Ottobre 2023 n. 10 Anno VIII Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice La voce che ci rende immortali Voi avete provocato la crisi del regime La battaglia antisemita di Mussolini contro il jazz Quel che resta di Adam Smith �The Truman Show�, venticinque anni dopo La voce che ci rende immortali (di Massimo Fini, �Il Fatto Quotidiano�, 22 agosto 2023�) La voce. � una delle caratteristiche fondamentali non solo dell�essere umano ma anche di quello animale. Eppure pur consultando tutte le Treccani possibili e immaginabili non sono riuscito a cavar altro che la voce non � un organo dei sensi (come l�udito, la vista, l�olfatto, il tatto, il gusto) ma ne � una funzione. Li utilizza, i sensi, a suo uso e consumo. Nella voce � essenziale il timbro. Facciamo un esempio semplice semplice: le canzoni di Adriano Celentano o di Gino Paoli possono essere pi� o meno gradevoli ma si caratterizzano per il timbro dei due cantanti, un politico con la voce stridula, per quanto abile e competente, � spacciato. Gi�, il timbro. � il timbro, con quella sua erre moscia alla francese, che d� due linee di superiorit� sulle sue colleghe a Chiara Martinoli, telegiornalista di Sky, che legge benissimo, come le altre e forse meglio delle altre, la difficile prima pagina, ma uno � talmente attratto dalla sua voce che d� poca importanza a quel che dice anche se lo dice benissimo. Forse � anche per questo che viene utilizzata pochissimo, per lo pi� in programmi su temi tecnologici che farebbero cadere la mascella, per la noia, anche a un fanatico di algoritmi. Nel modo di comunicare attuale noi possiamo parlare con persone lontanissime, avere interlocuzioni intellettuali interessanti ma non abbiamo il tono di chi ci risponde che pu� cambiare il senso di tutta l�interlocuzione. La voce, attraverso marchingegni tecnici, pu� essere trasportata, mentre non puoi trasportare un ginocchio. Tu puoi ascoltare brani di cantanti morti da tempo, ma la loro voce � l�, viva. � in un certo senso immortale. Noi moriamo, muore la nostra vista, muore il nostro udito, muore il nostro gusto, muore il nostro olfatto, muoiono le nostre fragili ossa sepolte in qualche cimitero dove perdono qualsiasi senso, ma la nostra voce � ancora l�, viva, viva come ai tempi in cui la utilizzammo. Se ascoltiamo, poniamo, una canzone di Elvis Presley, Fame and Fortune per fare un esempio, Elvis � morto e stramorto da tempo ma la sua voce � la stessa di sempre. Per questo Platone preferiva il dialogo socratico allo scritto. Lo scritto � per definizione immobile. Ma nemmeno il dialogo pu� restituire la voce di Socrate mentre catechizzava i suoi adepti. Lo scritto, dialogante o no, resta immobile. � inquietante la voce. Perch� riporta nel mondo dei vivi la voce dei morti. Voi avete provocato la crisi del regime (di David Bidussa, �Prometeo� n. 162/23) - Cos� Mussolini aveva definito la seduta del Gran Consiglio che lo estrometteva. Una frase di denuncia ma in fondo non drammatica, quasi da analista politico. E tuttavia l�ormai ex Duce non coglieva una verit� essenziale: la disfatta del fascismo, prima ancora della sua personale d�bacle, era iniziata molti mesi prima e la mozione Grandi ne costituiva solo l�epilogo. A ottant'anni tondi da quegli avvenimenti, una disamina articolata dei diversi fattori che hanno segnato un passaggio decisivo per l'Italia. - Premessa. Quando ragioniamo sul 25 luglio e sull'evento scenograficamente pi� carico di confronto, ovvero la seduta del Gran Consiglio del Fascismo che sancisce, come scrive poi lo stesso Mussolini nelle sue note di memoria, la �crisi del regime", siamo costretti a riflettere contemporaneamente su una mole ridondante di documenti, ma anche su un sostanziale vuoto. A proposito della �crisi del regime� vale la pena riportare le parole stesse di Mussolini, che ricostruisce la scena in terza persona nel suo Storia di un anno, e cos� descrive il momento finale della riunione: �Il segretario del Partito [Carlo Scorza] diede lettura dell'ordine del giorno Grandi e chiam� i presenti. Diciannove risposero s�. Sette risposero no. Astenuti due: Suardo e Farinacci, che vot� l'ordine del giorno suo personale. Mussolini si alz� e disse: �Voi avete provocato la crisi del regime. La seduta � tolta!�� (Mussolini 1961, p. 351). Sulla veridicit� di questa ricostruzione ci sono molte perplessit� [Gentile 2018, p. XIV e sgg.]. Infatti, su quel momento, si ha molta letteratura, molte note e diari personali (oltre alle note personali di Benito Mussolini citate in Storia di un anno). Ma non c'� un verbale [Gentile 2018, p. 21 e sgg.]. L'operazione di ricostruzione storica su cui si � molto dilungato Renzo De Felice - in particolare De Felice 1996, p. 1362 e sgg. - e su cui, pi� recentemente, � tornato lo storico Emilio Gentile [2018 e 2022, pp. 1198-1213], consentono di ricostruire molti tasselli di quella scena, ma si concentrano prevalentemente sulle dinamiche interne �al Palazzo�. Quella scena, anche se sicuramente � ricostruibile dal punto di vista dei conflitti tra persone e tra istituzioni, rischia, tuttavia, di perdersi o di non essere colta nel profondo della sua natura di crisi generale, soprattutto se viene a mancare un riferimento e un'indagine sull'insieme del Paese. � efficace la metafora proposta da Emilio Gentile [2018, pp. XX-XXI], ovvero comparare l'insieme degli avvenimenti che hanno luogo tra il 24 e il 25 luglio 1943 a Rash�mon, il film di Akira Kurosawa in cui un evento (l'uccisione di un samurai da parte di un brigante dopo averne stuprato la moglie) � continuamente riscritto perch� i testimoni, prima di tutto l'assassino e la donna stuprata - ma anche il samurai ucciso evocato dal mondo dei morti - danno ciascuno una ricostruzione distinta della scena. Questa polifonia ci lascia prigionieri di una ricostruzione che alla fine � direttamente dipendente dal racconto orientato di ciascuno dei protagonisti. Per uscire da quello schema di gioco - interessante ma capace di produrre un esercizio retorico sulla viscosit� del fatto di cronaca - propongo di mettere insieme due diversi percorsi: da una parte gli effetti di quella scena; dall'altra gli elementi strutturali che nel tempo medio, ovvero tra autunno 1942 e estate 1943, conducono a quella scena. Che cosa rimane Considero quattro colpi d'occhio diversi. Il primo � nelle parole cariche di domanda politica che segnano la riflessione in carcere di Vittorio Foa: �Carissimi - scrive ai genitori il 29 luglio dal carcere - avevo appena imbucata la lettera di luned� [26 luglio 1943, ndr] quando ho avuto la notizia ufficiale della crisi di governo a Roma e della sua soluzione. [...] Tutto sembra fatto e tutto invece � appena all'inizio. Ho una fiducia profonda, non certo nelle lungimiranti decisioni dell'autorit� costituita, ma nell'azione del popolo italiano, se sapr� organizzarsi e segnare al governo l'unica via da battere nell'intenzione di tutta la nazione. L'avvenire non � facile, anzi si prospetta penoso e difficile, ma non oscuro, se l'organizzazione funzioner�. Le privazioni che ci attendono tutti nei prossimi mesi parranno piccola cosa in confronto alla tragicit� della situazione generale ed alla severit� dei compiti che ci attendono�. [Foa 1998, p. 1106]. Il tema � sostanzialmente la percezione di una vicenda solo all'inizio, non chiusa, che le settimane successive si incaricheranno di dimostrare nelle sue divisioni e lacerazioni, al di l� di ci� che avviene nelle strade d'Italia in cui la notizia del crollo del governo sembra alludere alla nascita di una nuova condizione molto sentita dall'opinione pubblica. Ovvero l'auspicio della fine della guerra [Pavone 1991, pp. 5-6]. Il secondo � nelle perplessit� che Leone Ginzburg comunica a Benedetto Croce il 14 agosto 1943 una volta che riprende contatto con gli amici a Torino dopo l'esperienza del confino: �...Ho rimandato di giorno in giorno questa lettera, immerso com'ero in un turbine di sensazioni e di pensieri. Le impressioni di Torino mi hanno integrato quelle di Roma. La gente � disorientata perch� non sa quello che deve volere. Il passaggio dalla riaffermazione teorica dei principi di libert� al loro progressivo concretamento nelle libert� particolari sembra che non sia facile, e ci minaccia una retorica della libert� di cui potranno valersi gli oppugnatori dell'uguaglianza. In altri ambienti, il passaggio dalla mentalit� �clandestina� alla normale mentalit� politica � reso pi� difficile dalle contraddizioni del momento, e ritarda un'impostazione dei problemi che sia chiara e comprensibile per tutti, anche per l'uomo della strada, nascendo dai fatti e determinando dei fatti, invece che dagli ordini del giorno� [Ginzburg 2004, pp. 263-264]. Il terzo � nel comportamento dei fascisti. Ha osservato lo storico Giuseppe Parlato [2006, p. 13 e sgg.] che i fascisti si riorganizzano all'indomani del 9 settembre. Riaprono le sedi del partito in tutta l'Italia settentrionale, con un iniziale, discreto successo di adesioni trasformando il partito in un partito di militanti, pi� che di aderenti [Gagliani 1999; Ganapini 1999]. Una reazione che, invece, non avviene all'indomani del 25 luglio quando il loro capo � arrestato in una situazione non chiarissima n� per chi procede all'arresto, n� per chi lo subisce [Parlato 2006, pp. 11-12]. Questo aspetto � centrale nell'autonarrazione che caratterizza il discorso pubblico e la dimensione dei militanti fascisti dopo l'8 settembre quando il rilievo mosso al Pnf era il suo processo di burocratizzazione che, secondo i critici, aveva portato a ritenere che potenza organizzativa equivalesse a forza politica. Se di fatto il 25 luglio 1943, dopo l'estromissione del Duce dal governo, il partito si era sfasciato nel silenzio e nell'inazione dei fascisti, a partire dalla fine del settembre 1943, alla riapertura delle sedi del partito, ora denominato Partito fascista repubblicano (Pfr), il centro sta esattamente nella dimensione mobilitante pi� che militante [Gagliani 2007]. Fa parte di questo rinnovato impegno, gi� prima del rientro di Mussolini in Italia, non solo la militarizzazione, ma anche la costruzione di strutture volte al sabotaggio nell'Italia liberata [Tonietto 2016]. Ma questo aspetto � in parte anticipato dalla linea della segreteria del Pnf di Carlo Scorza (divenuto segretario il 17 aprile 1943). Ci torner� tra poco. Il quarto � nella scena in piazza. Scelgo il fermo immagine pi� spiazzante. Siamo a Campegine, vicino a Reggio Emilia, � la sera del 25 luglio. La famiglia Cervi torna a casa dal lavoro e apprende incontrando persone in festa della caduta del fascismo. Il capofamiglia decide che bisogna festeggiare ma che non pu� essere una festa di famiglia, ma di tutto il paese, carabinieri e fascisti inclusi [Cervi 2010, p. 69 e sgg.] perch� come dice Aldo, uno dei figli, �dobbiamo convincerli dell'idea sbagliata e domani saranno tutti con noi� [ivi, p. 71]. Nessuna di queste scene contiene tutto il processo e il groviglio di questioni che stanno nel mosaico del 25 luglio (ossia un insieme composito complesso e turbolento di situazioni, emozioni, condizioni). Ma in quella scena dove il livello �alto� della politica e delle istituzioni crede di determinare la svolta della storia e il �basso� della strada crede di dare figura al processo di novit� o di cambiamento profondo, ci� che entra reciprocamene in dialogo � la possibilit� che si determini un cambiamento. La figura vera che sottost� a quel processo, pi� che la scelta - quale si delineer� a partire dall'8 settembre - � la percezione di essere al bivio e che, dunque, non ci sia pi� margine per l'ambiguit�. Il profilo � il repentino cambiamento delle condizioni generali e la necessit� di trovare soluzioni o di provare strade in cui ciascun attore riprende una propria dimensione da protagonista. Quella condizione non � propria di un momento ma si gioca in un arco temporale lungo almeno un anno - tra il tardo autunno 1942 e la fine anno 1943. Ogni volta a quel bivio la scelta ancora non indica la conseguenza, ma agisce da generatore che attiva passaggi non previsti di cui si tratta di prendere la misura e, poi, di governare. Il tema centrale � dato dalle emozioni. Consideriamoli velocemente. Quadri della crisi In un rapporto di polizia sulla situazione economica e morale dell'Italia datato 28 febbraio 1943 si legge che � diffuso �un grave disagio morale che insidia la capacit� di resistenza del popolo e che, si pu� dire, supera lo stesso disagio morale di guerra; se, ci� nonostante, mancano manifestazioni di aperta insofferenza, lo si deve al connaturato spirito di disciplina della Nazione, che fa pure escludere con sicurezza, almeno per il momento, ogni probabilit� di turbative dell'ordine pubblico. Ma il malessere esiste e va tenuto nel debito conto� [De Felice 1996, p. 774]. A questa data alcuni elementi della crisi sono gi� avvertibili. Riguardano soprattutto la dimensione militare. A novembre la sconfitta a El Alamein ha definito un rapido rovesciamento della dimensione della guerra ora avvertita ai confini, laddove con lo sbarco degli alleati in Africa e l'inizio della crisi della Francia di Vichy (8 novembre 1942) � ormai definitivamente chiara l'apertura di un secondo fronte della guerra nel Mediterraneo che non potr� non coinvolgere in prima persona il territorio italiano. Il quadro tuttavia � ancora pi� significativo se si considera un secondo fattore. Il rapporto di polizia precede di cinque giorni l'inizio dello sciopero che vede coinvolte in Italia circa centomila persone tra la prima e la terza settimana di marzo 1943. Non si tratta di scioperi generali o di una mobilitazione estesa su tutto il territorio nazionale. Ma � la prima manifestazione concreta e visibile di un dissenso e di un malessere che fa delle condizioni di vita materiale il nodo centrale della protesta. Gli scioperi durano dal 5 marzo alla fine del mese, prima a Torino e poi a Milano. La parola d'ordine � la richiesta di eliminare le privazioni, la cessazione della guerra [Spriano 1972; Massola 1973; Mason 1988]. Il senso di quella crisi, tuttavia, precede quel momento. Il primo segnale � nei giorni di novembre 1942. Il turning point non � solo il rovesciamento delle sorti della guerra lungo il Nord Africa, ma anche la novit� dei bombardamenti sulle citt� italiane, soprattutto Milano e Genova. L'editoriale non firmato ma del direttore con cui Primato - rivista fondata e diretta da Giuseppe Bottai - apre il numero del 15 novembre 1942 [Bottai 1942] parte da questo dato e insiste su un fattore che poi nei mesi successivi appare come una scommessa: l'idea che i bombardamenti non avrebbero fiaccato il morale degli italiani. Soprattutto anticipa un tema che ritroveremo nelle giornate immediatamente successive al 25 luglio: l'immagine degli italiani come �povera gente�, abituati alla vita dura, all'emigrazione, alle guerre. Una popolazione, scrive �...incline ad una coscienza filosofica e malinconica della vita, [che] ... acquista resistenza e fortezza proprio con l'accumularsi dei danni� [ivi, p.405], per poi sottolineare come la sventura del 1917 [il riferimento � ovviamente a Caporetto], sia l'esempio della capacit� di resistere e di reagire. Anche in questo caso, � bene sottolineare come il riferimento alla memoria di Caporetto torni pi� volte nei mesi successivi. Per esempio nel discorso pubblico che Giovanni Gentile (il tema � l'insistenza sul patriottismo come sentimento su cui doveva valere la mobilitazione) pronuncia in Campidoglio il 24 giugno 1943 [Gentile 1943, poi id., 1991, pp. 190-215]. Il Vaticano, il partito, il re C'� un primo dato, che emerge dal promemoria di Monsignor Tardini, membro della Segreteria vaticana, al Cardinale Luigi Maglione, Segretario di Stato, in data 10 maggio 1943. In quel testo si legge: �La situazione dell'Italia � d'una gravit� eccezionale. [...] Di fronte a questo triste spettacolo c'� da domandarsi se non sia consigliabile un intervento della Santa Sede. Per una parte � vero a) che la Santa Sede �, nel conflitto armato, neutrale; b) che un suo intervento potrebbe comprometterla quasi volesse patrocinare una pace separata (il che irriterebbe i tedeschi) e quasi volesse indebolire la resistenza del popolo italiano (del che potrebbe venir accusata dal Governo italiano). Ma d'altra parte, � vero altres�: che la Santa Sede, collocata, per divino volere, nel centro d'Italia, non pu� disinteressarsi dell'Italia stessa, alla quale � altres� legata da secolari vicende storiche; che il popolo italiano guarda con particolare fiducia, in questi momenti, alla Santa Sede, e specialmente, a Sua Santit� Pio XII felicemente regnante; che, di fronte alla riconosciuta incoscienza di Mussolini, sarebbe utile poter dimostrare domani che la Santa Sede ha veduto giusto e ha fatto il possibile in favore dell'Italia. [Non � da dimenticare che tutti gli anticlericali e molti antifascisti accusano la Santa Sede di aver sostenuto il fascismo!]; che, mentre gli anticlericali di tutti i tempi hanno ripetuto che la Santa Sede � sempre stata la rovina d'Italia, sarebbe, anche dal punto di vista apologetico, utilissimo se tutti potranno, ancora una volta e pi� che tutte le altre volte, vedere che la Santa Sede salva l'Italia. Naturalmente l'intervento della Santa Sede dovrebbe esser fatto in modo di non compromettere: n� la neutralit� della Santa Sede stessa, n� la sua dignit� e il suo prestigio di fronte al popolo tedesco e al popolo italiano� [Blet, 1973, pp. 318-3191. Il secondo dato � nella scelta che matura nella segreteria vaticana all'inizio della primavera 1943. Il 12 maggio 1943 Pio XII, con una nota verbale, trasmessa a Galeazzo Ciano, ambasciatore per l'Italia presso la Santa Sede, si rivolge personalmente a Benito Mussolini, preoccupato delle possibili conseguenze della guerra sul suolo italiano e precisa nella nota: �Di fronte a cos� tristi previsioni, il Santo Padre, per divino volere Vescovo di Roma e per vetusta disciplina canonica Primate d'Italia, vuole ancora una volta dichiarare all'on. Mussolini che Egli, come sempre, � disposto a fare il possibile per venire in aiuto al popolo che soffre� [Blet, 1973, p. 331]. � significativa - anche in relazione alla scena della riunione del Gran Consiglio - la reazione di Ciano, cos� come la trascrive per la Segreteria vaticana il Cardinale Maglione: �Quando ho letto e fatto leggere al Conte Ciano la dichiarazione che desideravo fosse riferita a Mussolini da parte del Santo Padre ho rilevato che in un primo momento il Conte l'abbia ritenuta un po' troppo vaga. Avendo poi riflettuto qualche istante, l'ha giudicata opportunissima e delicata, riboccante di tenerezza verso l'Italia. Ha aggiunto per� che, disgraziatamente, Mussolini non � in uno stato d'animo da comprendere la necessit�, non spiegata ma sottintesa nella dichiarazione, necessit� proclamata dai fatti, di pensare e senza dilazioni a trarre il Paese dalla disastrosa situazione, in cui � stato messo. Mi ha descritto con vivissima commozione i pericoli imminenti di un'offensiva degli Alleati contro l'Italia, l'impossibilit� di difendere efficacemente le tante citt� non solo della costa, ma anche dell'interno, che sono esposte a subire la stessa fine di Palermo, di Catania, Marsala ecc.. Ma Mussolini pensa ancora alla guerra, a tre o quattro anni di lotta...; in fondo non pensa che al pericolo di una rivoluzione interna, contro la quale vuole premunirsi con lo stringere i freni e con minacciare i plotoni d'esecuzione. E il Re non si muove: il Principe di Piemonte � preoccupato, ma non crede di poter parlare e meno ancora di agire per rispetto e per disciplina verso il Padre. Non bisogna farsi illusioni; gli Alleati attaccheranno l'Italia perch� debbono essere convinti che, riuscendo ad occuparla, provocheranno un collasso pronto e completo della Germania, la quale si sente odiata da tutti. Bisognerebbe trattare, ma Mussolini non vuole e gli Alleati non tratteranno mai con lui. �� tragico� ha ripetuto pi� volte. �Iddio e il Papa aiutino questo nostro povero Paese!�� [Blet 1973, pp. 331-332]. � l'inizio di una sfida silente fatta pi� di gesti che non di parole pronunciate, il cui momento simbolico � rappresentato dalla presenza di Pio XII a San Lorenzo il 19 luglio 1943 nelle ore successive al bombardamento alleato, quando Benito Mussolini e pi� in generale il governo brilleranno per l'assenza, per certi aspetti il segno evidente della frattura tra sentimento popolare e governo. Terzo dato: il ruolo e il peso del Partito nazionale fascista nella crisi. Nei mesi tra inverno e primavera 1943, il Pnf si presenta in una dimensione di rifondazione militante ma senza capacit� di mobilitazione. � il tratto che emerge dal profilo di Carlo Scorza (1897-1988), nominato segretario il 17 aprile 1943. Si tratta di un politico con due caratteristiche: da una parte � una figura che rivendica il passato orgogliosamente squadristico, dall'altra delinea quello che poi diviene un tratto essenziale del processo di �rigenerazione� con cui si presenta il Partito Fascista Repubblicano dopo l'8 settembre. Non sar� Scorza a rappresentarlo, viste le sue scelte defilate tra 25 luglio e 8 settembre, ma l'intento di rigenerazione politica che si palesa all'avvio dell'esperienza saloina � in buona parte nei dodici punti che proprio lui elenca nell'editoriale di Gerarchia, scritto subito dopo la sua nomina [Scorza 1943]. Ne emerge la tensione non solo a ricostruire, ma soprattutto a rifondare un partito fascista. Infine il quarto dato � relativo alle scelte della monarchia. Si sviluppano con lentezza, iniziano a delinearsi concretamente solo dopo la capitolazione di Pantelleria (giugno 1943). Il primo cenno fattivo e determinato avviene il 5 luglio 1943, come testimoniano le memorie del generale Paolo Puntoni, dal 1940 primo aiutante di campo del re. � in quella data, infatti, che Puntoni riporta nelle sue note la valutazione da parte di Vittorio Emanuele III di affrettarsi per rimuovere Benito Mussolini e favorire l'insediamento di una dittatura militare, guidata dal generale Enrico Caviglia o dal generale Pietro Badoglio. L'obiettivo � aprire trattative con gli alleati [Puntoni 1958, p. 136;]. Niente � dunque deciso e tutto resta in un territorio di incertezza che per certi aspetti si ripercuote nell'andamento stesso della seduta del Gran Consiglio nel tardo pomeriggio del 24 luglio 1943. Conclusioni Intorno al processo di azioni, dubbi e decisioni che si presentano alla fine di luglio 1943, prevale sempre l'incertezza, spesso la viscosit�, dei diversi attori che agiscono da protagonisti sulla scena. Il quadro alla fine nella sua oggettivit� � stato reso, non senza vuoti, sia dall'ampia e documentata ricostruzione documentaria di Renzo De Felice [1996, p. 1089 e sgg.] sia, pi� recentemente, da Emilio Gentile [2018; Id. 2022, p. 1183 e sgg.]. Ma le sfide di lungo periodo a cui quella crisi allude mi sembrano gi� espresse nella nota �a caldo� che Giaime Pintor elenca in una quindicina di pagine nell'ottobre 1943 [Pintor 1950, pp. 225-241]. �La monarchia e le sue incertezze; lo sconforto per la sconfitta militare; le alte gerarchie dell'esercito e il loro doppiogioco; l'incertezza e la solitudine dei partiti antifascisti; il disorientamento nelle strade il 25 luglio; il fallimento della classe dirigente italiana, anche quella che il 25 luglio si candida a sostituire Benito Mussolini; infine la necessit� di procedere a una �rigenerazione totale��. Il percorso che Giaime Pintor descrive � quello di una generazione che, nei giorni convulsi del settembre 1943 (ma gi� si potrebbe dire in una partita che � aperta da circa un anno sotterraneamente dall'autunno 1942) deve fare i conti contemporaneamente con l'antifascismo politico e militante che riemerge. Una situazione che delinea una condizione di un �antifascismo esistenziale�, come altri hanno detto, al cui interno maturano le scelte che si consumano in una prima stagione nell'autunno 1943 [Quazza 1976, p. 124 e sgg.]. Il tema, in breve, � quello lento e anche incerto del possibile percorso esistenziale di una generazione che si muove parallelamente all'emergere progressivo della crisi del regime con cui si era identificata e al cui interno era cresciuta [La Rovere 2006]. La battaglia antisemita di Mussolini contro il jazz (di Marcello Ravveduto, Fanpage.it) - Una delle principali vittime della campagna antisemita fu il Jazz. Nel 1939, quando ormai la legislazione razziale era entrata in vigore, il regime fonde l�avversione al genere musicale con la propaganda antiebraica imponendo l�italianizzazione di testi, musiche e interpreti; ma la storia pretende le sue rivincite. - Dopo settantasette anni, nell�ambito della XXIX edizione del Cinema Ritrovato svoltasi nel 2015 a Bologna, � tornato a far discutere il documento audiovisivo che riproduce il discorso del 19 settembre 1938 (restaurato dall�Istituto Luce) in cui il duce proclama la politica di separazione razziale. Una scelta che lo avvicina all�alleato tedesco, con la sua ossessione di pulizia etnica, e lo allontana dalle radici cristiane della nazione. Con la promulgazione delle leggi razziali, il Vaticano comincia lentamente a prendere le distanze dal regime fascista, costruendo un percorso autonomo che lo render� protagonista nella lunga fase di agonia istituzionale e di rinascita democratica (1943-1948). In pochi sanno che la legislazione si arricchiva nel 1942 di un provvedimento (legge numero 517 del 1942) disciplinante la �Esclusione degli elementi ebrei dal campo dello spettacolo�. Una decisione sostenuta in base all�affermazione che �il teatro, il cinematografo, la radio sono efficaci e popolarissimi strumenti di propaganda e come tali debbono essere posti al servizio delle nostre idee e dei nostri interessi�. Nell�articolo uno si vietava �l'esercizio di qualsiasi attivit� nel campo dello spettacolo a italiani ed a stranieri o ad apolidi appartenenti alla razza ebraica, anche se discriminati, nonch� a societ� rappresentate, amministrate o dirette in tutto o in parte da persone di razza ebraica�. Mentre con l�articolo due si impediva �la rappresentazione, l'esecuzione, la proiezione pubblica e la registrazione su dischi fonografici di qualsiasi opera alla quale concorrano o abbiano concorso autori od esecutori italiani, stranieri od apolidi appartenenti alla razza ebraica e alla cui esecuzione abbiano comunque partecipato elementi appartenenti alla razza ebraica�. Nel terzo articolo si passava a regolamentare il settore cinematografico: �� vietato utilizzare in qualsiasi modo per la produzione dei film, soggetti, sceneggiature, opere letterarie, drammatiche, musicali, scientifiche ed artistiche, e qualsiasi altro contributo, di cui siano autori persone appartenenti alla razza ebraica, nonch� impiegare e utilizzare comunque nella detta produzione, o in operazione di doppiaggio o di postsincronizzazione, personale artistico, tecnico, amministrativo ed esecutivo appartenente alla razza ebraica�. La legge, inoltre, prevedeva, all�articolo cinque, la costituzione di una commissione che aveva �il compito di provvedere alla compilazione ed all'aggiornamento degli elenchi di autori e di artisti esecutori appartenenti alla razza ebraica�. Gli elenchi, naturalmente, sarebbero stati pubblici in modo da esporre i �nemici della nazione� al pubblico ludibrio. Una delle principali vittime della lotta alla �propaganda� ebraica fu il Jazz. Il genere musicale aveva acquistato rilevanza in Italia e in Europa grazie al favore del pubblico che spingeva la stampa a cercare di comprendere e spiegare le origini della nuova moda jazzistica. Anzi si guardava con favore alla sua origine afroamericana e si sottolineava l�innovazione del rag-time, il tempo sincopato. L�allargamento dell�audience si rifletteva sulla composizione del palinsesto Eiar che cominci� a dedicare sempre pi� spazio alle novit� d�oltreoceano. Si generava, cos�, gi� nel 1934, una diatriba tra i sostenitori e i detrattori del jazz che rimaneva, per il momento, sul piano della critica musicale. Tuttavia, nella seconda met� del decennio, prendeva piede una tendenza che riconduceva il fenomeno a manifestazione tipica di societ� primitive e barbare: �una vecchia civilt� in decomposizione che non conosce pi� valori spirituali e professa soltanto il culto della vita materiale�, cos� si leggeva in una lettera indirizzata al direttore del �Radiocorriere�. Una musica incitante all�amore libero e selvaggio che sarebbe stato veicolo di inquinamento della sana e forte giovent� italiana: �una musica grassa, una musica che stempera il midollo spinale, una musica che suggerisce mollezze e lussurie�. Nel biennio 1935-1936 l�insofferenza al jazz si fondeva all�avversione verso alcuni aspetti delle societ� capitalistiche occidentali, in particolare quella americana che veniva rappresentata, per esempio nelle riviste, come dominata dal mito del denaro, popolata da gangster e donne di facili costumi, in cui la giustizia era fasulla e corrotta. La battaglia contro il ritmo sincopato si saldava con la volont� del regime di deoccidentalizzare gli italiani tenendoli lontani da qualsiasi manifestazione che potesse richiamare l�american way of life. Nel 1938 il �Popolo d�Italia� (il quotidiano fondato da Mussolini), iniziava una campagna per l�autarchia in campo musicale. I principali bersagli erano soprattutto i simpatizzanti del genere, affetti da �snobismo pseudo-artistico� e definiti spregiativamente �gag�. I balli ispirati a quella musica, del resto, erano considerati incivili, degni solo di essere interpretati da odiosi �negri�. Nel 1939, quando ormai la legislazione razziale era entrata in vigore, il �Popolo d�Italia� tornava ad attaccare congiungendo l�opposizione al jazz con il proselitismo antisemita: �il giudaismo mira contemporaneamente ad accumulare denaro e ad abbrutire l�umanit� la musica moderna di jazz � una delle armi giudaiche pi� forti e pi� sicure. Con quattro note musicali� i giudei d�oltreoceano sono riusciti a distruggere il senso artistico di molta gente e ad accumulare milioni e milioni; ora per� � tempo che il popolo italiano allarghi la sua sacrosanta campagna razziale anche in questo campo��. Alla fine l�ala radicale del Partito nazionale fascista si imponeva anche su questo tema: oltre alla diminuita importazione di musica americana si poneva la questione di �italianizzare testi e musiche� per la difesa della razza ariana. Nel 1942, con un grande battage pubblicitario, veniva annunciata la concessione della cittadinanza italiana al Trio Lescano � il gruppo canoro composto da tre sorelle olandesi di madre ebrea � e la successiva iscrizione al partito fascista, avvenuta il 7 aprile 1943 (ovvero poco tempo prima dell�arresto di Mussolini). La Storia, per�, pretende le sue rivincite chiamando in causa i diretti protagonisti. Il quarto figlio del duce, Romano (padre di Alessandra), fu un noto pianista jazz. Impar� ad apprezzare questa musica proprio negli anni Trenta quando la dittatura cominciava a censurarla. E come se non bastasse uno dei suoi maestri fu uno �sporco negro� il cui nome era Duke Ellington. Quel che resta di Adam Smith (di Alessandro De Nicola, �La Repubblica� del 5 giugno 2023) - Trecento anni fa nasceva uno dei pensatori che ha cambiato il corso della storia. E che continua a far discutere, resistendo al tempo. - Il 15 giugno del 1723 veniva battezzato (e la data da allora � fatta coincidere con quella di nascita) a Kirkcaldy in Scozia, una cittadina distante meno di 20 km in linea d'aria da Edimburgo, Adam Smith, l'economista e filosofo scozzese che ha cambiato il corso della storia del pensiero. Il piccolo Adam rimase orfano di padre, avvocato e funzionario doganale, appena due mesi dopo il parto ma la madre non si perse d'animo e allev� il figliolo fino a che a 14 anni (come era normale all'epoca) fu ammesso all'Universit� di Glasgow dove studi� filosofia morale sotto la guida di Francis Hutcheson, uno dei principali esponenti dell'Illuminismo scozzese. Nel 1740 approd� ad Oxford, che per la verit� non lasci� in lui una grande impressione: �La gran parte dei professori ha ormai rinunciato persino a pretendere di stare insegnando�. Smith riteneva le universit� scozzesi di qualit� superiore ad Oxford e Cambridge e secondo lui la causa risiedeva nel fatto che negli atenei inglesi i professori venivano pagati a prescindere dalla loro abilit� di attrarre studenti. Insomma, le regole del mercato non venivano rispettate. Lasciata Oxford nel 1846 il Nostro cominci� ad insegnare prima ad Edimburgo (dove nel 1750 incontr� David Hume, il grande filosofo scettico di cui rimase amico per tutta la vita) e, dal 1751, prima logica e poi filosofia morale a Glasgow, finch� fu assunto come precettore dal Duca di Buccleuch il che gli consent� non solo di girare l'Europa ma di sistemarsi economicamente per il resto della sua vita giacch� l'aristocratico gli assegn� una rendita vitalizia e lo aiut� a essere nominato come commissario delle dogane ad Edimburgo. Dopo una serena vita di studi Smith pass� a miglior vita il 17 luglio del 1790. Il filosofo � noto soprattutto per il suo libro del 1776, La ricchezza delle nazioni, che tratt� per la prima volta in modo sistematico la disciplina economica e fece di lui per l'appunto �il padre dell'economia politica�. Tuttavia, nel 1759 aveva pubblicato un'opera, Teoria dei sentimenti morali, che all'epoca aveva avuto un buon successo. In questo libro Smith si concentra sulle relazioni interpersonali e sviluppa il concetto di �simpatia� (che oggi chiameremmo �empatia�) nell'uomo, la cui presenza fa s� che esistano nella sua natura �alcuni princ�pi che lo rendono partecipe alle fortune altrui e che rendono per lui necessaria l'altrui felicit�, nonostante da essa egli non ottenga altro che il piacere di contemplarla�. � una visione ottimistica della natura umana aiutata dalla presenza di uno �spettatore imparziale�, una specie di coscienza innata, che ci giudica con gli stessi occhi degli altri. Moderazione, benevolenza, socialit� e la �conversazione" (quindi il pacato confronto di idee) sono i cardini della filosofia morale di Smith. � compatibile, questo approccio, con il self-love che il filosofo di Kirkcaldy pone alla base dell'azione economica? Ricordiamoci la celeberrima frase della Ricchezza delle nazioni: �Non � certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che hanno cura del loro interesse. Noi non ci rivolgiamo alla loro umanit�, ma al loro self-love e con loro non parliamo mai delle nostre necessit�, ma dei loro vantaggi�. Sul tema, denominato Das Adam Smith Probleme (in quanto sollevato dai sempre precisi tedeschi), si � parlato a lungo ed oggi la risposta pi� accreditata � che non ci sia contraddizione. Mentre nella Teoria dei sentimenti morali viene affrontata la questione di come l'essere umano si pone nei confronti dei suoi simili, nella Ricchezza delle nazioni si descrive la societ� impersonale, fatta di rapporti economici. Anzi, fedele alla tradizione illuministica scozzese attenta all'eterogenesi dei fini, Smith chiosa nell'altro celebre passo della Ricchezza delle nazioni: �Invero [l'imprenditore] n� intende promuovere l'interesse pubblico n� sa quanto lo promuova (...); dirigendo quell'industria in modo tale che il suo prodotto possa avere il massimo valore egli mira solo al proprio guadagno e in questo, come negli altri casi, egli � condotto da una mano invisibile a promuovere un fine che non entrava nelle sue intenzioni�. Molto altro ci sarebbe da dire di Smith: la descrizione del meccanismo della domanda e dell'offerta, l'allocazione efficiente del capitale come fattore del progresso economico, l'importanza della divisione del lavoro e del capitale umano, i pericoli dell'alienazione del lavoro manuale ripetitivo da curare per quanto possibile con l'istruzione, il ruolo limitato dello Stato (che per� pu� occuparsi di opere pubbliche), l'importanza di una congrua retribuzione (nessuna societ� � fiorente �se la maggior parte dei suoi membri � povera e miserabile�), l'avversione alle corporazioni, la teoria erronea del valore-lavoro delle merci, i vantaggi della concorrenza e del libero scambio rispetto a monopolio e protezionismo (di qui il suo anticolonialismo), la divisione dei poteri nello Stato di diritto. Tutte questioni, intuizioni e proposizioni che hanno retto la sfida dei secoli e che ancor oggi continuano ad essere discusse, criticate o elogiate, ma che consegnano il mite economista scozzese al Pantheon dei pi� grandi ed originali pensatori di tutti i tempi. �The Truman Show�, venticinque anni dopo - Ancora oggi citato e discusso, sembra aver anticipato alcuni temi molto attuali senza necessariamente volerlo fare. - Scritto da Andrew Niccol, diretto da Peter Weir e interpretato da un acclamato Jim Carrey per la prima volta in un ruolo drammatico, �The Truman Show� � un film con una trama tutto sommato semplice. Truman Burbank � un assicuratore che conduce una vita serena e senza pretese sulla placida isola di Seahaven finch� non viene assillato dal sospetto sempre pi� solido che la sua vita non sia davvero ci� che sembra. All�inizio del film Truman � totalmente all�oscuro del fatto che milioni di persone seguano la sua vita in diretta da quando � nato: un�emittente televisiva l�ha infatti adottato dopo una gravidanza indesiderata e da allora ha plasmato la sua realt�, facendolo crescere in un enorme set con centinaia di telecamere e pagando attori e comparse per interpretare i suoi genitori, i suoi amici, persino sua moglie. Nei venticinque anni dalla sua prima proiezione, l�1 giugno 1998, �The Truman Show� ha per� ispirato decine di elucubrazioni sul suo significato pi� profondo. Un�interpretazione moderna del mito della caverna di Platone? Un�esplorazione della psiche umana e della necessit� di sviluppare un�identit� matura e autentica, crescendo? Una storia distopica che esplora il tema della sorveglianza? L�esplicitazione della teoria secondo cui la realt� � effettivamente una simulazione in cui siamo intrappolati? Tutto questo? Nulla di tutto questo? Negli ultimi anni vari articoli giornalistici e accademici dedicati a �The Truman Show� l�hanno descritto come un�opera �profetica�, che avrebbe anticipato in tempi non sospetti diverse tendenze tecnologiche e sociali odierne come la pervasivit� dei reality show, l�enorme attenzione attratta da persone comuni che mostrano la propria vita quotidiana sui social network e la monetizzazione di questa attenzione, e in senso pi� ampio il capitalismo della sorveglianza, ovvero l�attuale modello economico perpetuato principalmente dalle grandi aziende tecnologiche che si basa sulla raccolta e la vendita massiccia di quanti pi� dati personali possibili. Un esempio specifico spesso riportato � il fatto che gli attori presenti nel Truman Show inserissero le pubblicit� ai vari prodotti nel bel mezzo delle proprie conversazioni con il protagonista, dato che lo �show� all�interno del film va in onda 24 ore su 24 senza interruzioni pubblicitarie: c�� chi assimila questo dettaglio del film alle pubblicit� inserite dagli influencer nei propri contenuti social, inizialmente pensati per dare uno spaccato delle loro vite e dei loro gusti autentici. �Oltre a prevedere la mania verso la reality TV, �The Truman Show� ha previsto anche la moderna pratica del product placement, le ricorrenti invasioni della privacy e il dilemma esistenziale di vivere per se stessi o per un pubblico, che sia in televisione o sui social media�, ha scritto su Vanity Fair Julie Miller. �Quando usc� �The Truman Show�, sembrava deliziosamente inverosimile. Il Grande Fratello non aveva ancora rivolto il proprio sguardo sugli Stati Uniti. Google era ancora limitata a un garage. I telefoni cellulari erano pensati effettivamente per le telefonate�, ha scritto il giornalista Darryn King su Wired. Oggi �sembra di stare nel Truman Show� � una battuta quasi scontata, come �sembra di stare in �1984�� riferendosi al romanzo distopico di George Orwell: l�ha detto il principe Harry parlando del rapporto tra i media britannici e la famiglia reale, ma anche il senatore statunitense John Kennedy parlando dello scandalo di Cambridge Analytica nel 2018. Quando Niccol ha cominciato ad approcciarsi al film con il regista Peter Weir, per�, nessuno sembrava pensare di star lavorando a una profezia. Weir pensava anzi che fosse �una magnifica storia di fantasia speculativa�, e un po� si preoccupava che le premesse non fossero credibili, perch� vari amici gli avevano detto che nessuno sarebbe stato cos� interessato a seguire la vita quotidiana di qualcun altro nella vita reale. Anche l�attrice Laura Linney, che nel film interpreta la moglie di Truman, ha raccontato che sul set �ridevano di quanto la storia sembrasse irrealistica�. �Non riuscivamo a credere che qualcuno potesse registrare la vita di qualcun altro e che la gente potesse volersi sintonizzare a guardare contenuti che all�epoca erano considerati banali, e considerare il tutto intrattenimento�, ha detto Linney. Il film nasceva piuttosto da un�inquietudine personale con cui Niccol convive fin da piccolo, e che nemmeno da adulto, anni dopo la produzione di �The Truman Show�, l�ha abbandonato: quello di essere intrappolato in uno show insieme ad attori poco credibili e materiali scadenti. Jim Carrey, invece, disse di aver accettato perch� si sentiva a modo suo un po� Truman: aveva da poco raggiunto lo status di celebrit� per una serie di ruoli comici molto riusciti e stava faticando moltissimo a far pace con l�idea di essere costantemente seguito dai paparazzi. �Posso basarmi facilmente sulle emozioni che provo davvero�, avrebbe detto al regista: �anch�io mi sento un prigioniero�. Niccol e Weir pensavano che fosse talmente perfetto per il ruolo che aspettarono un anno per averlo, dato che Carrey aveva dei film che doveva prima finire. Una delle frasi pi� memorabili del film � �Casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte!� � fu una sua intuizione. Nella prima versione della sceneggiatura, riscritta poi almeno 16 volte secondo le ricostruzioni, il film doveva essere ambientato a New York e con tratti molto pi� inquietanti: il protagonista era un alcolista �emotivamente alienato� che tradiva la moglie con una prostituta senza sapere che milioni di persone lo stavano guardando. Finiva per minacciare la vita di un bambino nel tentativo di farsi dire la verit� su ci� che gli stava succedendo. Tra i registi presi in considerazione c�erano Brian De Palma, noto per thriller di culto come �Scarface� e �Carrie�, e David Cronenberg, maestro dell�horror surrealista. Ma Weir, che aveva gi� lavorato a �L�attimo fuggente�, pensava che il tono cupo e l�ambientazione newyorchese rendessero il soggetto ancora meno credibile: �Perch� milioni di persone dovrebbero sintonizzarsi 24 ore su 24, 7 giorni su 7 su qualcosa di cupo e deprimente?�. Cos� New York � diventata una tranquilla cittadina balneare e Truman � stato trasformato in un sognatore che da piccolo voleva fare l�esploratore, prima che un insegnante gli tarpasse le ali dicendo che �non � pi� rimasto niente da esplorare�. �Non � assurdo dire che se De Palma non si fosse dimesso, e se Cronenberg non avesse poi rifiutato la proposta, o se la societ� di produzione avesse dato il via libera alla sceneggiatura originale, �The Truman Show� sarebbe stato un film molto pi� cupo e terrificante�, ha scritto la giornalista Meg Sipos. �Weir l�ha alleggerito, vi ha infuso pi� umorismo e ha ambientato la storia in una pittoresca cittadina di mare piuttosto che in una citt� bagnata dalla pioggia. In tal modo, ci ha regalato una commedia drammatica satirica di enorme qualit�, che pur mantiene qualche nota inquietante al suo interno�. Forse la pi� bizzarra eredit� del film, per�, � il fatto che abbia prestato il nome a un fenomeno psichiatrico: negli anni immediatamente successivi alla sua uscita, diversi psichiatri riportarono le storie di pazienti deliranti convinti che le loro vite fossero dei reality show allestiti per l�intrattenimento altrui. Molti di loro dicevano esplicitamente di sentirsi proprio come il protagonista del Truman Show.