Agosto 2023 n. 8 Anno VIII Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice Comunicato: chiusura per ferie Dal gesto alla parola, le origini del linguaggio Processo a Copernico Perch� alcuni cibi ci disgustano? Le creme solari, spalmate bene Come andavano in vacanza i nostri nonni? Comunicato: chiusura per ferie Informiamo i nostri gentili lettori che la Biblioteca rimarr� chiusa per le ferie estive dal giorno 14 al giorno 18 agosto 2023 e riaprir� luned� 21. Preghiamo coloro che si servono, per il recapito dei volumi Braille, del Corriere Espresso Bartolini di non restituire le opere durante tale periodo, al fine di evitare che alla Biblioteca vengano addebitati i costi di giacenza. Con l'occasione, formuliamo a tutti i nostri pi� sinceri auguri di buone vacanze. Dal gesto alla parola, le origini del linguaggio (di Alberto Oliverio, �Psicologia contemporanea� n. 222/10) - Molte ricerche indicano chiaramente che il linguaggio � emerso dai gesti: la prima forma di comunicazione nei bambini piccoli. - Quando si parla del linguaggio viene spesso citato il paradosso di Rousseau: secondo il filosofo e pedagogista ginevrino �sembra che la parola sia stata necessaria per stabilire l'impiego della parola�. In altri termini, come spiegare l'evoluzione del linguaggio, l'emergere delle parole, in assenza di parole che potessero spiegarle? I biologi hanno tentato di risolvere questo paradosso attraverso due diverse strategie comparate. La prima, che riguarda lo studio delle vocalizzazioni emesse dagli scimpanz� e da altri primati non umani, nella speranza di rintracciare una qualche connotazione verbale in questi suoni, si � rivelata un insuccesso. La seconda, invece, oltre che sugli studi comparati negli scimpanz� si basa anche su ricerche nell'ambito dello sviluppo infantile umano: in questo caso, i risultati indicano chiaramente che il linguaggio � emerso dai gesti, la prima forma di comunicazione evidente nei bambini piccoli. A favore dell'origine gestuale del linguaggio, da lungo tempo sostenuta dall'antropologo Philip Lieberman, � indicativo uno studio effettuato su scimpanz� e bonobo da due primatologi, Amy Pollick e Frans de Waal, che hanno identificato ben 31 gesti prodotti da movimenti dell'avambraccio, della mano, del polso o delle dita utilizzati esclusivamente al fine di comunicare e 18 segnali facciali e vocalizzazioni. I due ricercatori hanno notato che i segnali facciali e le vocalizzazioni avevano un identico significato nelle due specie, mentre lo stesso tipo di gesto veniva utilizzato in contesti diversi anche nell'ambito della stessa specie. Ad esempio, il gesto di tendere il braccio in avanti con il palmo aperto verso l'alto (come quando un mendicante chiede la carit�) viene utilizzato dagli scimpanz�, a seconda della situazione, per chiedere cibo o per riappacificarsi con l'avversario dopo un bisticcio o una lotta. In sostanza, il gesto � versatile e il suo significato dipende dal contesto. Questa e altre osservazioni da parte del gruppo di de Waal avvalorano un'origine gestuale del linguaggio, anche perch� i gesti possono essere controllati volontariamente, mentre le vocalizzazioni sono in gran parte involontarie e limitate a situazioni che implicano un coinvolgimento emotivo. Anche il linguaggio orale pu� essere considerato come un sistema gestuale, solo che i �gesti� sono legati a movimenti della lingua, delle labbra e della laringe che nel corso dell'evoluzione si sono sostituiti ai gesti delle mani, in tal modo libere di svolgere altre attivit� come sostenere un peso o produrre uno strumento. Nel corso dell'evoluzione alcuni comportamenti motori, come la capacit� di costruire e manipolare strumenti, hanno fatto s� che si affermasse una logica dei movimenti basata su una sequenza di passi concatenati, di nessi di causa ed effetto. Progressivamente, la corteccia motoria (nella quale si trovano i neuroni che controllano i muscoli) e quella premotoria (nella quale sono i neuroni che pianificano i movimenti muscolari) hanno sviluppato una crescente capacit� di generare sequenze di movimenti concatenati e hanno �contagiato� anche l'area di Broca, implicata nella motricit� della mano e del linguaggio, a produrre quei gesti e quelle sequenze di sillabe che sono alla base della comunicazione. Spesso si afferma che parlare, cio� articolare una sequenza di sillabe, somiglia alla complessa e raffinata successione di eventi muscolari necessari a scheggiare una selce o a scagliare una lancia: gli antropologi ritengono che queste capacit� manuali abbiano preceduto il linguaggio contribuendo a strutturarlo in termini di passi successivi a immagine dei movimenti della mano. Questo intreccio tra motricit� e linguaggio � d'altronde evidente se si considera qual � il mondo di un neonato, fatto appunto all'inizio di movimenti e azioni: ci� che un neonato inizialmente percepisce, sia pure attraverso il meccanismo ancora sfocato della sua visione imperfetta, sono una serie di azioni inizialmente compiute dalle persone che lo circondano. Tutte queste azioni hanno uno schema comune, quello di basarsi su una serie di passi successivi, di essere concatenate attraverso una logica interna, di basarsi su un prima e su un dopo, su conseguenze. Gradualmente il neonato apprende dalla logica interna dei movimenti e delle azioni i principi di sequenzialit� e di causalit�, essenziali per strutturare il linguaggio, per produrre movimenti fonatori congrui, per ordinare le parole secondo una progressione �logica�, simile appunto a quei movimenti che ha visto realizzare precocemente intorno a s� o a quelli che servono nella comunicazione gestuale, un'attivit� che rimanda al mondo primitivo dei nostri predecessori, pi� competenti in azioni motorie che non in un vero e proprio linguaggio. Ogni lattante, come hanno indicato Andrew Meltzoff e Keith Moore in uno studio ormai classico, partendo da una notevole capacit� di imitare i gesti dell'adulto sviluppa man mano un linguaggio gestuale che gli serve per comunicare con quest'ultimo o per manifestare i propri stati interni: ad un anno punta il dito indice verso il basso per indicare �qui�, spalanca le braccia con i palmi delle mani aperti per indicare una condizione di perplessit� o di dubbio, indica con il dito l'oggetto desiderato, protende in avanti le braccia per essere preso in braccio, agita il capo e le spalle a indicare il desiderio di partecipare ad una azione e via dicendo. Il �ciao� eseguito con la manina precede molto tempo prima la parola �ciao�... La gestualit� rappresenta a tutt'oggi una componente rilevante della comunicazione linguistica e gli adattamenti che l'hanno favorita possono essere stati un aspetto apprezzabile dell'evoluzione del linguaggio, come dimostra una ricerca su alcuni geni che svolgono, e non soltanto nella specie umana, un ruolo centrale nella produzione dei movimenti dei muscoli coinvolti nel linguaggio. Esistono numerosi studi su un gene, noto con il nome di FOXP2, le cui mutazioni rendono difficile la produzione di movimenti della bocca e della parte inferiore della faccia. I legami tra FOXP2 e linguaggio sono stati messi in luce attraverso uno studio di Simon Fisher e collaboratori su tre generazioni dello stesso gruppo familiare (la famiglia �KE�) i cui membri presentavano serie alterazioni dell'articolazione delle parole e alcuni deficit grammaticali. Gli errori nella produzione di parole erano tanto maggiori quanto pi� queste erano lunghe, gli errori grammaticali comportavano invece sbagli e imprecisioni nell'uso dei vari tempi dei verbi. Sembra per� ormai da scartare del tutto l'ipotesi che il gene FOXP2 abbia davvero ripercussioni sulla grammatica: oggi sappiamo che le mutazioni di questo gene producono un grave disturbo della coordinazione motoria dei muscoli facciali, il che avvalora quindi l'ipotesi che il linguaggio si sia evoluto a partire dai gesti, piuttosto che dalle vocalizzazioni. D'altronde i gesti compaiono pi� precocemente nel corso dello sviluppo umano e i bambini piccoli imparano ad utilizzarli prima ancora di utilizzare le parole. Nei primati, inoltre, i gesti rappresentano un prodotto evolutivo pi� recente delle vocalizzazioni che invece dipendono da strutture pi� antiche, come quelle del sistema limbico e non dalla corteccia, pi� recente in termini evolutivi. Che i gesti siano al centro del linguaggio � d'altronde molto evidente se consideriamo come � emersa una nuova lingua, il Nicaraguan Sign Language (NSL) descritto dalla psicologa Ann Senghas. All'inizio degli anni Ottanta del Novecento, nella citt� di Managua circa 400 bambini sordomuti frequentavano una scuola dove si tentava di insegnar loro a comunicare in spagnolo tramite il metodo dattilologico basato sull'alfabeto manuale (con le dita si imitano le lettere in stampatello dell'alfabeto). I bambini non fecero alcun progresso con questo metodo linguistico, ma per comunicare tra loro svilupparono man mano un nuovo linguaggio dei gesti, decisamente diverso dal linguaggio dei gesti in uso nel Nicaragua, una specie di nuova lingua gestuale che molti considerano come una nuova lingua emersa quasi dal nulla. Il gesto, quindi, ha una naturalit� e una valenza linguistica, come indicano gli studi effettuati con tecniche di neuroimaging (risonanza magnetica funzionale): nei sordomuti il linguaggio dei gesti viene infatti prodotto grazie all'attivit� dell'area di Broca nella corteccia frontale, la stessa area che controlla la produzione linguistica orale (produrre una parola con appropriati movimenti dei muscoli della bocca e della faccia) e i movimenti della mano. Anche nei primati non umani la produzione di gesti dipende dalla corteccia frontale, un'ulteriore prova a favore dell'origine gestuale del linguaggio e una soluzione del �paradosso di Rousseau�. Processo a Copernico (di Dennis Danielson, �Le Scienze� n. 547/14) - Al sistema eliocentrico proposto da Copernico si opposero non solo le autorit� religiose, ma anche alcuni scienziati in base a prove che sostenevano una cosmologia differente. - Nel 2011, un gruppo di ricerca del CERN di Ginevra ha inviato un fascio di neutrini a 730 chilometri di distanza, fino ai Laboratori nazionali del Gran Sasso all'Aquila. Quando gli scienziati hanno cronometrato quel viaggio, � sembrato che i neutrini avessero in qualche modo superato la velocit� della luce nel vuoto. Come ha reagito la comunit� scientifica a quel risultato sorprendente? Quasi tutti, anzich� abbandonare i consolidati insegnamenti di Albert Einstein, secondo cui nulla viaggia pi� veloce della luce, hanno sostenuto che le misurazioni dovevano essere sbagliate (come poi in effetti � stato dimostrato). Immaginiamoci ora tra quattro secoli, in un futuro in cui le idee di Einstein sono state soppiantate e gli scienziati hanno da tempo confermato che i neutrini possono viaggiare pi� veloci della luce. Guardando indietro, come interpreteremmo la reticenza dei fisici di oggi ad accettare l'evidenza? Saremmo portati a concludere che gli scienziati del XXI secolo erano semplicemente irremovibili nelle loro posizioni? Impermeabili alle idee nuove? Forse motivati da considerazioni non scientifiche, una manica di esaltati einsteiniani in linea con i dogmi dettati dalla tradizione e dall'autorit�? Preferiamo credere che gli scienziati di oggi riceverebbero un trattamento migliore, poich� la loro reticenza ad abbandonare conclusioni apparentemente fondate, anche se in futuro potrebbero rivelarsi sbagliate, � scientificamente ragionevole e non un segno di rigido pregiudizio. Nella storia della scienza, vicende come queste non sono eccezioni. Gli astronomi del XIX secolo, ipotizzando che la Via Lattea costituisse l'intero universo, nell'osservare le prime immagini di Andromeda furono comprensibilmente portati a credere di osservare un'unica stella circondata da un sistema solare nascente e non, come invece sappiamo ora, un ammasso stellare distante, composto forse da mille miliardi di stelle. Allo stesso modo, Einstein era sicuro che l'universo fosse statico, e per questo introdusse nelle sue equazioni una costante cosmologica che l'avrebbe mantenuto in questo stato. Entrambe queste ipotesi erano ragionevoli. Entrambe erano sbagliate. Come David Kaiser del Massachusetts Institute of Technology e Angela Creager della Princeton University hanno argomentato nell'agosto 2012, � possibile essere nel torto e allo stesso tempo molto produttivi. Con il senno di poi, tutto � sempre pi� chiaro. Ovviamente nel caso dei neutrini gli anni trascorsi a cui fare riferimento sono pochi. Una storia di cui invece conosciamo l'epilogo � quella di Niccol� Copernico e della sua teoria �eliocentrica�, secondo cui la Terra ogni giorno compie un moto di rotazione e ogni anno un moto di rivoluzione attorno al Sole, una teoria che noi tutti oggi accettiamo. Il sistema copernicano sfidava apertamente una convinzione di lunga data, codificata da Tolomeo, astronomo del II secolo, nel suo Almagesto, cio� che Sole, Luna e stelle ruotavano attorno a una Terra immobile al centro dell'universo. Copernico propose le sue idee nel 1543 nel De revolutionibus orbium coelestium, un libro che molti scienziati lessero, ammirarono, annotarono e usarono per migliorare le proprie previsioni astronomiche. Tuttavia ancora nel 1600, ovvero 57 anni dopo, non pi� di una decina di astronomi seri aveva rinunciato all'idea dell'immobilit� della Terra. La medesima che noi stessi sembriamo avallare quando ci riferiamo per esempio al Sole che sorge e tramonta. Questa impasse cosmologica � talvolta presentata come alimentata dal pregiudizio e superata solo nel 1603, quando Galileo costru� il telescopio e inizi� a osservare stelle, Luna e pianeti. Tutto ci� � falso. Per lungo tempo dopo il 1609 gli astronomi potevano ancora addurre convincenti argomentazioni scientifiche contro la teoria copernicana. La loro storia illustra particolarmente bene il tipo di buone ragioni che i ricercatori possono portare avanti per opporsi a idee rivoluzionarie. Anche a quelle che alla fine si rivelano spettacolarmente corrette. La cosmologia di Brahe Un critico particolarmente severo fu l'astronomo danese Tycho Brahe, che nel 1588 propose un sistema geocentrico diverso. Questa nuova cosmologia �geo-eliocentrica� aveva due grandi vantaggi: coincideva con le intuizioni di come il mondo sembrava comportarsi e, rispetto al sistema copernicano, si adattava meglio ai dati disponibili. Brahe era un personaggio di spicco, in un osservatorio simile a un castello portava avanti un'imponente programma di ricerca grazie a un budget paragonabile a quello della NASA, e disponeva della migliore strumentazione e dei migliori assistenti che il denaro potesse comprare. Furono i dati di Brahe su Marte che Keplero, suo assistente, avrebbe usato per scoprire la natura ellittica del moto dei pianeti. Lo storico Owen Gingerich, della Harvard University, � solito illustrare l'importanza di Brahe facendo riferimento a un compendio del XVII secolo di Albert Curtius, che riporta tutti i dati astronomici raccolti dall'antichit�: buona parte dei dati degli ultimi 2000 anni vengono da Brahe. L'eminente astronomo rimase colpito dall'eleganza del sistema copernicano, sebbene alcuni aspetti lo lasciassero perplesso. Uno di questi era la mancanza di una spiegazione fisica del movimento terrestre (Brahe visse oltre un secolo prima della nascita della fisica newtoniana, che forn� proprio questa spiegazione). Le dimensioni della Terra erano ragionevolmente note, e il peso di una sfera di roccia e polvere con un diametro di migliaia di chilometri era chiaramente enorme. Che cosa avrebbe potuto far ruotare un corpo simile attorno al Sole, quando gi� era difficile spingere un carro per strada? Al contrario, il moto di corpi celesti come le stelle e i pianeti era facile da spiegare: fin dai tempi di Aristotele gli astronomi avevano postulato che questi corpi fossero costituiti da una speciale sostanza eterea, inesistente sulla Terra, che aveva la naturale tendenza al rapido moto circolare, proprio come un carro tendeva a fermarsi se non veniva trascinato con forza. Secondo Brahe, il sistema copernicano �aggira completamente e con perizia tutto ci� che c'� di superfluo o discordante nel sistema di Tolomeo... Tuttavia esso ascrive alla Terra, quel mastodontico e pigro corpo inadatto al movimento, un moto veloce quanto quello delle torce eteree�. A questo riguardo, gli astronomi dell'antichit� avevano in comune qualcosa con gli scienziati moderni, i quali, per spiegare quello che vedono, postulano che la maggior parte dell'universo sia composta da �materia oscura� o �energia oscura�, qualcosa di completamente diverso da tutto ci� che conosciamo. Altro aspetto del sistema copernicano che lasciava perplesso Tycho erano le stelle. Tolomeo sosteneva che la sfera delle stelle fosse �incommensurabilmente grande�, dato che di queste non � possibile osservare alcuna parallasse diurna, cio� nessuna alterazione visibile della loro posizione o aspetto dovuta ai diversi angoli e distanze che si creano tra un osservatore sulla Terra e le stelle, lungo il percorso che le stelle compiono dall'orizzonte verso la volta del cielo e ritorno. Il corollario � che il diametro della Terra non � nulla in confronto alle distanze stellari: la Terra � �come un punto�, scriveva Tolomeo. Tuttavia Copernico sapeva che non era possibile calcolare nemmeno la parallasse annuale, ovvero la variazione della posizione delle stelle relative alla Terra causata dal suo movimento orbitale. Ma se era vero che la Terra ruotava attorno al Sole, l'assenza di una parallasse annuale avrebbe significato che anche il diametro della sua orbita (Copernico la chiamava orbis magnus) era un niente, �un punto�, in confronto alle distanze stellari. Le dimensioni dell'universo sarebbero diventate un nuovo, e quasi inconcepibile, �incommensurabilmente grande�. Inoltre, come Brahe sapeva, la proposta di Copernico aveva profonde implicazioni non solo in merito alle dimensioni dell'universo, ma anche a quelle delle singole stelle. Quando alziamo gli occhi al cielo notturno, le stelle sembrano avere un'ampiezza fissa, misurata sia da Tolomeo sia da Brahe. Oggi sappiamo che in realt� le stelle sono sorgenti puntiformi di luce, e queste dimensioni apparenti sono un artefatto dovuto al passaggio delle onde luminose attraverso un'apertura circolare quali sono il telescopio o l'iride. A quel tempo per� gli astronomi ignoravano la natura ondulatoria della luce. Usando la geometria, Brahe calcol� che se le stelle si fossero davvero trovate alla distanza indicata da Copernico, la loro ampiezza sarebbe stata paragonabile a quella dell'orbis magnus. Anche la stella pi� piccola avrebbe fatto sembrare minuscolo il Sole, proprio come un chicco d'uva sovrasta il punto alla fine di questa frase. Anche tutto questo era difficile da credere: secondo Brahe, stelle titaniche del genere erano assurde. Come ha poi affermato lo storico Albert Van Helden, �la logica di Brahe era impeccabile, e i suoi calcoli ineccepibili: un copernicano non poteva fare altro che accettare i risultati delle sue argomentazioni�. Invece di rinunciare alla propria teoria, a fronte di prove della fisica che sembravano incontrovertibili, i copernicani furono obbligati ad appellarsi all'onnipotenza divina. �Ci� che a prima vista il volgo considera assurdo non � facilmente ascrivibile all'assurdit�, poich� la Sapienza e la Maest� divine eccedono di molto la loro comprensione�, scriveva il copernicano Christoph Rothmann in una lettera a Brahe. �Che la vastit� dell'Universo e le dimensioni delle stelle siano immense quanto vi piace: esse non reggeranno mai il confronto con l'infinito Creatore. Si dice che pi� grande � il re, tanto pi� grande e maestoso � il palazzo adatto a Sua Maest�. Quale palazzo credete perci� si confaccia a DIO?�. Non influenzato da argomentazioni di questo genere, Brahe propose il suo sistema: Sole, Luna e stelle ruotavano attorno a una Terra immobile, come nel sistema tolemaico, mentre i pianeti orbitavano attorno al Sole, come nel sistema copernicano. Questo sistema �ticonico� manteneva i vantaggi del geocentrismo. Grazie a esso non era necessario spiegare alcun movimento di una Terra mastodontica e pigra, n� mancava all'appello alcuna parallasse annuale che implicasse stelle enormi e distanti: nel sistema di Brahe, queste stelle si trovavano appena oltre i pianeti, e avevano dimensioni ragionevoli. Eppure, riguardo ai pianeti, il sistema ticonico e quello copernicano erano matematicamente identici: in questo modo il primo manteneva l'eleganza della matematica del secondo, che Brahe pensava aggirasse tutto ci� che era superfluo o discordante nel sistema tolemaico. Quando Galileo inizi� a osservare i cieli con il telescopio fece una serie di scoperte in diretta contraddizione con l'antica cosmologia tolemaica. Pot� osservare le lune di Giove, provando cos� che l'universo era in grado di ospitare pi� di un centro di moto, e osserv� le fasi di Venere, dimostrando che quel pianeta ruotava intorno al Sole. Ma queste scoperte non furono accolte come prova che la Terra ruotasse attorno al Sole, dato che erano perfettamente compatibili con il sistema di Brahe. Un'argomentazione lunga 200 anni A met� del XVII secolo, molto dopo la morte di pionieri come Copernico, Brahe e Galileo, l'astronomo italiano Giovanni Battista Riccioli pubblic� un compendio enciclopedico delle opzioni cosmologiche esistenti, che intitol� Almagestum novum (in onore all'opera di Tolomeo). Riccioli aveva preso in considerazione le diverse argomentazioni pro e contro il sistema copernicano, che includevano questioni di astronomia, fisica e religione. Due tra le principali facevano pendere la bilancia decisamente a sfavore di Copernico: entrambe erano basate su obiezioni di natura scientifica, ed entrambe prendevano origine dalle idee di Brahe. Per alcune centinaia di anni a seguire, a nessuna delle due fu possibile obiettare in maniera definitiva. La prima si riferiva all'incapacit� di osservare determinati effetti che secondo Riccioli un pianeta avrebbe dovuto produrre sui proiettili e i corpi in caduta. Secondo Brahe, una Terra in rotazione dovrebbe deviare la traiettoria di un proiettile dalla sua linea retta. Tuttavia queste deviazioni non sarebbero state osservate fino al XIX secolo, quando lo scienziato francese Gaspard-Gustave de Coriolis ne propose una descrizione matematica completa ed esauriente. L'altra argomentazione, mossa da Brahe, riguardava le dimensioni delle stelle, che Riccioli miglior� grazie alle osservazioni con il telescopio. (Ricordiamo che Brahe aveva lavorato senza averne uno). Dopo aver elaborato una procedura per misurare il diametro delle stelle che fosse ripetibile, Riccioli scopr� che queste apparivano pi� piccole rispetto a quanto immaginato da Brahe. Nonostante il telescopio avesse migliorato la sensibilit� alla parallasse annuale, questo fenomeno non era stato osservato, implicando che la distanza delle stelle dovesse essere ancora pi� grande rispetto a quanto ipotizzato da Brahe. La ricaduta pratica di queste osservazioni era che le stelle dovevano essere davvero di dimensioni titaniche, come Brahe aveva predetto. Riccioli biasimava l'appello dei copernicani all'onnipotenza divina per aggirare il problema scientifico. Essendo un prete gesuita, non poteva negare la potenza di Dio, tuttavia rifiutava questo approccio, sostenendo che �sebbene questa falsit� non possa essere rifiutata, essa non pu� soddisfare l'uomo cauto�. La teoria copernicana fu quindi rifiutata per mancanza di solide prove scientifiche a conferma delle dichiarazioni quasi inverosimili che sosteneva in merito all'ordine di grandezza dell'universo e delle stelle. Nel 1674 Robert Hooke, supervisore agli esperimenti per la Royal Society, ammise: �Che la Terra si muova o sia ferma � una questione che, da quando � stata riportata in auge da Copernico, ha messo alla prova l'ingegno dei nostri migliori astronomi e filosofi contemporanei: ci� nondimeno, tra di essi non ce n'� stato uno in grado di trovare una manifestazione certa di una o dell'altra�. Al tempo di Hooke, le fila dei sostenitori di Copernico erano andate ampliandosi, sebbene in un certo senso accettassero le sue teorie malgrado le difficolt� scientifiche esistenti. Nessuno fu in grado di misurare in maniera convincente la parallasse annuale delle stelle fino al 1838, anno in cui ci riusc� il tedesco Friedrich Bessel. Negli stessi anni, il britannico George Aimry propose la prima teoria completa in grado di spiegare il perch� le stelle appaiono pi� grandi di quanto siano in realt�, e il tedesco Ferdinand Reich riusc� a identificare per primo la deviazione dei corpi in caduta indotta dalla rotazione della Terra. Ovviamente anche la fisica di Isaac Newton, inapplicabile nel sistema ticonico, aveva da tempo fornito una spiegazione del movimento della �mastodontica e pigra� Terra di Brahe. Al tempo di Galileo e di Riccioli, per�, chi si opponeva al copernicanesimo aveva dalla sua parte una scienza rispettabile, coerente e basata sull'osservazione. Alla fine, le tesi di questi studiosi si rivelarono sbagliate, ma ci� non fa di loro cattivi scienziati. Confutare le argomentazioni degli altri in maniera rigorosa era - ed � - parte della sfida, e del divertimento, del fare scienza. Il problema delle dimensioni delle stelle L'obiezione pi� schiacciante all'universo copernicano era il problema delle dimensioni delle stelle. Osservando una stella in cielo sembra che essa abbia un'ampiezza piccola, ma stabile: a partire da questo dato e dalla sua distanza, un semplice calcolo geometrico permetteva di definirne le dimensioni. Secondo i modelli geocentrici dell'universo, le stelle si trovano proprio al di l� dei pianeti: in questo modo, le loro dimensioni sono confrontabili con quelle del Sole. Ma la teoria eliocentrica di Copernico esige che le stelle siano estremamente distanti. Questo a sua volta implica che debbano essere esageratamente grandi, migliaia di volte pi� del Sole. I copernicani non erano in grado di giustificare l'anomalia dei dati senza fare appello all'intervento divino. In realt�, le stelle sono molto lontane, ma la loro ampiezza apparente � un'illusione, un artefatto dovuto al comportamento della luce quando entra in una pupilla o in un telescopio, un fatto che gli scienziati non avrebbero compreso per altri 200 anni. Perch� alcuni cibi ci disgustano? (Ilpost.it) - E perch� ad alcune persone succede pi� che ad altre? In parte � per una funzione evolutiva di difesa, ma c�entrano anche altri fattori. - Nelle settimane scorse � circolato molto sui social un test online (in inglese) che cerca di misurare e classificare tramite un�autovalutazione il disgusto per alcuni cibi sulla base dei diversi fattori specifici che lo attivano. Nel test, intitolato Food Disgust Test e sviluppato da una piattaforma (IDRlabs) che pubblica quiz tratti da articoli scientifici, viene chiesto di esprimere approvazione o disapprovazione riguardo a 32 affermazioni del tipo: �Trovo disgustoso mangiare formaggio a pasta dura dalla cui superficie sia stata rimossa la muffa� e �Trovo disgustoso mangiare pesce crudo come il sushi�, ma anche �non bevo dallo stesso bicchiere da cui ha bevuto qualcun altro�. Come specificato dagli autori, il test di sensibilit� al disgusto alimentare ha soltanto un valore didattico e non diagnostico (obiettivo per cui � consigliabile rivolgersi eventualmente a specialisti della salute mentale). Ha generato comunque un certo interesse ed � stato ripreso da alcuni siti di informazione per l�opportunit� che offre di riflettere su una delle emozioni primarie, il disgusto, e sui condizionamenti sociali, culturali e ambientali che subisce. Questi condizionamenti contribuiscono a determinare la variabilit� individuale e collettiva del disgusto alimentare e ne fanno qualcosa di molto pi� complesso e diverso da un meccanismo evolutivo di difesa dall�ingestione di sostanze tossiche e nocive. Il test circolato su internet si rif� a una classificazione dei fattori di disgusto basata su otto gruppi distinti, proposta nel 2018 da una ricercatrice e un ricercatore del Politecnico federale di Zurigo (ETH), Christina Hartmann e Michael Siegrist. Entrambi si occupano di comportamento dei consumatori, la disciplina che attraverso diverse branche delle scienze sociali (psicologia, sociologia, economia comportamentale, antropologia sociale e altre) studia il modo in cui le emozioni e le preferenze dell�individuo e del gruppo influenzano i comportamenti negli acquisti. Negli studi di Hartmann e Siegrist il disgusto per un certo tipo di cibi o un altro non � inteso come qualcosa che � soltanto o presente o assente, ma come una ripugnanza che pu� variare di intensit� a seconda dei casi. Una delle scale di sensibilit� al disgusto alimentare da loro descritte � il grado di sensibilit� alla carne animale, che determina la tendenza a provare disgusto per la carne cruda o per le parti degli animali mangiate meno comunemente (le frattaglie, per esempio). Una persona pu� gradire molto il sapore e la consistenza di una certa pietanza a base di un certo taglio di carne, ma avere un intenso disgusto per pietanze a base di altre parti e tessuti dello stesso animale. Dei diversi fattori di disgusto alimentare, scrivono Siegrist e Hartmann, si ritiene che la sensibilit� alla carne sia tra quelli con una pi� forte base culturale. Per ragioni molto radicate, che possono a loro volta essere influenzate da argomenti relativi ad aspetti religiosi e morali, un certo numero di persone in una determinata societ� pu� trovare disgustoso e inaccettabile mangiare carne di animali che invece sono parte della cucina di altri paesi in altre culture. In altri studi sul disgusto alimentare, simili fattori basati su argomenti di ordine culturale e morale sono risultati influenti anche nel caso del disgusto per i prodotti ottenuti tramite nuove biotecnologie, come gli OGM, o per quelli di origine animale considerati inappropriati, come i prodotti a base di insetti. I ricercatori suggeriscono che per molte persone influenzate da questi fattori il disgusto sia tale da renderli sostanzialmente insensibili a eventuali argomenti basati su una valutazione dei rischi e dei benefici dell�introduzione di quegli alimenti. Il genere di disgusto alimentare di cui si sono pi� occupati Hartmann e Siegrist � per� quello alla base di variazioni individuali e di gruppo meno omogenee e prevedibili rispetto a quello mediato da fattori culturali pi� estesi e condivisi. � in particolare un disgusto attivato da segni che possono essere interpretati in modo diverso da persona a persona. La sensibilit� alle muffe indicata da Siegrist e Hartmann come altro possibile fattore di disgusto, per esempio, � un esempio abbastanza chiaro di come un disgusto correlato alla possibile presenza di organismi patogeni possa emergere anche in presenza di muffe che non comportano rischi significativi per la salute. Il disgusto determinato dalla sensibilit� alle muffe � un meccanismo di difesa normalmente attivo di fronte ad alimenti potenzialmente dannosi, e cio� quelli su cui si sviluppano muffe che potrebbero renderli non pi� buoni da mangiare. I formaggi freschi, per esempio, richiedono di essere mangiati entro poche settimane, prima che la muffa favorisca la proliferazione di batteri nocivi. In questo caso il disgusto alimentare � strettamente correlato al disgusto in quanto emozione primaria, in grado cio� di attivare un comportamento necessario alla sopravvivenza: non ingerire il cibo andato a male. Lo stesso disgusto pu� per� manifestarsi anche quando la muffa non comporta concreti rischi per la salute, come nel caso di quella che a volte si forma sulla superficie di formaggi a pasta dura o semidura, come il formaggio svizzero o il cheddar. In questo caso � possibile mangiare il formaggio dopo aver rimosso la parte ammuffita, facendo attenzione a tagliarla via e non a raschiarla (azione che potrebbe aumentare il rischio di contaminare la parte non ammuffita). E ci sono poi anche alcuni tipi di muffe commestibili notoriamente utilizzate per produrre alcuni formaggi, come il Camembert, il Gorgonzola, lo Stilton o altri meno diffusi, che a seconda delle abitudini e dei gusti possono risultare deliziosi ad alcune persone ma sgradevoli ad altre. La ragione evolutiva del disgusto per questo tipo di alimenti � che il deterioramento del cibo, sia quello di origine animale che quello di origine vegetale, � spesso segnalato da cambiamenti di colore, consistenza, odore e sapore. E alimenti che presentano cambiamenti di questo tipo possono quindi indurre una reazione di disgusto, anche quando i cambiamenti non indicano necessariamente la presenza di agenti patogeni, come nel caso di un frutto la cui polpa diventa scura per effetto dell�ossidazione pur rimanendo del tutto commestibile. Un altro fattore di disgusto alimentare descritto da Siegrist e Hartmann non riguarda nemmeno dei cibi specifici bens� le condizioni igieniche relative alla loro preparazione o alla loro assunzione. Anche in questo caso il disgusto deriva da una predisposizione evolutiva a evitare o ridurre rischi di contaminazione del cibo. Ma la soglia di accettabilit� delle condizioni igieniche pu� variare molto, sia tra una cultura e l�altra, sia da persona a persona, e quindi in presenza di pratiche e abitudini alimentari condivise (ci sono persone che non mangiano stuzzichini se sono serviti su un piatto comune, per esempio). Nella letteratura scientifica il disgusto � considerato un�emozione primaria che protegge l�organismo scoraggiando l�ingestione di cibi il cui sapore o aspetto � spesso associato alla presenza di agenti patogeni. Si � quindi evoluto in un meccanismo pi� complesso, che aiuta a regolare il comportamento in varie situazioni sociali e interpersonali, tenendo conto dei relativi costi e benefici nell�evitare determinati stimoli. E per questa ragione � possibile considerarla �un�emozione dei confini�, come ha spiegato la dottoressa e psicoterapeuta Serena Barbieri del centro clinico Spazio FormaMentis di Milano. � un�emozione che ha originariamente a che fare con la ricerca e la disponibilit� di risorse nutrienti necessarie alla sopravvivenza. Non essere abbastanza �disgustati� mentre ci si muove all�interno di un ambiente potrebbe portare a ingerire sostanze nocive. Ma esserlo troppo � non mangiare un frutto un po� ammaccato � potrebbe limitare le opportunit� di nutrimento. Come ricordato dalla neuroscienziata canadese Rachel Herz, esperta nella psicologia degli odori e autrice del libro Perch� mangiamo quel che mangiamo, il disgusto � l�unica emozione di base che deve essere �appresa�, calibrando la propria reazione agli stimoli sulla base di regole e risposte condivise dai genitori, dagli altri membri del gruppo e dalla cultura in generale. E questa eredit� culturale subisce l�influenza dell�ambiente. Molti degli alimenti che possono dare disgusto sono quelli ottenuti tramite la fermentazione, il processo in cui gli enzimi di alcuni microrganismi � batteri e funghi, in particolare lieviti e muffe � scompongono lo zucchero presente in un cibo in altre sostanze. � uno dei metodi di conservazione pi� antichi e relativamente economici al mondo, perch� non prevede l�utilizzo di sale o di spezie ma soltanto l�assenza di ossigeno e il passare del tempo. Una delle ragioni per cui alcuni alimenti significano molto per determinate comunit� � che contengono qualcosa di essenziale della flora o della fauna di una certa regione, ha scritto Herz. E lo stesso vale per i microrganismi che rendono possibile la fermentazione dei cibi, che variano notevolmente da una parte all�altra del mondo. I batteri utilizzati nella produzione del Kimchi, un piatto coreano a base di cavolo e ravanelli fermentati, non sono gli stessi utilizzati per produrre il formaggio Roquefort. Il disgusto � stato condizionato nel tempo anche dalla disponibilit� di nuovi metodi, tecniche e strumenti di conservazione del cibo, dalla pastorizzazione ai frigoriferi, che hanno reso certi tipi di fermentazione meno necessari e diminuito la familiarit� delle persone con certi sapori. In uno studio di antropologia, biologia e psicologia pubblicato nel 2021 sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, i ricercatori analizzarono i comportamenti di disgusto tra gli Shuar, un popolo indigeno che abita nella regione amazzonica dell�Ecuador e del Per�. E scoprirono che i membri dei gruppi e delle famiglie meno isolate e pi� integrate nella moderna economia di mercato � quelli che vivevano non di agricoltura, pesca e caccia, ma con un lavoro salariato o vendendo prodotti agricoli � avevano pi� alti livelli di sensibilit� al disgusto, pi� probabilit� di evitare cibo avariato e un minor numero di infezioni batteriche, virali e parassitarie. Le creme solari, spalmate bene (Ilpost.it) - � di nuovo quel periodo dell'anno in cui ripassare come funzionano, come si applicano e soprattutto quanto sono efficaci nel proteggere la pelle. - Questa estate nei Paesi Bassi la crema solare sar� offerta gratuitamente alla popolazione, attraverso distributori collocati nei parchi cittadini, nelle aree sportive, intorno agli ospedali e in diversi altri luoghi pubblici. Vari comuni si sono organizzati nell�ambito di un�iniziativa per sensibilizzare sull�importanza del proteggersi dai raggi dannosi del Sole, che possono causare numerosi problemi di salute a cominciare dai tumori della pelle. I Paesi Bassi negli ultimi anni hanno rilevato un sensibile aumento dei casi di tumore riconducibili all�esposizione solare, come del resto vari altri paesi in Europa. L�impiego delle creme solari � consigliato dai dermatologi non solo perch� permette di evitare le scottature, ma anche perch� il loro uso corretto consente di ridurre sensibilmente il rischio di sviluppare un tumore della pelle. Il problema � che in pochi fanno un �uso corretto� delle protezioni solari, applicandone la giusta quantit� e ripetendo le applicazioni pi� volte nel corso della giornata, come indicato sulle confezioni e soprattutto nelle linee guida dell�Organizzazione mondiale della sanit� e di diverse altre istituzioni sanitarie. La pelle � la barriera pi� importante di protezione tra il nostro organismo e ci� che abbiamo intorno. Per tutta la vita � sottoposta a sollecitazioni fisiche e chimiche, compresa l�esposizione ai raggi solari che ne possono cambiare le caratteristiche, per esempio facendola disidratare e arrossare. Una eccessiva e prolungata esposizione ai raggi ultravioletti (UV), emessi dal Sole e che non vediamo a occhio nudo, � tra i fattori di rischio pi� importanti nell�insorgenza del melanoma e di altri tumori della pelle. In generale, la crema solare serve a ridurre la quantit� di raggi ultravioletti che arrivano sulla nostra pelle. Gli UVB sono filtrati in buona parte dallo strato di ozono atmosferico, ma la quantit� che arriva al suolo � comunque sufficiente per crearci qualche problema. Sono i principali responsabili delle scottature e anche per questo motivo sono quelli su cui ci si era concentrati pi� a lungo in passato, mentre emergevano ricerche e dati pi� chiari sugli effetti di un altro tipo di raggi ultravioletti: gli UVA. A differenza degli UVB, gli UVA hanno la capacit� di penetrare in profondit� nella pelle, stimolando la produzione di radicali liberi, atomi o molecole estremamente reattive che interagiscono con ci� che incontrano creando spesso danni. Possono per esempio deteriorare il collagene, una sostanza molto importante per la pelle, e accelerarne l�invecchiamento, oppure possono aumentare il rischio di tumore. Gli UVB sono di solito schermati dal vetro, per esempio dal parabrezza di un�automobile, mentre gli UVA no. Le creme solari moderne proteggono sia dagli UVA sia dagli UVB, ma � sempre opportuno controllare l�etichetta per accertarsi della protezione. La pelle si scurisce al Sole come meccanismo di difesa per contrastare i raggi ultravioletti. Quando ci esponiamo alla luce solare si attivano i melanociti, cellule specializzate che producono melanina, una sostanza che si trova in vari tessuti del nostro organismo compresa la pelle. L�attivazione avviene sempre, anche in pieno inverno, ma la produzione di melanina aumenta quando ci si espone per lunghi periodi al Sole. � in questa circostanza che la pelle si scurisce e diventa abbronzata, ma la sua colorazione non � in alcun modo l�indicazione di essere �pi� in salute�: semplicemente, � il segno che l�organismo si � attivato per provare a proteggerci dai raggi solari. La capacit� di protezione � per� molto limitata e deriva da come si � fatti, cio� dal proprio fototipo. Il principale riferimento per determinare il fototipo fu elaborato a met� degli anni Settanta da Thomas B. Fitzpatrick della Harvard School of Medicine negli Stati Uniti. Formul� uno schema di classificazione per il colore della pelle umana in base alla risposta di diverse persone agli UV. Il sistema fu poi modificato e integrato una decina di anni dopo e raggruppa le persone in sei categorie: dal fototipo I in cui sono comprese le persone che si scottano e non si abbronzano, solitamente con capelli e occhi chiari, al fototipo VI in cui sono comprese le persone che non subiscono scottature e hanno la pelle pi� scura. Nell�Unione Europea le creme solari sono molto normate, pur essendo comprese nel grande gruppo dei cosmetici (che hanno regole diverse dai farmaci, per esempio). I filtri solari, cio� le molecole che hanno il compito di assorbire/riflettere gli UV, autorizzati per il commercio sono 28: ogni crema solare ha un componente di assorbimento e uno di riflessione, con proporzioni che variano a seconda dei prodotti e delle esigenze. Tra i componenti pi� diffusi c�� il biossido di titanio, che arriva a costituire un quarto del contenuto della crema solare, cui si aggiungono poi gli altri filtri: nel complesso le creme sono quindi molto concentrate, anche quando non � segnalato in etichetta (�concentrato� � uno di quei termini usati molto dal marketing). Il numero indicato sulle confezioni delle creme solari indica il Fattore di Protezione Solare (SPF), ovvero la capacit� di proteggere la pelle dal Sole. Viene determinato sperimentalmente con test che vengono effettuati su una ventina di volontari, la cui schiena viene esposta a una lampada che emette raggi ultravioletti imitando quelli solari. Una parte della schiena rimane senza protezione mentre l�altra viene coperta dalla crema solare. La lampada � tarata per produrre una quantit� di UV che porti a un eritema sulla pelle non protetta di ogni soggetto, poi si passa all�area con la crema solare aumentando via via la dose di raggi UV. Trascorse alcune ore, si valutano le differenze tra le varie aree e si calcola il rapporto fra la dose minima di UV necessaria per produrre un eritema sulla pelle protetta dalla crema e per la pelle senza protezione. Da questo calcolo deriva infine l�SPF, il numero che viene indicato sulle confezioni. Per esempio: se serve una dose di UV cinquanta volte maggiore per far sviluppare l�eritema sulla pelle protetta dalla crema rispetto a quella non protetta, significa che la crema ha un SPF uguale a 50. La procedura viene effettuata per gli UVB, mentre per gli UVA il sistema � pi� complesso e rende necessario l�impiego di altri test. La sigla UVA-PF seguita da un numero indica il fattore di protezione per questi raggi ultravioletti, ma di solito sulle confezioni viene solo indicata la presenza della protezione UVB. I produttori possono metterlo sulle creme solo se l�UVA-PF nella crema � almeno un terzo dell�SPF, altrimenti non possono indicare nulla nell�etichetta. Un SPF 10 lascia passare 1/10 degli UVB, di conseguenza ne ferma il 90 per cento, un SPF 20 lascia passare 1/20, quindi ne ferma il 95 per cento e cos� via. Questi sono i valori che si trovano solitamente sulle confezioni e la relativa percentuale di efficacia nel bloccare i raggi solari: SPF 10: 1/10, 90%; SPF 20: 1/20, 95%; SPF 30: 1/30, 97%; SPF 50: 1/50, 98%; SPF 100: 1/100, 99%. Una protezione �totale� non esiste e nel caso dell�Unione Europea ai produttori viene consigliato di non usare numeri oltre l�indicazione �50+�, proprio per non indurre a pensare che con il numero di SPF pi� alto si abbia una protezione totale. In pi� occasioni si � anche discusso di eliminare l�indicazione numerica e di lasciarne una pi� generica che indichi protezione bassa, media, alta e molto alta, ma ci sono interessi (soprattutto commerciali) a mantenere l�indicazione numerica. Il numero di SPF d� la protezione corrispondente solo se la crema solare viene usata nel modo corretto, applicandone la giusta quantit� e cio� 2 milligrammi ogni centimetro quadrato di pelle: utilizzandone meno si riduce notevolmente l�effetto protettivo. Servono pi� o meno 30 grammi di crema per tutto il corpo, circa un sesto di una normale confezione. Non � necessario essere precisi al decimo di grammo e per questo dermatologi e dermatologhe consigliano di abituarsi a usare l�equivalente della capacit� di un cucchiaino di caff� (3 grammi) per viso e collo, altrettanto per ogni braccio e un cucchiaio da minestra (6 grammi) rispettivamente per ciascuna gamba, per la schiena, per il petto e per l�addome. Mettere met� della crema necessaria non fa semplicemente dimezzare il numero di SPF come credono in molti: la riduzione � pari alla radice quadrata del fattore di protezione di partenza. Un SPF 30 diventa quindi poco pi� di 5. La crema solare va applicata prima di esporsi al Sole, quindi � consigliabile spalmarsela prima di uscire all�aperto, per esempio per andare in spiaggia o in generale a fare una passeggiata. Ripetere l�applicazione periodicamente non serve solamente a ridurre il rischio di lasciare aree della pelle non protette, ma anche a ripristinare lo strato di crema che col passare delle ore tende a ridursi e rimuoversi. Ci� che d� protezione � infatti lo strato di crema solare stesso: funziona fino a quando � presente. Soprattutto d�estate, la sudorazione � una delle principali cause della sua rapida riduzione, cos� come qualsiasi altra azione meccanica sulla pelle, come infilarsi e sfilarsi degli abiti. Alcuni produttori indicano ancora sulle confezioni la capacit� della crema di resistere all�acqua, ma dimostrarlo non � sempre semplice e per questo � consigliabile riapplicare la crema solare dopo un bagno. Anche l�azione dei granelli di sabbia pu� portare via parzialmente la protezione, comunque. Quanto ai vestiti, esistono molti tessuti diversi tra loro e di conseguenza alcuni filtrano meglio di altri i raggi UV. Il denim dei jeans, per esempio, ha una buona capacit� di bloccare i raggi ultravioletti, mentre tessuti pi� leggeri come il cotone delle magliette non fanno molto. Da qualche tempo si trovano comunque costumi da bagno, abiti da trekking e altri indumenti realizzati con tessuti tecnici con un alto fattore di protezione, solitamente indicato nell�etichetta. Questi prodotti devono essere lavati con attenzione e utilizzando detersivi specifici per ridurre l�usura dello strato che protegge dai raggi solari. C�� la convinzione piuttosto diffusa che usando la crema solare �ci si abbronza di meno�. In realt� usando le creme solari ci si abbronza pi� lentamente, perch� come abbiamo visto l�abbronzatura � un meccanismo di difesa della pelle: i filtri solari fanno parte di quel lavoro di protezione. Alla fine ci si abbronza ugualmente perch�, come abbiamo visto, le creme solari non riescono a proteggere totalmente. Il livello di abbronzatura � comunque commisurato al proprio fototipo e in generale a come si � fatti. Arrivati al massimo possibile, non ci si abbronza ulteriormente. Non usare o usare poca crema solare mette sotto forte stress la pelle e pu� essere molto rischioso per la salute. Come andavano in vacanza i nostri nonni? (di Giuliana Rotondi, Focus.it) - Serate nelle stalle a raccontare storie, gite in bici con il dopolavoro... Le vacanze in Italia sono state a lungo una chimera. Finch� dopo la Seconda guerra mondiale arriv� il boom che rivoluzion� mode e costumi. - Prima che le vacanze vere e proprie diventassero una moda diffusa, come impegnavano, i nostri avi, il loro tempo libero? Quando la televisione, il cinema e internet erano ancora di l� da venire, c'era giusto la possibilit� di ascoltare la musica (che in Italia arriv� grazie alla radio durante il Ventennio); prima ancora, oltre alla lettura serale del giornale (esclusiva, per�, di chi non era analfabeta), c'era l'osteria. In campagna, c'era l'usanza della �veglia� nelle stalle dove gli adulti facevano piccole riparazioni, le donne cucivano e i pi� anziani raccontavano favole ai bambini. Di sabato il passatempo pi� frequente era trovarsi con gli amici e giocare a carte. In citt� a partire dagli anni '20 si cominci� inoltre ad andare al cinema: nelle citt� italiane iniziarono a diffondersi sale dai nomi esotici (Eden, Lux, Splendor...) che evocavano atmosfere da sogno. Durante il Fascismo il regime, impegnato a organizzare ogni aspetto della vita italiana, invent� gi� nel 1925 - a tre anni dalla Marcia su Roma - l'Opera nazionale dopolavoro (OND) che monopolizz� il tempo libero degli italiani: cre� strutture ricreative per fare ginnastica, realizz� angoli caff� e campi per il gioco delle bocce oltre ad aule per le lezioni serali. In quegli anni vennero inoltre organizzati treni a prezzi popolari che portavano bambini e adulti appartenenti alle organizzazioni fasciste verso le localit� balneari per gite giornaliere. Promuovendo anche la cosiddetta �elioterapia�, la cura del sole nelle colonie estive. Fu per� con l'industrializzazione che si fece strada l'idea moderna di tempo libero, simile a quella che abbiamo noi oggi. Nel secondo dopoguerra in Romagna ad esempio era esplosa la moda del liscio (ma la prima balera era nata a Bellaria, presso Rimini a fine '800) che divenne una grande attrazione. Mentre la diffusione delle automobili e un maggiore benessere economico favor� gli spostamenti: gli italiani scoprivano il turismo. Se nell'800 il turismo era d'�lite, riservato a famiglie aristocratiche e alto-borghesi (in localit� balneari, termali e montane soprattutto), alla fine degli Anni '50 ci fu il boom del turismo di massa, soprattutto sulla costa adriatica. I prezzi contenuti permettevano vacanze (da allora coincidenti con la chiusura delle fabbriche) anche a impiegati e operai che a bordo delle loro utilitarie raggiungevano comodamente le destinazioni desiderate. E in inverno? Il boom economico poi fin� per democratizzare anche il turismo invernale nato negli Anni '30 in localit� come Cortina, sulle Dolomiti e Sestriere in Piemonte. Si diffuse cos� la moda della settimana bianca che a partire dagli anni Ottanta divenne una tradizione per molte famiglie. Anche il week end divenne una moda negli Anni '80 quando gli italiani scoprirono il fascino dei viaggi all'estero. Fu a partire da quel periodo - grazie anche alla successiva diffusione delle compagnie di volo low cost negli Anni '90 - che la moda della vacanza �mordi e fuggi� divenne dilagante. Aprendo i confini del nostro mondo e rendendolo sempre pi� globale.