Novembre 2022 dn. 11 Anno VII Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. Resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice Primi passi in azienda L�intelligenza delle rampicanti Il partigiano Beppe Fenoglio Hans Christian Andersen: le fiabe di ieri che ci facevano sognare, insegnamento per gli adulti di oggi Primi passi in azienda (di Andrea Castiello d�Antonio, �Psicologia contemporanea� n. 225/11) - Mai come oggi � difficile �entrare� nel mondo del lavoro, soprattutto per i giovani. Quali sono le aspettative dei neoassunti al primo impiego? E le aziende come li accolgono? - Per i giovani, le prospettive di inserimento nel mondo del lavoro sono oggi talmente ridotte che l�OCSE, nel suo ultimo report del 2010, colloca l�Italia al penultimo posto nel contesto dei 33 Stati membri. L�OCSE segnala altri dati che in Italia hanno una notevole influenza sul mondo del lavoro: la pressione fiscale che, nel 2009, � cresciuta fino a raggiungere il 43,5% del prodotto interno lordo, il tasso di evasione fiscale che � il pi� alto dell�Europa e l�essere collocati al 67o posto su 180 della classifica mondiale dei paesi percepiti come pi� corretti (Transparency International, 2010). Insomma, nulla di cui rallergrarsi! L�idea di inserirsi con soddisfazione nel mondo del lavoro pu� apparire a molti una sorta di chimera. Nonostante ci�, sia da parte dei giovani al loro primo �impatto� con il lavoro, sia da parte delle organizzazioni e delle istituzioni, la tematica dell�inserimento organizzativo dovrebbe rimanere centrale e ben presente nei pensieri degli uni e degli altri. Si tratta, infatti, di un momento delicato, un processo di iniziazione, una specie di imprinting, una matrice di base che condizioner� almeno tutta la prima fase della carriera professionale. L�accoglimento dei neoassunti nelle organizzazioni � da sempre un ambito di stretta pertinenza della psicologia del lavoro e di ci� che era un tempo la Industrial Psychology, la psicologia industriale della met� del Novecento. Il motivo per cui gli psicologi � ma anche i sociologi del lavoro, gli analisti di organizzazione e la parte migliore dei responsabili del personale � si devono occupare di tale argomento � in ci� che � stato sopra indicato, ma anche in un altro fattore, implicito e non dichiarato, eppure sempre presente: nessuno � nato per il lavoro dipendente! � da questa considerazione che si deve partire per riflettere sulle opportunit� e sulle �trappole� che incontra colui che muove i primi passi in azienda e sulle azioni, ben ponderante, che una sana direzione delle risorse umane dovrebbe attivare per rendere, appunto, positivo e costruttivo l�incontro tra essere umano e mondo del lavoro. Giovani, istruiti e disoccupati L�inserimento nel mondo del lavoro � stato descritto come una danza tra attori organizzativi, un confronto di attese reciproche, una transizione psicosociale, di bisogni, motivazioni e desideri, ma anche come l�incontro di due entit� che possono parlare lingue cos� diverse da rischiare l�incomprensione pi� totale. �L�ingresso lavorativo rappresenta l�incontro con persone, ambienti, regole sociali, ruoli e compiti da svolgere e il passaggio ad una nuova situazione sociale ricca di stimoli psicosociali da decifrare, interpretare e sui quali impostare la propria condotta� (Sarchielli, 2003). Il giovane che ha finalmente superato l�iter selettivo entra nell�organizzazione con un ricco bagaglio di attese, speranze, necessit�, ma anche timori e incertezze, oltre ad aver memorizzato tutto ci� che ha potuto comprendere e/o immaginare nel percorso di avvicinamento all�azienda. Le aspettative � con i desideri e le speranze che si muovono sotto di esse � possono risultare elevate e allora � quasi inevitabile che giunga la delusione, promossa anche dall�impatto con contesti socio-organizzativi non sempre facili. L�attesa di essere accolti e simbolicamente �abbracciati� con un caloroso benvenuto da parte di superiori e colleghi pu� andare delusa in un mondo in cui i climi di lavoro sono non di rado tesi, stressati e competitivi, come nelle imprese private, oppure lassisti, disorganizzati e non meritocratici, come purtroppo ancora accade in una parte della nostra amministrazione pubblica. Dunque, il neoassunto deve mettere in azione il proprio senso di realt�, cercando di percepire la realt� socio-organizzativa e professionale che lo circonda, allo scopo di comprendere l�ambiente in cui si � inserito, le sue leggi pi� o meno esplicite, le regole di base, le abitudini, i codici di comunicazione, i rituali e i simboli. Ci� che avviene � un processo di ristrutturazione cognitiva, affettiva e relazionale, che incide notevolmente sul senso di s� e sull'identit� personale. Sorpresa, spaesamento, momenti di entusiasmo e di sconforto, noia per i tempi lunghi di effettiva attivazione sul lavoro, oppure paura di commettere errori, sono elementi che permeano la mente e il cuore del giovane il quale tutto vorrebbe fuorch� trovarsi in una situazione di ambivalenza emotiva nei confronti del lavoro. Eppure l'ambivalenza � quasi la norma, cos� come la contraddizione � normale nel modo in cui l'organizzazione si mostra al nuovo venuto. Ben presto ci si rende conto che non esiste un'organizzazione razionale (un'azienda-orologio), cos� come � difficile mantenere un atteggiamento lucido e razionale nei confronti delle richieste spesso incongruenti e contraddittorie (talvolta dei veri double bind) che provengono da capi e colleghi. � chiamata in causa la capacit� del nuovo arrivato di posizionarsi emotivamente ad una giusta distanza dall'organizzazione: non troppo dentro, per non esserne fagocitato, con l'ansia di smarrire la propria identit�, ma non troppo lontano, per non essere emarginato. Cosa vuole davvero l'organizzazione? La cultura del lavoro nel nostro paese non appare particolarmente sviluppata in senso, per cos� dire, �moderno�: un paese, inoltre, in cui le grandi organizzazioni sono numericamente molto limitate e in cui gran parte del tessuto produttivo � costituito dalle piccole e medie imprese (PMI). In queste ultime, l'accoglimento del giovane neoassunto � sempre stato sostanzialmente inesistente o, nei casi migliori, limitato alla necessit� di far apprendere al giovane il pi� velocemente possibile i rudimenti operativi del mestiere allo scopo di renderlo subito �operativo� (�produttivo�). L'idea di far capire al nuovo arrivato dove si trova e come funziona nel suo complesso il sistema organizzativo, al fine di prevenire problemi futuri, non ha mai sfiorato l'imprenditore della PMI il quale, peraltro, tende ancora oggi a selezionare il personale a propria immagine e somiglianza. Per nutrire un qualche interesse verso questa adolescenza organizzativa che tipicamente vive il neoassunto, l'organizzazione dovrebbe possedere una minima dose di intelligenza manageriale e di sensibilit� alla prevenzione che, troppo spesso, non ha. In effetti, anche nelle grandi imprese, persino nelle imprese ricche e dotate di fondi da impiegare nella formazione, ancora oggi l'accoglimento dei neoassunti � considerato poco pi� di un rapido giro nell'unit� operativa di destinazione al fine di essere presentato ai colleghi di lavoro; va gi� bene quando viene consegnato un �kit di benvenuto� e una copia del contratto aziendale. Nei casi peggiori le cronache raccontano di nuovi assunti che sono rimasti privi della loro postazione di lavoro attrezzata per mesi e mesi. Ma perch� l'azienda o la pubblica amministrazione dovrebbero impiegare tempo e denaro per la socializzazione al lavoro dei giovani? Perch�, se questa vera e propria fase di passaggio non � consapevolmente gestita ed indirizzata a fini ben precisi, essa si attua comunque e, il pi� delle volte, nei modi peggiori, pi� disorganizzati, meno controllati, pi� nocivi e, in ogni caso, in modo assolutamente casuale. Occorrerebbe, dunque, un maggior interesse per la persona, per la dinamica del gruppo, per l'integrazione organizzativa dell'individuo a livello non solo tecnico-professionale ma anche sociale, culturale e ambientale, con l'obiettivo di arrivare a stipulare un buon contratto psicologico tra neoassunto e organizzazione (Argyris, 1960; Schein, 1965). Il processo di socializzazione organizzativa Il nuovo assunto ha la necessit� di essere inserito nel �mondo organizzativo� specifico al quale si � proposto e dal quale � stato accettato. Ci� significherebbe fornirgli una visione di sistema dell'organizzazione, tenendo conto dei flussi di lavoro e dei processi, dei prodotti/servizi finali e della platea di utenti o clienti ai quali sono destinati. L'impresa non vive nel vuoto e quindi � importante osservare il contesto socio-economico e la realt� locale, o internazionale, in cui � posizionata, con un occhio a partner, fornitori e competitori. Vi � poi l'aspetto �micro�, quello della divisione, del servizio, dell'ufficio, dell'unit� operativa di appartenenza, il gruppo primario al quale il giovane si legher� all'inizio del suo percorso. Un percorso di accoglimento dei neoassunti Gli iter informativi, formativi e di socializzazione organizzativa predisposti nel mondo aziendale possono differire notevolmente in relazione a numerose variabili (tipologia d'impresa, ruolo organizzativo di destinazione, possibilit� aziendali concrete di investimento nel percorso formativo). In ogni caso, sarebbe consigliabile impostare il percorso almeno sui seguenti step: - Presentazione dell'azienda, della sua storia e della collocazione attuale nel panorama di riferimento. - Informazioni sui prodotti e sui servizi, sulla clientela/utenza, sui partner, fornitori e competitor. - Dettagliata illustrazione dell'organigramma e funzionigramma aziendali, con focalizzazione sull'unit� operativa di destinazione dei neoassunti. - Interventi di formazione alla socializzazione e all'assunzione del ruolo. In particolare: formazione al lavoro in gruppo, alla gestione dei compiti, alla comunicazione interpersonale e alla cultura d'impresa (trasmissione dei �valori� fondanti l'impresa e della sua missione), integrati con attivit� di sviluppo dell'autostima e dell'auto-efficacia. - Interventi di formazione finalizzati alla comprensione della �vita organizzativa� in senso ampio e alle responsabilit� di ruolo nel contesto specifico cultural-organizzativo. L'inserimento - in vari momenti del percorso di accoglimento - di testimonianze aziendali e di visite guidate alle strutture organizzative. L�intelligenza delle rampicanti (di Umberto Castiello, �Prometeo� n. 158/22) - Sono in grado di decidere quale supporto � pi� valido come sostegno e possono pianificare in che modo avvicinarlo. Dunque pensano? Fenomenologia minima delle piante che salgono sui muri o sui tralicci in cerca di luce. E che gi� Charles Darwin aveva studiato a fondo. - Molte piante appartenenti a famiglie diverse hanno una limitata capacit� di mantenersi in posizione eretta perch� caratterizzate da un fusto sottile rispetto alla lunghezza. Tali piante vengono comunemente classificate come �rampicanti�, e la loro variet� spazia dalle gigantesche liane, abbondanti nelle foreste tropicali e pluviali, che formano grovigli inestricabili e ponti tra un albero e l'altro, alla vite americana, l'edera e il gelsomino che vivono in climi pi� temperati e che comunemente ritroviamo nelle nostre abitazioni. Come per ogni pianta, anche per le specie rampicanti la luce � un elemento vitale: la pianta rampicante, per crescere in altezza e accedere cos� alla luce solare, utilizza piante vicine o supporti presenti nell'ambiente. Molte di esse, infatti, sono originarie del sottobosco e l'evoluzione le ha rese capaci di intercettare la radiazione luminosa proveniente dall'alto. Se si tratta di piante con un fusto erbaceo esile e flessibile parliamo di �piante volubili� (per esempio il fagiolo o il luppolo), che raggiungono lo scopo di �accedere� alla luce avvolgendosi a elica attorno a sostegni rigidi. Se, invece, si tratta di piante con un fusto legnoso rigido, si parla di piante �rampicanti scandenti� (per esempio, la vite, la clematide o la passiflora): in questo caso lo scopo di avvicinarsi alla sorgente luminosa viene raggiunto mediante organi preposti quali i �cirri� o �viticci�, che hanno la capacit� di attaccarsi, per lo pi� mediante attorcigliamento, a potenziali sostegni. Da un punto di vista adattivo, la caratteristica fondamentale alla base del comportamento delle piante rampicanti � la localizzazione di un potenziale supporto, l'orientamento verso di esso e la capacit� di aggrapparsi a esso in maniera stabile. A tal proposito, � stato Charles Darwin, attraverso lo studio del movimento dello stelo e dei cirri, a fornire le prime osservazioni relative al comportamento delle piante rampicatiti. Anche se riconosciamo in Charles Darwin il padre fondatore della moderna teoria dell'evoluzione, alcune delle sue scoperte pi� importanti riguardano la biologia delle piante. Non tutti sanno che, nei vent'anni successivi alla pubblicazione della sua pietra miliare L'origine delle specie (1859), Charles Darwin condusse una serie di esperimenti che ancora oggi influenzano la ricerca sulle piante: questi esperimenti sono descritti in due libri, uno sul movimento delle piante e uno sul comportamento delle piante rampicanti (Darwin, 1875 e 1880). Gli scritti botanici di Darwin sono probabilmente la parte meno nota della sua produzione scientifica, ma racchiudono il suo perseverante tentativo di applicare ai fenomeni botanici una spiegazione evoluzionistica, contribuendo a rendere la botanica una scienza moderna. Metodi darwiniani Darwin ha studiato i movimenti delle piante usando una procedura che richiedeva ben poca tecnologia, ma un incredibile dispendio di tempo: collocando una piastra di vetro sopra la pianta, perpendicolarmente al suo fusto, Darwin segnava sul vetro la posizione dell'estremit� della pianta ogni manciata di minuti, continuando cos� per diverse ore. Collegando i punti ottenuti in ciascuna rilevazione, era in grado di mappare i movimenti compiuti dall'estremit� della pianta (affetto da insonnia, Darwin trascorse molte notti a monitorare meticolosamente le oltre trecento specie prese in esame in questa maniera). In questo modo, scopr� che tutte le piante si muovono secondo una oscillazione a spirale ricorrente, che defin� �circumnutazione� (dai termini latini per cerchio e oscillazione). Alcune piante presentano movimenti sorprendentemente ampi, come i germogli di fagiolo, caratterizzati da cerchi di un raggio che pu� arrivare fino a dieci centimetri. Altre invece eseguono movimenti nell'ordine di pochi millimetri, come i rametti delle fragole. In questa prospettiva si riconosce la radicata mentalit� evoluzionistica di questo scienziato, che suggerisce come la circumnutazione rappresenti una caratteristica comune e distintiva del movimento delle piante. La proposta formulata da Darwin � unificante e contraddistinta da un ampio respiro che non trover�, come tale, frequenti riscontri nella letteratura scientifica successiva. A seguito di una serie di esperimenti condotti nella sua serra, Darwin (1875) concluse che le piante rampicanti non scelgono un potenziale supporto arbitrariamente, ma sulla base di decisioni che tengono conto della posizione, della struttura e del materiale dal quale � formato il supporto. Insomma, non tutti i supporti vanno bene! In uno dei suoi tanti esperimenti, Darwin osserv� infatti che i cirri di bignonia capreolata si ritraevano quasi con disgusto dinanzi alla possibilit� di aggrapparsi ad un supporto di vetro, troppo liscio, oppure di zinco, troppo tossico. Analogamente, evitavano di aggrapparsi a un palo con la corteccia eccessivamente ruvida, oppure a fili di lana colorata con sostanze chimiche sgradevoli. Ma l'effetto pi� evidente era la loro riluttanza a dirigersi verso supporti di grandi dimensioni e ad aggrapparsi ad essi. Per esempio, studiando la specie Wisteria sinensis (il glicine comune), Darwin not� come questa pianta avesse difficolt� ad arrampicarsi su sostegni con una larghezza pari o superiore a 15 cm: peculiarit� questa confermata da osservazioni ben pi� recenti sul campo. Questa �selettivit� caratterizza anche le liane presenti nelle foreste pluviali tropicali: la loro presenza tende a decrescere nelle zone in cui il fusto degli alberi ha un diametro molto grande (Putz e Holbrook, 1992; Gianoli, 2015). Oggi possiamo ipotizzare che questa �preferenza� per supporti di diametro piccolo sia riconducibile a un principio di economia energetica: un supporto di grande diametro richiede infatti un maggior dispendio di energia e di risorse rispetto a un supporto di piccole dimensioni. La lunghezza dei viticci necessari alla pianta per attorcigliarsi al supporto dovr� essere maggiore, come maggiore dovr� essere la tensione esercitata sul supporto per resistere alla gravit� e non cadere (Rowe et al., 2006). Sanno pianificare il movimento Il comportamento delle piante rampicanti, quindi, ci potrebbe suggerire come la pianta sia in grado di anticipare, di apprendere progressivamente attraverso l'esperienza quelle che sono le caratteristiche fisiche del potenziale supporto, e quindi di selezionare quello pi� indicato. In altre parole, la pianta sarebbe in grado di pianificare il suo movimento in base al supporto da raggiungere, esibendo la capacit� non solo di costruire una rappresentazione dell'obiettivo stesso, ma anche di pianificare una sequenza di eventi motori adeguati in relazione a esso. Stiamo parlando, quindi, di una serie di processi che riguardano l'interazione tra un organismo e un oggetto, la trasformazione di una percezione in un movimento. A questo punto la domanda che viene spontanea �: ma non ci vuole un cervello per fare questo? Apparentemente no, e la dimostrazione ci proviene da una serie di ricerche condotte nei nostri laboratori presso l'Universit� di Padova (Guerra et al., 2019) che si sono avvalsi dell'analisi cinematica, la descrizione in termini di una funzione matematica del movimento. Questi studi hanno indagato se e come le piante di pisello (Pisum sativum L�) siano in grado di percepire un elemento presente nell'ambiente, e di eseguire un movimento verso di esso in funzione della sua dimensione, della distanza a cui � posto e del livello di accuratezza che richiede l'interazione con esso. Il movimento delle piante � stato registrato in maniera continuativa attraverso una coppia di telecamere a raggi infrarossi, permettendo la registrazione del processo di sviluppo della pianta, dalla germinazione del seme fino all'afferramento del supporto. Una successiva ricostruzione per singoli fotogrammi di questo time-lapse, una tecnica cinematografica nella quale la frequenza di cattura di ciascun fotogramma � nettamente inferiore a quella di riproduzione (le piante si muovono molto lentamente), ha dimostrato come in presenza del supporto la pianta si comporti secondo uno schema che tende a ripetersi e che sembra essere pianificato. Una coreografia di mosse che tiene conto di aggiustamenti in corso d'opera e coinvolge una gamma di movimenti oscillatori che devono garantire alla pianta un ancoraggio sicuro. Quindi non solo le piante sembrano essere consapevoli della presenza dello stimolo, ma si preparano ad afferrarlo in maniera diversa a seconda della sua dimensione, aprendo i cirri in base al diametro dello stesso. In altre parole, la pianta non si �prepara� in maniera arbitraria all'afferramento e soprattutto non ha bisogno di toccare fisicamente lo stimolo per dare inizio a questo processo, ma lo anticipa con una programmazione accurata. Proprio come faremmo noi ed altri animali dotati di un sistema nervoso. L'ipotesi del �centro pensante� Dire esattamente come questo possa accadere, � per ora ancora difficile, tuttavia le radici potrebbero giocare un ruolo fondamentale. Darwin, infatti propone che, dalla quercia pi� imponente al fiore pi� esile, anche le piante abbiano un �centro pensante�: riflettono, si scambiano informazioni o avvertimenti, prendono decisioni. E il loro �cervello� segreto sarebbe nelle radici. Questa idea di Darwin � confermata dalla scienza moderna: su ogni singola estremit� delle radici c'� un gruppo di cellule che elabora informazioni, e ciascun apice � autonomo, ma pu� anche coordinarsi con gli altri (Baluska et al., 2009). Le osservazioni di Darwin si focalizzano sulle radici perch� � in questa parte della pianta che egli ritrova il maggior grado di similarit� con il comportamento degli animali, ma anche esempi di comportamento paragonabili a quello degli altri esseri viventi. � infatti nell'apice radicale, ossia nella punta di ciascuna radice, che � possibile verificare la sequenza tipica delle fasi riconducibili all'intelligenza per come siamo abituati a riconoscerla e descriverla: percezione degli stimoli ambientali, decisione sulla direzione da prendere, movimento. Per capire il ruolo delle radici nella programmazione del movimento, abbiamo provato a mettere le nostre piante di pisello in condizioni analoghe a quelle sopra descritte, ma sollevando il supporto dal terreno cos� che le radici non potessero percepirlo tramite un contatto diretto o attraverso gli essudati radicali, un cocktail chimico che le piante utilizzano per esplorare il terreno circostante (Guerra et al., 2021). E cosa succede? Le piante si comportano come se lo stimolo non fosse presente nell'ambiente, non riescono a localizzarlo e quindi ad afferrarlo. Continuano nella loro ricerca sino a desistere e adagiarsi sul terreno. A conferma dell'idea di Darwin, il sistema radicale sembra agire come un centro che elabora le informazioni e, in questo caso, permette alle piante di mettere in atto movimenti intenzionali. L'intenzionalit� motoria, quindi, si inserisce nell'ampia scala di processi �cognitivi� quali memoria, apprendimento e cognizione sociale esibiti dai vegetali (Mancuso e Viola, 2015; Castiello, 2019). Per concludere, una lettura attenta del lavoro di Darwin e la sperimentazione che ne � seguita in tempi pi� recenti fa s� che non ci si debba sorprendere se le piante e gli animali dimostrano comportamenti simili, e che questi possano essere interpretati come indizi certi della presenza di una intelligenza (Trewavas, 2017). Non dovrebbe quindi destare sorpresa che le soluzioni biologiche al problema della sopravvivenza, adottate da piante e animali, si assomiglino. Piuttosto, la cosa sorprendente � ritrovare comportamenti apparentemente cos� simili in organismi caratterizzati da una differenza radicale in termini di presenza (animali) e assenza (piante) di un sistema nervoso centrale. � questa la vera domanda cruciale che ci dobbiamo fare e alla quale forse Darwin avrebbe saputo rispondere. Per ora accontentiamoci di scoprire quanto piante e animali (noi compresi) siano simili, a dispetto di ogni apparenza. Il partigiano Beppe Fenoglio (di Lidia Di Simone, �Focus Storia� n. 192/22) - Sono ancora in corso le celebrazioni per i cent�anni dalla nascita di Fenoglio: un�occasione per riscoprire lo scrittore di Alba e il suo impegno nella Resistenza. - Capita che un'anziana del Torinese muoia e che, nella vecchia soffitta di casa sua, il nuovo inquilino scopra un arsenale della Seconda guerra mondiale: revolver senza grilletto, munizioni e un fucile modello Sten, il mitra britannico imbracciato nel romanzo Il partigiano Johnny, arma simbolo della Resistenza. Capita che qualche studente vada in visita alla tomba di un grande scrittore e gli lasci un biglietto per ringraziarlo di aver passato la maturit� grazie a lui. O che una coppia in viaggio di nozze faccia una deviazione verso Alba, per lasciargli sulla lapide una sigaretta o un libro. Tutti episodi veri, raccontati dalle cronache e da Margherita, la figlia di Beppe Fenoglio, lo scrittore di cui quest'anno si celebra il centenario dalla nascita. E capita ancora che la figlia, in uno strano incrocio fra le trame letterarie e la vita reale dello scrittore, alla morte della madre ritrovi le armi del padre partigiano, custodite in segreto per anni da Luciana Bombardi, la vedova Fenoglio: una carabina M1 calibro 30, marca Underwood, e una pistola modello Colt 45 automatica infilata in un cinturone verde di fabbricazione britannica. Ecco come lo scrittore li us�. Aveva la faccia di un attore francese, di quelli che si accendono la sigaretta all'angolo della bella bocca dalla piega amara. Ma lui preferiva la lingua di Marlowe. Anzi, era �un dio in inglese�, come diceva del suo personaggio Milton, protagonista di Una questione privata (1963). Era un appassionato studioso dell'Inghilterra elisabettiana: traduceva e leggeva con voracit� e padronanza della lingua, tanto da inserirla nei suoi libri fondendola con l'italiano, in un originale italenglish su cui da anni si arrovellano i critici. Proverbiali certe espressioni, come la �pushy poltrona� dove si accomoda il partigiano Johnny in visita in una casa borghese. Oltre a lui in famiglia c'erano Walter, futuro dirigente Fiat, e Marisa, futura scrittrice e drammaturga. Erano figli di un macellaio socialista e mangiapreti, Amilcare, e di una madre devota, Margherita Faccenda, che gestiva con piglio di ferro e timor di Dio gli studi dei tre ragazzi, la bottega e la casa, oltre a una rete di informatori con cui aiutava la Resistenza e sorvegliava da lontano i due figli maschi andati a combattere con i partigiani. Quando l'intera famiglia fu arrestata, il 22 settembre 1944, con il sospetto di aver fiancheggiato l'assassinio di tre ufficiali fascisti, la signora Fenoglio dovette ricorrere a tutto il suo sangue freddo, affidandosi anche all'abituale frequentazione della parrocchia e del vescovo di Alba, per tirar fuori di galera marito e figli. Beppe frequentava il ginnasio con profitto, e con indosso la camicia bianca che la madre aveva comprato a lui e al fratello: una sola per ciascuno, ma sempre pulita. Sarebbe diventata la �divisa� con la quale lo vediamo nelle foto da adulto, longilineo ed elegante, alla macchina da scrivere o mentre gioca a bocce. Studente modello (afflitto da una lieve balbuzie), al liceo si confrontava con i professori, come Leonardo Cocito e il filosofo Pietro Chiodi, mentori e maestri di vita, entrambi nella Resistenza. Gi� allora la preoccupazione di Beppe era scegliere la parte giusta con cui schierarsi. Raccontava Chiodi: �Io avevo ventitr� anni quando giunsi ad Alba per insegnare filosofia e storia al liceo classico. Fenoglio ne aveva allora diciotto. Per il 28 ottobre era obbligatorio svolgere un tema ministeriale di elogio sulla marcia su Roma. Nell'ora precedente alla mia il professore di italiano aveva dettato il solito insulso tema. Quando io entrai in classe notai subito uno studente nel primo banco con le braccia incrociate che guardava annoiato il foglio bianco. Era Beppe Fenoglio. Lo invitai a scrivere, ma scuoteva la testa. Preoccupato per le conseguenze, feci chiamare il professore di italiano. Era Leonardo Cocito. Parlottarono da complici. Ma non ci fu verso. La pagina rimase bianca�. Dopo il liceo, Beppe si era iscritto alla facolt� di Lettere di Torino. Il 1943 mand� in malora ogni progetto: lasci� le aule universitarie e si avvi� al corso per ufficiali, che frequent� a Roma. Quando l'8 settembre il Regio esercito si sciolse come neve al sole, il giovane rientr� ad Alba e segu� l'esempio dei suoi insegnanti, salendo sulle Langhe per la guerra partigiana. Entr� prima in una brigata comunista. I �rossi� subirono per� una pesante sconfitta e lui fu costretto a rifugiarsi in famiglia. A settembre del 1944 era di nuovo in collina, ma questa volta con i �partigiani azzurri�, le brigate badogliane. Il 10 ottobre entr� in citt� con le forze che liberarono Alba. Ci vollero 23 giorni. Poi, Beppe divenne ufficiale di collegamento con la missione britannica che operava nel Monferrato. Sempre solo, l� in alto, al freddo nelle cascine. Quando la guerra fin� non torn� agli studi che per un breve periodo. In realt�, voleva scrivere. Nel 1947 cominci� a lavorare per un'azienda vinicola, dove grazie al suo inglese curava i rapporti con l'estero. Inizi� a scrivere, usando inizialmente lo pseudonimo di Giovanni Federico Biamonti per pubblicare un racconto sul bollettino editoriale della Bompiani. In tutti gli scritti di Fenoglio c'era la sua vita, inscindibilmente intrecciata con le vicende dell'Italia, della guerra, della sua citt�. Si trattava di un'opera che era come un unico, grande libro (cos� lo definiva lui), quasi una storia a puntate: la sua. Al borgo nat�o aveva dedicato il primo volume, una raccolta di racconti, I ventitr� giorni della citt� di Alba, pubblicato da Einaudi nel 1952 nella collana sperimentale I gettoni, diretta da Elio Vittorini. Vi raccontava i colpi di coda del fascismo morente, l'angoscia vissuta nel sentire le strade della sua citt� come una minaccia, una trappola per topi, �anticamera della scampata Germania�. Nella seconda opera, La malora (1954), si occup� delle Langhe, della povert� dei contadini. Ma l'evento chiave per lui rimase la sua salita in collina da partigiano, mentre veniva proclamato l'Armistizio: �Le aveva sempre pensate, le colline, come il naturale teatro del suo amore, e gli era toccato di farci l'ultima cosa immaginabile, la guerra�, faceva dire a Milton, il suo doppio. Fenoglio considerava l'8 settembre come il giorno del giudizio sull'esercito corrotto e compromesso con i tedeschi che aveva lasciato il Paese allo sbando, mentre i ragazzi come lui imbracciavano il fucile e salivano in montagna per riscattare l'Italia dalla vergogna del fascismo. Ci scrisse sopra il romanzo Primavera di bellezza (del 1959): �E poi nemmeno l'ordine hanno saputo darci [...]. Di ordini ne � arrivato un fottio, ma uno diverso dall'altro, o contrario. Resistere ai tedeschi - non sparare sui tedeschi - non lasciarsi disarmare dai tedeschi - uccidere i tedeschi - autodisarmarsi - non cedere le armi�. Primavera di bellezza lo pubblic� con Garzanti, perch� intanto si era consumato il divorzio dall'editore Einaudi. Successe, pare, perch� Fenoglio non fu felice di quello che Vittorini scrisse nella bandella del libro La malora. Il curatore della collana, che all'epoca era il nume tutelare della letteratura italiana, membro della Resistenza e autore del romanzo Uomini e no (1945), nonch� gi� direttore del quotidiano L'Unit�, lo aveva inserito tra �i giovani scrittori dal piglio moderno e dalla lingua facile� ma a rischio di bozzettismo. E per di pi� gli aveva bocciato il dattiloscritto di un primo romanzo (La paga del sabato). Il perch� glielo aveva spiegato in una lettera, nel 1951, Italo Calvino, che per Einaudi curava l'ufficio stampa: �Vittorini s'� sempre pi� deciso che nel romanzo c'� troppo cinematografo, e vuole fare solo i racconti, pensando che per il romanzo troverai di sicuro un altro editore. Io non sono del suo parere perch� come sai il romanzo mi piace, ma la collana la dirige lui e pubblica solo cose che lui si sente di difendere fino in fondo�. Fenoglio, che si definiva �un dilettante�, uno scrittore �appartato� e �amateur-like�, in realt� soffriva per le recensioni che lo relegavano tra gli autori di secondo piano. E il giudizio di Vittorini doveva pesargli, come si intuisce da una lettera intrisa di ironia amara, che gli aveva inviato nel 1953: �Le posso dire sin d'ora che il mio secondo libro sar� ancora di racconti (molto probabilmente non posseggo ancora, se mai lo possieder�, il fondo del romanziere. Non conosco ancora le 4 marce, per esprimermi con termine automobilistico�. Quello di Fenoglio era il dubbio che nutriva sui suoi mezzi di romanziere: �Riletto la mia �Malora��, scrisse, �mi pare d'aver piantato i paracarri e di non aver fatto la strada�. Svolse una intensa attivit� di traduttore dall'inglese e firm� con Livio Garzanti un contratto quinquennale per i suoi inediti. Ci fu anche una baruffa legale tra Einaudi e il nuovo editore, per aggiudicarsi l'opera successiva. Intanto, nel 1960 Beppe si era sposato con Luciana, in una cerimonia civile che aveva suscitato scalpore ad Alba. Ci vollero la mamma e il vescovo a rimettere pace. Nel 1961 era nata l'amata figlia Margherita, per la quale scrisse brevi racconti. L'avrebbe lasciata orfana a due anni. L'asma bronchiale degener� infatti in pleurite. Maledette sigarette! Secondo la sorella quando scriveva arrivava a fumarne 60 al giorno. Si aggiunsero le coronarie e la tubercolosi, poi il cancro. Dopo la radioterapia fu tracheotomizzato e fin� per comunicare solo per iscritto. Le lettere, pubblicate da Einaudi, aiutano a capire come visse il periodo prima della fine: nel febbraio del 1960 aveva confidato la sua malattia alla scrittrice Gina Lagorio, mentre tre anni dopo redigeva biglietti dall'Ospedale Molinette di Torino. Si rivolgeva alla famiglia e agli amici con parole di commiato, sofferente ma lucido. Alla figlia Margherita scriveva: �Ciao per sempre, Ita mia cara. Ogni mattina della tua vita io ti saluter�, figlia mia adorata. Cresci buona e bella, vivi con la mamma e per la mamma e talvolta rileggi queste righe del tuo pap� che ti ha amato tanto e sa di continuare a essere in te e per te. Io ti seguir�, ti protegger� sempre, bambina mia adorata e non devi pensare che ti abbia lasciata. Tuo Pap� (Lettere 1940-1962, Einaudi). Fu un addio sereno. Scrisse il filosofo partigiano Pietro Chiodi: �Noi tutti che gli fummo vicini possiamo testimoniare che non ebbe mai un attimo n� di scoramento n� di rivolta. Beppe Fenoglio era proprio questo impasto di estrema tenerezza e di rigorosa asprezza�. Entr� in coma e mor� il 18 febbraio 1963: stava per compiere 41 anni. Quello che sembra un epitaffio lo aveva scritto di suo pugno nel Diario, durante l'estate del 1954 a Murazzano, il paesino dove passava le vacanze, tra amici e parenti che lo aiutavano a leccarsi le ferite per la diatriba con Vittorini: �Sempre sulle lapidi, a me baster� il mio nome, le due date che sole contano, e la qualifica di scrittore e partigiano. Mi pare d'aver fatto meglio questo che quello. E non ci sar� pericolo che il vento spezzi la mia lapide, perch� giacer� nel basso e bene protetto cimitero di Alba�. Nel 1964 l'amico Italo Calvino, nella prefazione alla ristampa del suo libro sulla resistenza, Il sentiero dei nidi di ragno (del 1947), aggiunse queste righe sull'autore scomparso l'anno prima: �E fu il pi� solitario di tutti che riusc� a fare il romanzo che tutti avevamo sognato, quando nessuno pi� se l'aspettava, Beppe Fenoglio, e arriv� a scriverlo e nemmeno a finirlo, e mor� prima di vederlo pubblicato nel pieno dei quarant'anni. Il libro che la nostra generazione voleva fare adesso c'� e il nostro lavoro ha un coronamento, un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una stagione � compiuta, solo ora siamo certi che � veramente esistita...�. Calvino si riferiva a Una questione privata, pubblicato postumo nel 1963. Non sapeva ancora che nei cassetti di Fenoglio giaceva un tesoro da scoprire: Il partigiano Johnny, quasi un'autobiografia. Marisa Raccontava di essere �la sorella cadetta di Beppe�; e di essere diventata scrittrice 32 anni dopo la scomparsa del fratello. Marisa Fenoglio � morta nel novembre dell'anno scorso, a 88 anni, a Marburg, in Germania, sua patria adottiva. Era emigrata in quel Paese appena sposata, alla fine degli anni Cinquanta, per seguire il marito, dirigente della Ferrero. La sua produzione letteraria comprende una trilogia biografica dove spicca il primo volume da lei scritto, Casa Fenoglio, edito da Sellerio nel 1995: una cronaca familiare piemontese incentrata sulla vita nella casa di Alba, dagli anni del fascismo fino agli inizi del miracolo economico. Autrice di un dramma radiofonico, ha scritto anche in tedesco, la lingua dei suoi figli e nipoti. L'anno fenogliano Per essere uno dei protagonisti della letteratura italiana del Novecento, nelle antologie delle scuole superiori Fenoglio occupa uno spazio limitato. Eppure la sua figura, inizialmente poco conosciuta, � cresciuta nel tempo e il suo lascito, soprattutto i volumi pubblicati postumi e contro la sua volont�, appare sempre pi� consistente. E questo grazie anche al lavoro instancabile compiuto dal Centro Studi Beppe Fenoglio, l'associazione culturale di Alba che organizza gli eventi del centenario: dodici mesi fra riedizioni dei suoi libri per Einaudi, cinema, teatro, musica e arte. Manifestazioni che culmineranno con la mostra alla Fondazione Ferrero Canto le armi e l'uomo. 100 anni con Beppe Fenoglio (15 ottobre-8 gennaio 2023). E siccome non si pu� per� dimenticare la Storia, tra autunno e inverno si torner� a parlare del volume I ventitr� giorni della citt� di Alba (1952). Le celebrazioni si concluderanno nel 2023 con un convegno dedicato a comporre un �atlante fenogliano� (con relativa app geografica e metaletteraria, accompagnata dalla digitalizzazione del Fondo Fenoglio), perch� per celebrare al meglio l'opera dello scrittore bisogna calarlo al centro degli eventi bellici, occorre capire perch� conservava quelle armi e come mai sapeva raccontare tanto bene la guerriglia nelle Langhe. Hans Christian Andersen: le fiabe di ieri che ci facevano sognare, insegnamento per gli adulti di oggi (di Bruno Bertucci) Il Brutto Anatroccolo, Pollicino e l�Orco, la Principessa sul Pisello e tante altre, prima di dormire non volevamo che finissero mai. Raccontate dalla mamma, ci avvolgevano con il loro affetto e tutto il loro mistero� �E allora?� �Domani!� Ma non ci davamo per vinti. E ancora: �Mamma, ma Il brutto anatroccolo come continua?� Rimandati inesorabilmente con un perentorio: �Dormi che devi andare a scuola!� Eravamo cos� intensamente emozionati dai racconti e allo stesso tempo compresi nel reale-fiabesco che ci faceva fantasticare proprio come piace a tutti i bambini, e noi non ci saremmo addormentati cos� facilmente, trascinati da quel C�era una volta� Anche i nostri sogni erano costellati di questo o quel personaggio che ci rendeva le fiabe dell�autore danese cos� avvincenti che spesso ne vivevamo le parti pi� belle e quelle pi� paurose nel nostro mondo onirico. Ogni bambino infatti si � ritrovato in uno di quei personaggi tanto amati che inevitabilmente, hanno accompagnato la nostra crescita da bambini. Ci siamo riflessi come il soldatino di stagno nel fiume della vita che scorreva e piano piano ci ha fatto diventare ragazzi e poi uomini, con tutte le emozioni incontrate nelle fiabe di questo grande narratore. Per non dire dei nostri difetti come le acne giovanili che ci facevano sembrare da prima il brutto anatroccolo, senza sapere che avremmo potuto diventare un giorno un bel cigno simbolo del Paese scandinavo. Ma quante volte ci siamo trovati a pensare alle paure di Pollicino perduto in questa terra ricoperta dal verde e che si era incautamente addentrato nel bosco� Purtroppo oggi, com�� noto, per trovarlo non ci dobbiamo inoltrare troppo lontano, perch� questa figura, senza accorgercene, pu� essere realmente rappresentata dal vicino di casa e non � necessario andare nei boschi incontaminati. Le fiabe ci trasmettono anche degli insegnamenti imperituri, che saranno per noi un esempio comportamentale per sempre e ci faranno comprendere cosa � meglio fare e cosa invece dobbiamo evitare accuratamente per arrivare alla nostra meta, lavorativa, di piacere o d�amore. Certamente una delle fiabe pi� intriganti ma allo stesso tempo pi� tristi � la Sirenetta, che dimostra quanto proprio gli sbagli amorosi ci possano portare a soffrire pi� di ogni altra cosa visto che vengono coinvolti i sentimenti. Magie, pozioni e quant�altro ci illudono di poter cambiare il corso della vita, senza renderci conto dell�infatuazione che ci sta travolgendo. Tutto questo solo per l�illusione del nostro amato Principe azzurro! Sempre a proposito di Principi e Principesse, non possiamo dimenticare la famosissima Principessa sul Pisello e la sua realt� fantastica con tutti i materassi che fanno da cornice alla prova che incoroner� la fanciulla degna di sedere al fianco del suo amato Principe. Alla ricchezza e allo sfarzo dei palazzi per�, fa da contrasto la Piccola Fiammiferaia che racconta l�indigenza di una classe sociale spesso costretta ai margini della societ�. Ma anche in questo caso, c�� il lieto fine. Quello che si trova a Odense, citt� natale di Hans Christian Andersen, � proprio il caso di dirlo, � un vero e proprio museo fiabesco in tutti i sensi, che con i suoi giochi di specchi e i suoi pupazzetti costituisce un�attrattiva unica per i pi� piccoli e allo stesso tempo riesce a far rimanere anche chi non vede in un�atmosfera speciale e grazie all�immaginazione, fa percepire le vibrazioni del cuore in una realt� inesistente ma qui cos� presente, trasmettendo forti emozioni quasi dimenticate. Ed anche i grandi possono rivivere ancora una volta la loro infanzia con un pensiero speciale verso la voce della mamma che con infinita dolcezza e il suo tono cos� suadente, ci penetrava nel profondo dell�animo raccontandoci le fiabe di Andersen.