di Massimiliano Lorenzon, Focus Storia n. 196/23) - Il 22 febbraio 1943 venivano giustiziati i fratelli Sophie e Hans Scholl, membri della Rosa Bianca, il gruppo di studenti che nel 1942 si oppose ai nazisti. Riproponiamo l'intervista a Franz M�ller, uno dei sopravvissuti all'epurazione della Gestapo e uno degli ultimi testimoni di ci� che accadde. - Tra movimenti politici e azioni solitarie, si calcola che furono circa 100-mila i tedeschi che si opposero al nazismo. Tra i pochi gruppi organizzati, il pi� noto � quello della Rosa Bianca, che scelse la protesta non violenta ma and� incontro alla pi� crudele delle repressioni. Ne facevano parte alcune decine di giovani, soprattutto studenti cattolici dell'Universit� Ludwig Maximilian di Monaco di Baviera, guidati dai fratelli Hans e Sophie Scholl. In meno di un anno, dal giugno 1942 al febbraio 1943, i ragazzi stamparono clandestinamente sei volantini, distribuendoli di nascosto allo scopo di far sollevare i tedeschi contro la dittatura. Non ci riuscirono: il gruppo fu scoperto e i fratelli, con altri cinque membri, furono processati e condannati a morte per decapitazione. Altri fiancheggiatori finirono invece in carcere e si salvarono. Franz Josef M�ller, all'epoca diciottenne, era uno di questi, e consacr� la sua vita per tenere viva la memoria di ci� che accadde. Tre anni prima di morire per una malattia, nel 2015, raccont� la sua militanza nella Rosa Bianca, la cattura e la liberazione. Un'intervista preziosa, che vale la pena rileggere. - Come venne in contatto con il movimento di Monaco? �Era il 1942. Hans Hirzel, un mio compagno di scuola, figlio di un parroco protestante della mia citt�, Ulm, aveva rapporti di amicizia con la famiglia Scholl. Hirzel aveva soggiornato da loro a Monaco e partecipato ad alcune serate di lettura nel corso delle quali Hans Scholl, allora 24-enne, gli aveva chiesto se avesse amici di cui fidarsi, per aiutarlo a diffondere volantini antinazisti. Tornato a Ulm, Hirzel mostr� a tre amici - tra cui me - il secondo volantino della Rosa Bianca. Ci chiese se eravamo d'accordo con le idee del volantino (obiezioni etiche al nazismo, richieste di libert� di espressione, accuse di connivenza a chi taceva di fronte agli abusi del regime, ndr) e se volevamo distribuirli. Io accettai�. - Quale fu il suo ruolo? �Il mio ruolo attivo inizi� quando Sophie Scholl (allora 2l-enne) port� un migliaio di volantini della Rosa Bianca a Ulm, da diffondere nella vicina Stoccarda. Io e Hans Hirzel ci incaricammo di spedirli. Gli indirizzi li procur� Hans, che rub� un elenco telefonico a Stoccarda. Le buste e i francobolli li procurai io. All'epoca quasi tutto era razionato, per cui potevamo comprare solo tre buste per volta. Mio padre, per�, in quanto impiegato al centro di nutrizione del Reich, aveva un ufficio. Cos�, una mattina, gli rubai le chiavi e presi un'intera scatola di buste che portai nel nostro nascondiglio, nella Chiesa di Martin Luther, dietro l'organo. Per i francobolli invece avevo bisogno di soldi. Li chiesi a mia nonna, raccontandole che mi servivano per i libri di scuola. Andai quindi all'ufficio postale e chiesi 250 francobolli da 5 pfennig ciascuno. L'impiegato si insospett� e mi domand�: �A che cosa ti servono?�. Se in quell'attimo non fossi stato pronto a rispondere, il funzionario avrebbe chiamato la Gestapo. Dissi che vivevo in una grande famiglia di contadini: alcuni parenti erano caduti in guerra e dovevamo mandare gli annunci mortuari. Funzion�. A quel tempo avevo una gamba rotta, cos� Hans dovette recarsi da solo fino a Stoccarda con lo zaino pieno di buste. Qui, con l'aiuto di sua sorella, le imbuc� in diverse cassette per le lettere, per depistare la Gestapo�. - Non fu un rischio eccessivo? �Pu� sembrare cos�, ma non dimentichi che Hans e Sophie non avevano parlato a nessuno del loro progetto. Fino a quel momento era tutto rimasto segreto�. - Poi Sophie Scholl e il fratello tentarono un'azione pubblica nell'atrio dell'Universit� di Monaco, lanciando gli ultimi volantini. Un bidello li ferm� e li consegn� alla Gestapo. A poco serv� che gli Scholl si fossero dichiarati unici responsabili dei volantini... �Erano i primi mesi del 1943. Io ero al fronte con la Wehrmacht, in Francia. L� venni a sapere della condanna a morte dei fratelli Scholl e di Christoph Probst, durante il primo processo alla Rosa Bianca. Mia madre mi aveva inviato un ritaglio di giornale con il titolo �Traditori del popolo giustiziati!�. Ben presto risalirono anche a me. Fui arrestato e portato in Germania in tempo per il secondo processo alla Rosa Bianca, in cui altri tre membri di spicco del gruppo, Alexander Schmorell, Willi Graf e il professor Kurt Huber, erano accusati di alto tradimento, favoreggiamento del nemico, disfattismo. Il giudice Roland Freisler, presidente del Tribunale del popolo, dirigeva l'udienza. Era furioso. Urlava e insultava gli imputati. Io e Hans avevamo capelli biondi e occhi azzurri, cio� un aspetto �ariano�, e ce la cavammo con una sentenza lieve: �Hans Hirzel e Franz M�ller hanno - in quanto ragazzini immaturi sedotti dai nemici dello Stato - sostenuto una propaganda di alto tradimento contro il nazionalsocialismo. Per questo sconteranno cinque anni di carcere�. Huber, Graf e Schmorell furono invece condannati a morte�. - Durante il processo ebbe paura? �No. Vedere Freisler inveire mi convinse a prendere ancor pi� le distanze dai nazisti. Ero ormai certo di avere agito nel giusto modo�. - Come visse i due anni che mancavano alla fine della guerra? �Li trascorsi in quattro carceri diversi. I momenti peggiori furono all'inizio, quando fui detenuto nella prigione della Gestapo, fortunatamente per poco tempo: all'epoca del processo avevo diciott'anni e in Germania, a quell'et�, non si era maggiorenni. Cos� fui trasferito nel carcere minorile di Heilbronn�. - Poi arrivarono gli Alleati... �Nell'aprile del 1945, quando gli americani erano ormai vicini alla prigione, i nazisti, che non volevano che cadessimo nelle mani del nemico, ci evacuarono. L'obiettivo era radunarci nell'Alpenfestung (il territorio in cui, secondo i nazisti, l'esercito tedesco avrebbe dovuto ritirarsi per resistere agli invasori della Germania, ma che in realt� non vide mai la luce, ndr). Ci affidarono persino il bestiame che apparteneva alla fattoria della prigione. Mentre ero in marcia con due compagni, incontrammo un ufficiale che conoscevo che mi disse: �M�ller, tu hai vissuto in una fattoria e ne sai di mucche, no? Vi lasciamo in questo paese da un contadino. Quando finir� la guerra, potrete partire�. Dopo alcuni giorni gli Alleati arrivarono davanti al villaggio. Il sindaco ci mand� a parlare con loro - lui, membro del partito nazista, aveva paura - affidandoci il compito di consegnare il villaggio. Procedemmo fino a giungere davanti a un carro armato. Ci tremavano le ginocchia mentre sventolavamo un fazzoletto bianco in segno di pace. Nel carro armato si apr� il portellone e un soldato alleato chiese se eravamo dei Werwolf (Werwolf - in tedesco �lupo mannaro� - era il nome di un'organizzazione militare gestita dalle SS con il compito di compiere atti di sabotaggio contro gli Alleati, ndr). Per fortuna riuscimmo a convincerli che non era cos�. Gli ufficiali ci fecero salire sulla loro jeep e ci ricondussero a casa�. - Secondo lei la Rosa Bianca avrebbe potuto davvero rovesciare il nazismo? �La maggior parte dei tedeschi sosteneva in modo convinto il regime o divenne nazista perch� conveniva esserlo. Troppo pochi la pensavano diversamente e troppo pochi furono raggiunti dai volantini. Non credo fosse possibile eliminare il nazionalsocialismo dall'interno. Credo per� che chi lesse i nostri volantini fu almeno incoraggiato a resistere fino alla fine della guerra. Persino lo scrittore in esilio Thomas Mann, in un discorso radiofonico del 1943 tenuto in Gran Bretagna, parl� di noi, rendendo nota la resistenza tedesca�. - La Rosa Bianca, nel Dopoguerra, contribu� anche a sfatare l'idea che tedesco fosse sinonimo di nazista... �La storia dei fratelli Scholl e della Rosa Bianca, seppure lentamente, ha aiutato moltissimo a smontare questa equazione nell'opinione pubblica internazionale. Inoltre in quei volantini c'erano le premesse su cui porre le basi di un futuro centrato sull'idea di un'Europa libera: un futuro che si � realizzato�. Il testimone Franz Josef M�ller � nato a Ulm (Germania) nel 1924 ed � morto nel 2015 a Monaco. Cattolico, si iscrisse alla Giovent� hitleriana ma nel 1941 ne usc�. Nel giugno del �42 conobbe i membri della Rosa Bianca e cominci� a cooperare con il gruppo. Arrestato nel febbraio del 1943 mentre era in Francia con la Wehrmacht (le forze armate tedesche), fu condannato a cinque anni di reclusione. Liberato nell�aprile del 1945, riprese a studiare laureandosi in Giurisprudenza. Nel 1986 insieme ai parenti dei membri della Rosa Bianca che furono giustiziati a Monaco, fond� la White Rose Foundation a Washington e in seguito la Weisse Rose Stiftung a Monaco di Baviera. Nel 1991 � stato dichiarato Giusto tra le nazioni dal Museo dell�Olocausto Yad Vashem di Gerusalemme, che onora cos� le persone che aiutarono gli ebrei perseguitati e combatterono il nazismo.