Marzo 2024 n. 3 Anno LIV MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice Terra di guerra Se ognuno conoscesse la propria �data di scadenza� La parabola di Marco Pantani Perch� si mangia l'agnello a Pasqua? Liverpool, la citt� dei Beatles Fenomeno K-pop: come ha ottenuto fama mondiale Terra di guerra (di Aldo Carioli, �Focus� n. 329/20) - Fin dall�inizio della civilt� il Medio Oriente � stato attraversato da linee di frattura politiche, religiose ma anche geografiche e ambientali, mai sanate - �Il Medio Oriente � la regione pi� tormentata del mondo�: lo sentiamo ripetere talmente spesso, che ci pare sia cos� da sempre. Dall'Iran allo Yemen, dalla Siria all'Egitto, dall'Iraq fino alla Palestina e a Israele, questa parte del Pianeta � considerata la pi� instabile della storia, una �zona sismica� della geopolitica. Le ragioni sono molte e intricatissime. Eppure, come fanno i geologi quando studiano i movimenti della crosta terrestre, ci si pu� districare cercando alcune �faglie� storiche: zone di frizione lungo le quali nel tempo si sono accumulate tensioni alla radice di crisi e fratture. In Medio Oriente, negli ultimi 6 mila anni sono nati: l'agricoltura stanziale, l'aratro, la prima vera citt� (Uruk, in Iraq), i grandi imperi (accadico, assiro-babilonese, hittita, egizio, persiano...), la religione di Stato, la scrittura cuneiforme dei Sumeri e l'alfabeto dei Fenici, le leggi scritte e le fedi monoteiste (ebraismo, cristianesimo e Islam, senza dimenticare lo zoroastrismo persiano). Ma anche il carro da guerra, l'imperialismo, i conflitti religiosi e le ingerenze coloniali. E pensare che l'idea di �Medio Oriente� ha solo cent'anni o poco pi�. �La distinzione tra �Vicino�, �Medio� ed �Estremo� Oriente nasce alla fine dell'Ottocento, quando l'Europa delle potenze coloniali dominava il mondo�, spiega lo storico e islamista Massimo Campanini, autore di Storia del Medio Oriente contemporaneo (il Mulino). �Il �Vicino Oriente� � l'ambito pi� ristretto (contenuto nel Medio Oriente, ndr) e comprende le terre che vanno dall'Egitto all'Iraq (asse ovest-est) e dalla Turchia allo Yemen (asse nord-sud). Il �Medio Oriente� ingloba anche il mondo iranico, protendendosi a est verso l'Asia Centrale e a ovest oltre l'Egitto, fino alla Libia e al Nord Africa�. Fra il 3500 a.C. e il 500 a.C., il Vicino Oriente � lo scenario in cui si sviluppa la civilt� urbana. Ed � qui che incontriamo le �faglie� pi� antiche, quelle geografiche e ambientali. �La discontinuit� ambientale del Vicino Oriente � importante da un punto di vista storico perch� comporta il contatto ravvicinato tra zone con potenzialit� e vocazioni diverse�, spiega Mario Liverani, il pi� autorevole storico italiano del Vicino Oriente antico, nel suo libro Antico Oriente. Storia, societ�, economia (Laterza). La Mesopotamia, la pianeggiante �terra fra i due fiumi� (Tigri ed Eufrate), era ideale per l'agricoltura, l'allevamento e lo sviluppo di grandi citt� e societ� complesse, ma non aveva legname n� risorse minerarie. Le zone montagnose e gli altopiani semiaridi di Anatolia e Iran, o l'antica Fenicia (Libano), erano invece coperti di foreste e ricchi di minerali. La competizione per le risorse fu da subito uno dei motori della storia mediorientale. Liverani spiega i rapporti tra popoli nel Vicino Oriente antico ricorrendo a due concetti-chiave: �interfaccia� e �frontiera�. �L'interfaccia � la saldatura tra due zone diverse: attraverso di essa passano, in entrambe le direzioni, esperienze e prodotti, uomini e tecnologie�. Sono le aree dei commerci, che migliaia di anni fa significavano scambi di prodotti agricoli, oro e argento. Ma soprattutto di stagno e rame: fino alla rivoluzione del ferro (fine II millennio a.C.), con questi due metalli si otteneva il bronzo delle armi. Controllare le �interfacce� del Medio Oriente ancora oggi significa governare un �crocevia globale�. Per secoli qui si sono incrociate le rotte dei mercanti che da nord a sud collegavano i porti del Mediterraneo a quelli del Golfo Persico e del Mar Rosso. Qui si scambiavano spezie del Sud-est Asiatico, incenso dello Yemen, schiavi africani ed europei; sulle strade imperiali della Persia (attuale Iran) viaggiavano le carovane con le pietre dure e le stoffe che dall'India e dalla Cina raggiungevano l'Europa. Oggi, lo Stretto di Ormuz (tra Golfo Persico e oceano Indiano) � il passaggio obbligato per le petroliere provenienti dalla Penisola Arabica e dall'Iraq. E il Canale di Suez dal 1870 � la scorciatoia pi� comoda tra Europa e Asia: il 10% di tutto il commercio mondiale passa ancora da qui. �La �frontiera� ha invece caratteri storico-culturali, pi� di immagine che di realt�, spiega ancora Liverani. �� la zona ai margini di un nucleo culturale, oltre la quale - a parere dei membri di una comunit� - c'� il vuoto oppure il diverso (in genere considerato inferiore), ovvero un territorio appetibile per lo sfruttamento�. � lungo questo tipo di frontiera che corrono le �faglie� pi� insidiose, cio� quelle che riguardano l'identit� dei popoli e le ideologie. Come quella inventata dai Greci, che durante le Guerre Persiane (V secolo a.C.) furono i primi a parlare di �scontro di civilt� tra Oriente e Occidente. Storiografi, tragediografi e retori greci scavarono un solco ideologico tra l'idea �barbarica� dei re persiani divinizzati e la democrazia ateniese. Anche se poi Alessandro Magno (356-323 a.C.) fin� per adottare uno stile di governo di tipo orientale, tramandato al mondo ellenistico e a quello romano. Con il tramonto dell'Impero romano, che includeva gran parte del Medio Oriente, il successo del monoteismo attiv� nuove �faglie� culturali. Prima (tra il III e il V secolo) con il braccio di ferro tra pagani e giudeo-cristiani. Poi nel VII secolo, quando Maometto fond� l'Islam, portando un elemento nuovo nello scenario mediorientale: l'espansionismo musulmano. In un paio di secoli, dall'Arabia al Nord Africa fino alla Persia si formarono i califfati del cosiddetto �impero islamico�. Un impero senza imperatore e con molti centri: La Mecca, Damasco, Baghdad, il Cairo, ma anche Cordova (Spagna) e Palermo. E con una citt� santa condivisa (o contesa, come durante le Crociate medievali) con ebrei e cristiani: Gerusalemme. Anche se all'interno dell'Islam si era aperta la �faglia� tra sunniti e sciiti, fu un regno musulmano a garantire la stabilit�. �L'Impero ottomano ha compattato per almeno quattrocento anni, dal XVI al XIX secolo, popoli e territori del Medio Oriente�, spiega Campanini. �Il dominio turco, durato fino alla Prima guerra mondiale, � stato il maggiore fattore di stabilizzazione nella storia della regione�. Quando, a inizio Novecento, le potenze coloniali presero il posto degli ottomani, l'instabilit� torn� a regnare. Inglesi e francesi rimescolarono le carte senza tenere conto delle faglie storiche e creandone in compenso altre. �Prima l'accordo di spartizione anglo-francese negoziato nel 1916 dai diplomatici Mike Sykes e Fran�ois Georges-Picot e poi la divisione degli ex territori ottomani in �mandati�, portarono alla formazione di Stati artificiali�, spiega Campanini. �Un esempio � la �Grande Siria�, un'entit� geografica e linguistico-culturale che il colonialismo francese divise in Libano e Siria. L'Iraq fu invece il risultato della fusione di ben tre province ottomane disomogenee in termini etnici e religiosi: sunniti, sciiti e curdi furono uniti forzosamente sotto una stessa bandiera e le loro rivalit�, inesistenti o a bassa intensit� in epoca ottomana, esplosero. La transizione allo Stato moderno avrebbe dovuto comportare un rinnovamento delle istituzioni politiche, delle strutture economiche e sociali e delle ideologie nelle societ� mediorientali. In realt� la nascita degli Stati post-coloniali � stata monopolizzata da �lite rapaci, manovrate dalle potenze occidentali, oppure da monarchie che si sentono chiamate a guidare i popoli arabi e islamici su base religiosa, come in Arabia Saudita�. Del resto la posta in gioco nella regione, dagli anni '20 a oggi, non � mai stata la stabilit� o la democrazia, bens� il controllo sui pozzi petroliferi. Negli ultimi decenni le �faglie� mediorientali si sono moltiplicate. Nel 1917, con la Dichiarazione Balfour, i britannici garantirono il loro appoggio alla nascita di uno Stato ebraico. Ma nel 1948 la fondazione di Israele apr� la strada a cinque guerre arabo-israeliane, alla questione palestinese e all'occupazione israeliana dei territori di Cisgiordania e Striscia di Gaza. Intanto, nel 1956, nazionalizzando il Canale di Suez il generale egiziano Nasser aveva stroncato le ultime ambizioni coloniali anglo-francesi. �Nel Medio Oriente c'� stato, nei decenni del secondo dopoguerra, un temporaneo trionfo di ideologie �laiche�, come il panarabismo, il nazionalismo e il socialismo�, conclude Campanini. �Ma erano idee importate dall'Europa, dunque �aliene� e, in pi�, reprimevano l'Islam. Il passaggio all'indipendenza post-coloniale ha visto quasi ovunque l'intervento dei militari nella politica, nella societ� e nell'economia. E il potere esecutivo ha di solito prevaricato quello legislativo e giudiziario, provocando uno sbilanciamento antidemocratico. Lo Stato ha fagocitato la societ� civile, sottoponendola a un rigido controllo e imbavagliandone le forze pi� innovative�. Cos�, tra ingerenze esterne e divisioni interne, il Medio Oriente � precipitato in una spirale di instabilit� di cui non si vede la fine. Se ognuno conoscesse la propria �data di scadenza� (di Marta Erba, �Focus� n. 375/24) - Anche il lavoro sarebbe a termine e andrebbero tutelati per legge i non longevi. Gli psicologi: �Si avrebbe un rapporto diverso con il tempo e con la fine� - C�� una scena del film Dio esiste e vive a Bruxelles (2015) che in molti ricordano. Ea, figlia di Dio e ragazzina ribelle, decide di divulgare a tutti gli esseri umani la data della propria morte. �Restituire agli uomini la coscienza della propria morte... Fantastico!�, commenta, complice, il fratello JC (dalle fattezze di Ges� Cristo). Segue una serie di scene in cui il regista Jaco Van Dormael ipotizza le reazioni possibili di chi riceve via sms il countdown della propria vita: dopo un primo momento di angoscia, in molti decidono di concretizzare i loro sogni, anche i pi� bizzarri, come costruire il Titanic con i fiammiferi o imparare a suonare l'elicone. Si tratta di una storia surreale, naturalmente, ma il quesito che pone � interessante: che cosa accadrebbe se ognuno di noi sapesse la data della propria morte? Abbiamo quindi provato a immaginare questo scenario: in un futuro imprecisato, quando la scienza avr� raggiunto tutti i traguardi possibili in termini di cura delle malattie, protezione della qualit� della vita e sicurezza ambientale, senza tuttavia poter sconfiggere la morte, un semplice esame del Dna potrebbe essere in grado di determinare non solo di che morte ciascuno di noi dovr� morire, ma anche il momento esatto in cui ci� avverr�. Abbiamo cio� ipotizzato che gli esseri umani, in un imprecisato domani, avranno sulla propria carta di identit� non solo la data di nascita, ma anche la data di morte. Che cosa cambierebbe nella loro percezione di s�, nei rapporti con gli altri, nel sistema economico e politico-sociale? �In fondo non � uno scenario cos� distopico�, fa notare la psicoterapeuta Ines Testoni, direttrice del Master Endlife in �Death Studies & The End of Life� presso l'Universit� di Padova. �Di fatto siamo gi� vicini a questo traguardo grazie alla genetica e all'epidemiologia, che non sono cos� lontane dal poter calcolare, sulla base del patrimonio genetico delle persone e dell'ambiente in cui vivono, il loro probabile lifespan�. Quindi... tanto vale prepararsi. Uno dei cambiamenti pi� ovvi sar� quello che suggerisce il Ges� della pellicola belga: la morte non sar� pi� un argomento tab�. Non potremo pi� rimuoverla dalla nostra mente e dai nostri discorsi come facciamo oggi. Una tendenza, quest'ultima, che � dimostrata da diversi studi. Quelli condotti dal ricercatore israeliano Yair Dor-Ziderman del Safra Brain Research Center di Haifa, per esempio, dimostrano che il nostro cervello, quando capta informazioni o parole legate alla morte, tende a classificarle come riguardanti altre persone piuttosto che noi stessi. �Non possiamo negare razionalmente che moriremo�, osserva il ricercatore israeliano, �ma il nostro cervello fa in modo di pensare alla morte pi� come a qualcosa che accade ad altre persone che a s�. Dunque, anche se sappiamo di essere mortali, � un po' come se ci percepissimo immortali. Ce ne siamo accorti durante la recente pandemia di Covid-19: molte persone, nel momento in cui hanno dovuto fare i conti con l'idea di poter morire da un momento all'altro, hanno manifestato forme di grave ansia, per non dire di autentico terrore. Conoscere la data della propria morte aumenterebbe dunque il senso di angoscia? Probabilmente no. Anzi, anticiperebbe quello che oggi accade alle persone che scoprono di avere una malattia mortale: dopo lo sgomento iniziale, emerge spesso una tranquilla consapevolezza che porta a privilegiare la qualit� della vita, evitando di sprecare il tempo in attivit� noiose o inutili. �Molte forme di ansia e di depressione sono riconducibili a un rapporto non pacificato con la morte propria e dell'altro�, osserva Davide Sisto, filosofo e tanatologo, tra i curatori del blog sipuodiremorte.it. �Di conseguenza, la consapevolezza della durata della propria vita sarebbe l'occasione per relativizzare i problemi quotidiani, per ridimensionare la ricerca della performance, per dare spazio a ci� che fa stare bene, per dedicare il giusto tempo anche all'ozio. Da un certo punto di vista, il futuro potrebbe coincidere con un ritorno al passato: avremmo un atteggiamento pi� simile a quello vissuto da chi nasceva e cresceva in societ� con una durata della vita media non superiore ai 30-40 anni, ci� che accadeva fino alla fine dell'Ottocento, quando la mortalit� infantile era diffusa. La morte era pane quotidiano ed era un tema vissuto in maniera collettiva�. Durante il Medioevo morire era addirittura un evento pubblico. Una campana lo preannunciava e i familiari si radunavano attorno al morente per vivere con lui il momento del trapasso. Philippe Ari�s, autore del saggio sociologico Storia della morte in Occidente: dal Medioevo ai giorni nostri, la definiva �morte addomesticata�: il morente, nel proprio letto, era il protagonista di una cerimonia che aveva lo scopo di �addomesticare� la paura della morte, cio� di preparare tutti i presenti (compresi i bambini) a un evento doloroso, ma naturale e inevitabile. Il trapasso si svolgeva senza pianti disperati, e senza segni di imbarazzo o di disagio, ma con una serie di gesti rituali (tra cui l��estrema unzione� del prete con assoluzione finale). Giunta l'ora, il moribondo girava le spalle ai presenti ed esalava l'ultimo respiro, al riparo dagli sguardi altrui. Nei secoli successivi, fino ai nostri giorni, la morte � progressivamente diventata tab�. Il trapasso � scomparso dalla vista di tutti, anche dei parenti pi� stretti: non si muore pi� nelle case bens� negli ospedali, luoghi freddi e asettici, e per lo pi� in solitudine. Il moribondo non � pi� il protagonista di questo particolare momento, bens� una semplice comparsa. A sapere e a decidere � in genere l'�quipe medica, che ha il compito di liberare la famiglia da un peso considerato estremamente gravoso. Per Ari�s, l'individuo � stato cos� privato di un momento naturale e importante della propria vita. E la morte � diventata un evento terribile e temuto da tutti, addirittura terrorizzante, poich� si teme sempre ci� che non si conosce. Nell'ipotesi dunque di conoscere a priori la data della propria dipartita, la morte tornerebbe a essere un concetto familiare, e come tale sarebbe argomento di convegni, conferenze, articoli. �Se ne discuterebbe di pi� in ambito pubblico, nel senso che si creerebbero mille circostanze in ambito educativo, sanitario e tecnologico per spingere i cittadini - soprattutto quelli con morte precoce - a fare esperienze o percorsi che li aiutino a scendere a patti con la fine�, osserva Sisto. �Si moltiplicherebbero i percorsi di Death Education, cio� percorsi educativi che uniscono insieme discipline scientifiche e umanistiche per riportare il discorso della morte nella societ�. E diventerebbero familiari a tutti i Death Caf�, momenti pubblici in contesti sereni, come quello di un bar o di una caffetteria, in cui si cerca collettivamente di dare un senso alla morte. Magari, questi percorsi sarebbero organizzati per fasce di et� presunta di morte: percorsi per chi muore in et� adolescente, per chi muore invece in et� adulta e per chi infine raggiunge la terza et�. Da una parte, dunque, la fragilit� esistenziale sarebbe una competenza condivisa e universale, su cui fare fronte comune (nessuno si sentirebbe �diverso� rispetto alla sentenza di morte), dall'altra emergerebbe per� una differenza sostanziale: la durata della vita. Con quali conseguenze? �La diversa data di morte prevista porterebbe a cambiare l'organizzazione delle priorit� lavorative e sentimentali�, osserva Testoni. �Verrebbero forse predefinite professioni e quindi corsi di formazione in base alla durata di vita�. Non avrebbero senso studi prolungati e finalizzati alla carriera per chi � destinato a morire giovane, mentre chi ha un'aspettativa di vita di 90 anni o pi� dovrebbe mettere in conto di mantenersi (e quindi guadagnare) per un lasso di tempo piuttosto ampio. Pi� in generale, potrebbe verificarsi uno scenario in cui chi vive pi� a lungo avrebbe un maggior potere di condizionare le leggi e le decisioni politiche rispetto a chi vive meno. �Per scongiurare disordini si potrebbe auspicare un contratto sociale ispirato alla teoria della giustizia del filosofo John Rawls, che tenga conto delle diseguaglianze immeritate�, ipotizza Maurizio Motolese, professore di politica economica all'Universit� Cattolica del Sacro Cuore di Milano. �I pi� svantaggiati, in questo caso, sarebbero le persone con minor durata di vita, che andrebbero tutelate�. Per esempio, a chi � destinato a morire molto giovane va assicurata un'adeguata qualit� di vita. In ogni caso, la durata della vita lavorativa dovrebbe essere proporzionata alla durata totale dell'esistenza, e dovrebbe essere garantito un �diritto al pensionamento�, anche a coloro che avranno vita breve. Come cambierebbero le pensioni? �Venendo meno l'incertezza sull'et� della morte, il sistema pensionistico cambierebbe radicalmente: forse diventerebbe personalizzato e gestito soprattutto attraverso fondi privati�, prosegue Motolese. �Poniamo che una persona sia destinata a morire a 50 anni: potrebbe accordarsi sia con il datore di lavoro sia col proprio fondo pensione di lavorare fino a 40 anni e godersi una pensione per gli ultimi 10 anni. Sarebbe comunque da prevedere un fondo garanzia pubblico che protegga le pensioni dalle crisi finanziarie e dalle oscillazioni economiche�. Cambierebbe anche la gestione delle eredit� patrimoniali. Probabilmente, con la certezza della data di morte, sarebbe obbligatorio fare testamento. �E anche in questo caso sarebbe auspicabile un patto sociale per proteggere la discendenza dalle scelte dei genitori. All'approssimarsi della data di morte, infatti, qualcuno potrebbe decidere di consumare tutto e non lasciare niente ai propri figli�, ipotizza l'economista. Anche le relazioni amicali e sentimentali subirebbero cambiamenti. Per esempio: come si comporteranno gli amici di chi � destinato a morire giovane? �Non sarebbe molto diverso da ci� che accade gi� oggi con gli animali da compagnia: li amiamo e li curiamo pur sapendo che moriranno prima di noi e che questo ci coster� dolore�, suggerisce Testoni. �Nel gruppo di amici la prima cosa che verrebbe condivisa sarebbe proprio la data di morte, ed � probabile che verrebbero allestite specifiche ritualit� preparatorie per il distacco�. Forse la domanda pi� comune non sar� pi� �quanti anni hai?� ma �quanti anni ti mancano?�. Nulla vieta poi di pensare che qualcuno festegger�, accanto al compleanno, anche la ricorrenza della propria data di morte. A qualcuno verr� voglia di tatuarla. E le app di incontri punteranno ad accoppiare persone con aspettativa di vita simile. Si pu� prevedere un impulso all'industria dei funerali e, chiss�, potrebbe emergere la figura del �death planner� sulla falsariga del wedding planner: persone preposte all'organizzazione del funerale, sempre pi� vicino ai desideri del morituro. E forse ci sar� chi organizzer� un prefunerale, un death party a ridosso della data di morte. �� anche probabile che qualche millantatore cercher� di sovvertire la previsione, dando la speranza o l'illusione di azzerarla, proponendo soluzioni pi� o meno bislacche per evitare la morte biologica precoce�, azzarda Sisto. �Ci saranno cio� venditori di false tecnologie per sovvertire il responso biologico: al posto delle pillole per allungare il pene, avremmo forse nello spam della posta elettronica la pubblicit� di quelle per allungare la vita�. Un altro aspetto tecnologico che prenderebbe piede � quello relativo all'organizzazione delle nostre memorie. �Si moltiplicherebbero forse le startup che garantiscono la conservazione delle tracce digitali. Ci sarebbe pi� attenzione a organizzare le proprie immagini fotografiche, le proprie parole scritte, i propri messaggi vocali pubblicati sui social e sulle app di messaggistica privata�, ipotizza il tanatologo. �Prenderebbe maggiormente piede la �Death cleaning� proposta dalla svedese Margareta Magnusson, cio� l'organizzazione razionalizzata delle proprie eredit�, separando ci� che si vuole conservare da ci� che si vuole eliminare. E aumenterebbe anche la diffusione dei griefbot e dei thanabots, vale a dire i programmi di intelligenza artificiale che permettono di continuare a dialogare con i defunti. Li costruiremmo per garantire a noi e ai nostri cari una continuazione della vita, preclusa dalla morte precoce�. Al sopraggiungere della data fatidica, infine, si intensificheranno i percorsi per facilitare l'avvicinamento alla morte. Molto probabilmente subirebbe un grande impulso la ricerca sui farmaci psichedelici, derivati dall'Lsd e dalla psilocibina, che gi� oggi vengono utilizzati in via sperimentale nei malati terminali. La loro assunzione � infatti associata a un'esperienza di dissoluzione dell'ego, che riduce la paura della morte. Per la stessa ragione aumenterebbero le pratiche spirituali meditative, come quelle che invitano a contemplare la morte come parte del ciclo naturale della vita e ad accettarla con serenit�. Infine, i percorsi di psicoterapia si moltiplicherebbero. �Lo psicodramma, la terapia della Gestalt e alcuni esercizi di psicologia positiva gi� lavorano sull'immaginarsi oltre la morte e il potersi guardare da quell'�allora� verso questo �adesso�. Funzionano benissimo perch� permettono di non rappresentarsi la morte come annientamento, ovvero nel modo pi� terrificante. Nei miei percorsi di death education parto proprio da qui, e si tratta di un esercizio molto utile tanto per chi muore quanto per chi rimane�, conclude Testoni. Al cinema Oltre al gi� citato Dio esiste e vive a Bruxelles, un altro film che ipotizza uno scenario simile � l'americano In time (2011). In un fantascientifico futuro le persone sono geneticamente programmate per vivere fino a 25 anni, quando sul loro braccio un timer, fermo dalla nascita fino ad allora, inizia un conto alla rovescia, al termine del quale l'individuo morir� all'istante. Questo limite pu� essere esteso: il �tempo� si pu� cio� acquistare e vendere. Ne deriva una societ� in cui i ricchi possono vivere per sempre mentre i poveri negoziano ogni giorno la loro sopravvivenza. Un recente film giapponese, Plan 75, tratta un tema leggermente diverso e, tutto sommato, realistico. Il Giappone decide di risolvere la sproporzione tra l'invecchiamento della popolazione e il calo delle nascite offrendo la possibilit�, a tutti gli over 75 anni, di partecipare a un programma statale che permette l'eutanasia gratuita insieme a un discreto gruzzoletto (che pu� servire a godere gli ultimi giorni di vita, per esempio con un viaggio). Una sorta di welfare al contrario, che protegge i giovani dal dover dedicare la propria esistenza ad assistere e mantenere i pi� anziani. La parabola di Marco Pantani (di Arianna Pescini, �Focus Storia� n. 208/24) - Ascesa e declino del Pirata che su due ruote conquist� montagne, medaglie e il cuore degli italiani - �Le emozioni pi� forti le ho provate lungo le strade, quando sentivo la gente gridare cos� tanto il mio nome che mi veniva il mal di testa�. � tutto racchiuso in queste parole l'amore che ha saputo suscitare in milioni di tifosi Marco Pantani, il Pirata, lo scalatore pi� forte degli ultimi decenni. Dalla morte del ciclista romagnolo sono passati vent'anni: il 14 febbraio 2004 ci lasciava l'atleta che pi� ha avvicinato gli italiani contemporanei al ciclismo. Quello che ha conquistato Giro d'Italia e Tour de France nello stesso anno, il 1998, e che nonostante le controversie e i fiumi di inchiostro scritti su di lui � rimasto nel cuore di chi lo ha visto scattare in salita, e fare il vuoto. Quella del Pirata, infatti, � stata una carriera che ha fruttato meno di quanto avrebbe potuto, costellata di infortuni e con un finale tragico, ma proprio per questo ancora pi� romantica agli occhi dei tifosi. Nello sport ci sono i campioni perfetti, gli eroi costruiti per vincere, tutti tabelle e tecnica. E poi c'� Marco Pantani, l'eroe anti-eroe, pieno di luci e ombre, allegro e malinconico, sagace ma anche azzardato. Un atleta che la gente amava proprio per la sua imperfezione, per essersi rialzato dalle cadute, in strada e nella vita. Fino alla sospensione al Giro del 1999, e quei lunghi cinque anni che lo hanno fatto fuggire per sempre. Il ragazzo di Cesena mostra la sua stoffa gi� dai 13 anni: nessuno riesce a staccarlo in salita. Pantani vive per la bicicletta, e a detta dei suoi primi direttori sportivi ha una forza impressionante nelle gambe, unita ad una volont� ferrea. A 16 anni cade, rischiando grosso. Ma si rialza e in poche stagioni mette in bacheca il Giro d'Italia dilettanti. Poi, nel 1994, la ribalta: alla Corsa rosa vince la sua prima tappa da professionista scendendo in picchiata verso la citt� di Merano, sporgendosi spaventosamente all'indietro sul sellino della bici. Il giorno dopo scala il Passo del Mortirolo in 43 minuti, di fronte a 100 mila tifosi urlanti, staccando campioni come Indurain e la maglia rosa Berzin. Recupera le energie in discesa e trionfa in solitaria sul Passo dell'Aprica. �Pantani sei un mito�, titola La Gazzetta dello Sport. Quando la strada del successo sembra spianata, per�, altre due cadute lo allontanano dalle gare. In mezzo, Pantani riesce a partecipare al Tour de France del 1995: ha i capelli rasati e l'orecchino, inizio della metamorfosi piratesca, e attende la montagna per scattare. L'Alpe d'Huez ha 21 tornanti disseminati per 13 km, con pendenze da capogiro. Pantani si alza sui pedali non appena la strada sale, leggero come una foglia. Indurain, sempre lui, lo lascia andare: sta gi� vincendo l'ennesimo Tour, e preferisce non scoppiare. Pantani supera i fuggitivi di giornata e va a vincere. Il pubblico � in delirio. La caduta alla Milano-Torino, in autunno, � quella pi� grave: un fuoristrada contromano lo prende in pieno, rompendogli tibia e perone. La carriera � a rischio, ma dopo 5 mesi � di nuovo in sella. Perde ancora il Giro, nel 1997. Torna in Francia con una bandana in testa: la getta via mentre doma l'Alpe d'Huez in appena 37 minuti. Il suo sogno, per�, � quello di indossare la maglia rosa, finalmente senza intoppi. Aspetta solo l'occasione giusta, che arriva nel 1998. Per Marco Pantani � l'anno perfetto, quello del ciclismo pi� bello. Alla Corsa rosa stacca i rivali sulla Marmolada, lottando poi con l'incrollabile Tonkov. La resa dei conti, il 4 giugno, � di quelle durissime, tutto sudore, sforzo, nervi al limite. Con la maglia rosa gi� sulle spalle, Pantani si libera del russo negli ultimi chilometri. L'arrivo a Plan di Montecampione, tra due ali di folla, � gi� leggenda. Il Pirata chiude gli occhi, esausto, e assapora ogni istante mentre taglia per primo il traguardo. Il Giro � suo. Cos� come l'Italia intera. Un mese dopo, al Tour, tutto sembra favorire il colosso tedesco Jan Ullrich. La svolta � sulle Alpi francesi. Siamo al 27 di luglio ma sul temibile Col du Galibier, a 2600 metri, piove e fa freddo. Scattare a 50 km dall'arrivo sfidando pioggia e vento gelido � da folli. Il Pirata lo fa: raggiunge la vetta della montagna senza che nessun rivale diretto osi seguirlo, sbucando dalla nebbia con il suo completino colorato. Si getta a capofitto nella discesa, duellando con l'asfalto fradicio e le curve, e non smette un attimo di spingere sui pedali. La maglia gialla Ullrich cede. Arriver� dopo nove minuti. I fari delle moto illuminano, nei metri finali a Les Deux Alpes, un piccolo corridore, distrutto, che chiude ancora gli occhi per sentire la magia di quell'impresa. I francesi, padroni di un Tour scosso dallo scandalo doping, non credono ai loro occhi: �� un gigante�, titola il quotidiano sportivo L'�quipe, coniando per il Pirata un nuovo aggettivo, �Pantastique�. La doppietta Giro-Tour lo consegna alla storia dello sport mondiale, accanto a campioni come Fausto Coppi, Eddie Merckx e pochissimi altri. In un'epoca senza social media, il romagnolo diventa un'icona moderna, riconoscibile in tutto il mondo. Il Pirata e la sua bandana, una specie di simbolo da eroe risorgimentale. E poi l'orecchino, il pizzetto, la fisionomia. Segni distintivi di una �Pantani-mania� che polverizza tutti i record, compresi quelli degli ascolti televisivi. Tifosi di generazioni diverse tappezzano le strade con il suo nome. E attendono ogni volta, come in un rito, che quel copricapo cada a terra, segnale dell'inizio della battaglia. Un amore che ricorda i tempi di Coppi e Bartali, eroi, tra gli Anni '30 e '50, di un'Italia povera e acerba. Cos� scrisse il giornalista sportivo Gianni Mura: �Pantani veniva da lontano. Era un grande fossile preistorico, il �Pantadattilo�: uno scalatore puro in un periodo in cui occorreva essere forti soprattutto a cronometro. A lui invece bastava la salita. Era un ciclista cos� amato perch� non lo si vedeva da un pezzo, e, morto lui, non si � pi� visto�. Ma al culmine della fama e della gloria, ecco la caduta, quella pi� lunga e dolorosa. � il 5 giugno del 1999. Quel giorno, a Madonna di Campiglio, Pantani ha il Giro d'Italia in tasca: � saldamente in testa alla classifica e mancano due tappe all'arrivo a Milano. Il mondo gli crolla addosso al controllo antidoping, l'ennesimo. L'ematocrito (il volume dei globuli rossi nel sangue) � a 52, oltre il limite consentito di 50. Quel numero non rileva la positivit� al doping, ma potrebbe esserne, teoricamente, una conseguenza. E significa una sospensione di 15 giorni. Pantani � frastornato, incredulo, grida la sua innocenza. Non si spiega la diversit� con i valori del giorno precedente (ematocrito a 48). Negli anni emergeranno tutte le anomalie di quell'esame, alcune eclatanti, come ha confermato la Commissione parlamentare antimafia, tali da rendere plausibile �l'ipotesi della �manomissione� del campione di sangue�. Sullo sfondo, l'ombra della camorra, forse un giro di scommesse legate alla vittoria del Pirata. Quel 5 giugno l'eroe di colpo diventa il reietto. Arrivano il linciaggio mediatico, le corti di giustizia che lo condannano, lo assolvono e lo indagano di nuovo, la depressione, la cocaina. Dal 2000 Pantani torna alle gare e ha un paio di guizzi, anche se corre ormai con un macigno sul cuore. Per i tifosi, che lo hanno sempre difeso, � una dolce illusione. La sua storia finisce nel peggiore dei modi. Ma non si spegne il mito. Chi lo ha amato lo vede ancora l�, al traguardo di Montecampione, sfinito e liberato, con gli occhi chiusi, sul tetto del mondo. Cronologia 1970: Marco Pantani nasce il 13 gennaio a Cesena. 1984: Vince la sua prima corsa, tesserato nel Gruppo Ciclistico Fausto Coppi. 1992: Conquista il Giro d'Italia dilettanti e passa al professionismo, nella squadra Carrera Jeans. 1994: Partecipa al Giro d'Italia e vince due tappe, assicurandosi il secondo posto in classifica generale. Al Tour de France arriva terzo, distinguendosi nella scalata del MontVentoux, di cui detiene ancora il tempo record. 1995: � l'anno della prima vittoria all'Alpe d'Huez, sempre in Francia. Ai Mondiali in Colombia � medaglia di bronzo. Un grave incidente a fine anno lo tiene lontano dalle gare. 1997: Passa alla squadra Mercatone Uno. Vince due tappe al Tour de France, sfoggiando una bandana al posto del cappellino. Stabilisce un altro primato, finora imbattuto, sull'Alpe d'Huez, arrivando in cima in 37 minuti e 35 secondi. 1998: Entra nella storia del ciclismo vincendo Giro d'Italia e Tour de France a distanza di poche settimane. Famosi gli arrivi a Montecampione (4 giugno) sulle Alpi lombarde e a Les Deux Alpes (27 luglio), in Francia, dopo fughe in solitaria di decine di chilometri. 1999: A un passo dalla vittoria del suo secondo Giro, il 5 giugno viene sospeso dopo un controllo antidoping: l'ematocrito � fuori norma. 2000: Tornato alle gare, al Tour riesce a battere Lance Armstrong sul Mont Ventoux e vince un'altra tappa in solitaria, a Courchevel. 2004: Il 14 febbraio viene ritrovato senza vita a Rimini, al residence �Le Rose�, a causa di un'overdose da cocaina. Una morte che aspetta giustizia Marco Pantani mor� il 14 febbraio 2004, nella camera D5 del residence �Le Rose� di Rimini, ufficialmente per un'overdose accidentale di cocaina e psicofarmaci. Ma le ultime ore di vita del Pirata restano avvolte nel mistero. Ci si interroga sui suoi movimenti e ci si chiede se fosse con qualcuno in quella stanza, che poi gli inquirenti hanno trovato a soqquadro ma con gli oggetti intatti, come se fossero stati spostati per simulare (male) un raptus dovuto alla droga. Dopo la prima archiviazione, nel 2014 nuovi indizi e perizie portano alla riapertura delle indagini, questa volta con l'ipotesi di omicidio volontario. Il racconto dei soccorritori del 118 intervenuti quella sera smentisce clamorosamente le immagini della polizia scientifica giunta sul posto dopo di loro. Nonostante ci�, nel 2016 il caso � nuovamente chiuso. A seguito dei risultati della Commissione parlamentare antimafia, nel 2021 la Procura di Rimini ha aperto una terza inchiesta. Davide De Zan, giornalista Mediaset, lotta per la verit� da anni assieme alla famiglia del campione, e ha ricostruito i fatti nei libri Pantani � tornato (Piemme) e Pantani per sempre (Libreria Pienogiorno). Lo abbiamo intervistato. Se mettiamo in fila tutti gli elementi niente � come sembra. �La mole di prove emerse parla chiaro: tutto in quella stanza andava in una direzione opposta rispetto alla tesi ufficiale con la quale si sono chiuse le prime due indagini. Su quella scena le cose che non tornano sono una miriade�. Tutto fa presupporre che Pantani non fosse solo in quella stanza. �Assolutamente, non lo era�. La commissione parlamentare parla di lacune investigative e invita a considerare altre ipotesi, giusto? �S�, del resto, aveva gi� aggiunto un ulteriore elemento, ovvero la testimonianza di un pusher che ha confermato che Pantani assumeva cocaina solo fumandola. Nella stanza c'erano tracce di cocaina sniffata, ma non � stato rinvenuto nessun strumento per fumare. Il che fa pensare a una messa in scena�. Altre inchieste giornalistiche, oltre alla sua, hanno provato a fare luce su questa tragica vicenda... �I giornalisti hanno il compito di sollevare dubbi, cercare di far emergere nuove testimonianze. Sono per� gli investigatori a dover andare a fondo. La domanda che ci dobbiamo porre adesso non � tanto com'� morto Marco Pantani, ma chi lo ha ucciso. Stiamo ancora aspettando una risposta�. Perch� si mangia l'agnello a Pasqua? (Lacucinaitaliana.it) - Sapete perch� si mangia l'agnello a Pasqua? La pi� discussa delle nostre tradizioni gastronomiche ha origine dalla religione cristiana. Ecco cosa dice la Bibbia - Che siate sostenitori o accusatori vi siete mai chiesti perch� si mangia l'agnello a Pasqua? Poche tradizioni suscitano, nella nostra gastronomia, gli stessi interrogativi e le stesse campagne di boicottaggio come il consumo dell'agnello. Chi, almeno per un attimo, non ha mai provato un sussulto di tenerezza rispetto a questo tenero batuffolo, cucciolo di pecora di et� di un mese circa? Eppure l'agnello si consuma da sempre, al pari del �brutto� maiale, e la gastronomia italiana ci regala piatti del calibro dell'abbacchio a scottadito della cucina romana, dell'agnello al forno pugliese, oppure di quello con piselli e uova della tradizione napoletana. Senza contare le costolette d'agnello impanate al forno oppure fritte, l'agnello con i carciofi, l'agnello al forno alla sarda (con patate, carciofi e mirto) oppure, dalla Toscana, lo spezzatino d'agnello alla cacciatora e quello in umido. Ma perch�, a Pasqua, si mangia proprio l'agnello e quali sono i significati che si nascondono dietro questo rituale? L'agnello, per la religione cristiana e ancor prima per quella ebraica, � il simbolo di sacrificio per eccellenza, e come tale pi� volte compare nell'Antico Testamento. Come nel libro dell'Esodo (Esodo, 12, 1-9), quando a proposito della Pasqua ebraica Dio disse a Mos� e Aronne: �Ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa�. E poi ancora: �In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, n� bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere�. Nell'area mediterranea l'agnello � considerato da sempre come il simbolo del candore e della fragilit� della vita, soprattutto per le popolazioni seminomadi come quella ebraica. Con l�offerta di un agnello il credente donava a Dio ci� che aveva di pi� bello, puro e prezioso, come se offrisse s� stesso, in maniera non dissimile dall'ariete che Dio far� trovare ad Abramo dopo la terribile prova del sacrificio di Isacco (Genesi, 22, 1-18). Nel Nuovo Testamento, Giovanni Battista accoglie cos� Ges�: �Ecco l�Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!�, prefigurandone il ruolo sacrificale per la redenzione dell'umanit�. Proprio �come agnello condotto al macello�, come profetizzava Isaia (Isaia, 53, 7). Tuttavia, nei Vangeli e nel messaggio di Ges� Cristo non c'� traccia dell'ossessione per i sacrifici rituali, cos� frequenti invece nell'Antico Testamento. L'Agnello era Ges� stesso. Quindi molti credenti sostengono tuttora che mangiare l'agnello a Pasqua non sia affatto una tradizione cristiana. Gi� durante il dibattito di Laodicea (165) sulla Pasqua, si disse che il vero sacrificio era stato compiuto con Cristo, e che quello pasquale dell'agnello propugnato dagli Ebrei convertiti non aveva ormai pi� senso. Una cesura sottolineata nel 2007 anche dal Papa Benedetto XVI: �Il gesto nostalgico, in qualche modo privo di efficacia, che era l�immolazione dell�innocente ed immacolato agnello, ha trovato risposta in Colui che per noi � diventato insieme Agnello e Tempio�. Per i cristiani scompare dunque il rito sacrificale, ma non la tradizione, il consumo e un diverso significato simbolico e teologico dell'agnello. Anche se questo viene incorporato nei rituali pasquali in una forma pi� blanda e �pagana� rispetto all'ebraismo, un passaggio probabilmente avvenuto sotto l'imperatore romano Costantino. La tradizione si � mantenuta viva giungendo fino a noi, in particolare nelle zone maggiormente dedite alla pastorizia come il Centro-Sud. E si � perfino evoluta in singolari agnelli dolci, come nelle Marche e a Favara (Agrigento).�Ma, pi� in generale, cibarsi del prezioso agnello durante la Pasqua (al pari del maiale a Natale, che per� non ha certo un significato teologico cos� marcato) era una delle poche occasioni per rimpinguarsi di carne di prima qualit�. Un lusso per pochi, durante il resto dell'anno. Liverpool, la citt� dei Beatles (Quilondra.com) - Ma anche la citt� del Titanic e della tratta degli schiavi. Storia ricca e affascinante che racconta alcune delle pagine pi� oscure dell'umanit� - Dagli anni '60 ad oggi Liverpool � stata il simbolo della rivoluzione musicale avendo visto la nascita di quel fenomeno senza tempo chiamato Beatles, la band pi� famosa del XX secolo, diventando destinazione turistica preferita per le migliaia di fans del gruppo che ogni anno visitano la citt� per rivivere la storia e calarsi nelle atmosfere di quell'epoca. Tuttavia, la posizione geografica di Liverpool, sull'estuario del fiume Mersey e affacciata sull'oceano Atlantico, � stata la causa che in passato ne determin� l'importanza commerciale e la derivante grandezza. Citt� portuale, dai prosperi cantieri navali, nell'800 Liverpool era la seconda citt� dell'Impero Britannico nonch� la pi� ricca in assoluto, anche pi� di Londra! Dal suo porto partivano tutte le rotte commerciali verso i fiorenti mercati delle colonie e il traffico ignobile ma estremamente lucrativo degli schiavi africani, fu concepito e part� proprio da qui. Se arrivate in treno, uscendo dalla stazione ferroviaria di Lime Street, la prima al mondo destinata al traffico passeggeri, potrete ammirare una serie di imponenti edifici pubblici in stile neoclassico tra cui la St. George Hall, la Liverpool Public Library e la William Brown Library and Museum. Attraverso le stradine del centro, quasi tutte pedonali, si arriva al distretto gay di Liverpool, il cosiddetto Stanley Street Quarter, il primo quartiere riconosciuto ufficialmente come dedicato alla comunit� LGBT; esso comprende una zona residenziale, hotel, bar, night-club e altre attivit� commerciali per lo pi� gestite dai membri della comunit�. Da Stanley Street parte Mathew Street che con le stradine circostanti � conosciuta anche come The Cavern Quarter, dal nome del famoso locale dove si esibivano i Beatles e dove hanno suonato tutti i gruppi musicali pi� famosi del mondo. La zona portuale lungo le rive del fiume Mersey, � una teoria di bacini che un tempo ospitavano approdi e cantieri navali. Oggi, dopo un periodo di decadenza e abbandono negli anni '70, l'area � stata completamente trasformata e riqualificata, e in particolare il complesso architettonico dell'Albert Dock che ospita il polo museale della citt� � diventato Patrimonio dell'Unesco. Musei famosi come Tate Liverpool, The Beatles Story, International Slavery Museum, Museum of Liverpool, Merseyside Maritime Museum offrono ogni giorno ai visitatori la possibilit� di investigare e scoprire particolari poco conosciuti ad esempio sulla tratta degli schiavi o sull'affondamento del Titanic e del Lusitania, per non parlare della storia, sin dall'adolescenza, dei famosi �scarafaggi di Liverpool�. Liverpool vanta una lunga tradizione calcistica e la squadra della citt� � una delle pi� titolate del mondo. Lo stadio, situato nel quartiere di Anfield, � il settimo per grandezza nel Regno Unito e pu� ospitare fino a 45 mila spettatori. Il tifo in citt� � molto sentito e gli shop ufficiali che vendono il merchandise con i colori della squadra si trovano nei punti pi� frequentati della citt�. Non � improbabile vedere giovani e anche meno giovani indossare magliette rosse e gialle. L'itinerario sulle tracce dei Beatles parte da Mathew Street dove si trovano tutti i luoghi simbolo che i famosi 4 ragazzi di Liverpool frequentavano da giovani quando ancora sconosciuti si chiamavano The Quarrymen. La strada � letteralmente disseminata di statue e locali dedicati alla band. Da tutte le attivit� che si affacciano sulla via pedonale escono arie famose e, a qualsiasi ora, musicisti di strada suonano le canzoni evergreen. Famoso il Liverpool International Music Festival che si tiene ogni anno in estate. Al Festival, con palcoscenici nei vari punti della citt�, partecipano gruppi musicali da tutto il mondo e i concerti della giornata registrano la presenza di migliaia di spettatori. La storia del gruppo � raccontata per esteso nel museo dei Beatles che si trova in un seminterrato dell'Albert Dock. The Beatles Story � un vero e proprio viaggio nella vita e il lavoro dei baronetti, ma anche un tuffo nella storia degli anni '60 con le tensioni sociali e le nuove mode musicali di cui furono protagonisti. Un'altra tappa da non mancare � il Fab4 Cafe sul Pier Head, nello stesso edificio della biglietteria per i traghetti che navigano sul River Mersey. Oltre alla caffetteria al primo piano si trova una sala cinematografica dove viene proiettato un simpatico cartone in 4D e un percorso storico sulla cosiddetta British Invasion: l'arrivo e l'impatto deflagrante della musica dei Beatles negli USA, con il loro sbarco sul suolo americano nel febbraio del 1964. Liverpool � collegata a Londra tramite il treno, con un viaggio di poco superiore alle 2 ore dalla stazione ferroviaria di London Euston. I fans dei Beatles e quanti desiderano visitare questa bella citt� ricca di storia in un giorno, con partenza e ritorno a Londra, possono quindi farlo agevolmente. Perch� i Beatles si chiamano cos�? La storia dietro il nome Le origini del nome ufficiale della band, sono da ricondurre ad un ex membro dei Beatles, Stuart Sutcliffe. Egli fu il bassista della band e decise di abbandonare il progetto per dedicarsi ai propri studi artistici, purtroppo nel 1962 mor� a causa di un aneurisma cerebrale. Fu proprio Sutcliffe a suggerire il nome �Beatals� a John Lennon, quest�ultimo lo modific� ulteriormente per richiamare il termine �beat� (battito o ritmo), cos� venne a formarsi il nome Beatles, che diventer� quello definitivo della band. C�� anche una �leggenda� creata dallo stesso Lennon, che disse pi� volte di aver avuto una visione all�et� di dodici anni, in cui un uomo su una torta fiammeggiante disse: �Voi sarete Beatles, con una �A��. Per ricordare queste dichiarazioni, �Flaming Pie� (torta fiammeggiante), nel 1997, divenne il titolo di un album di Paul McCartney. Quante volte abbiamo sentito accostare il significato di Beatles, nome della band, al termine �scarafaggi�? Risulta essere un errore di traduzione. Beetle vuol dire infatti coleottero nel linguaggio comune, come possono essere i maggiolini o gli scarabei, mentre per scarafaggi la traduzione pi� esatta sarebbe Cockroach. Fenomeno K-pop: come ha ottenuto fama mondiale (Gogohanguk.com) - In Italia, cos� come nel resto del mondo, il fenomeno musicale K-pop � sempre pi� in ascesa negli ultimi anni. Ma cos��? E perch� � diventato tanto popolare nel mondo? - Quando � nato il K-pop? La musica pop coreana � nata circa 30 anni fa, quando Lee Soo Man fond� l�azienda SM Entertainment, che oggi � una delle principali aziende di intrattenimento coreane. Nel 1992 il gruppo Seo Taiji and Boys partecip� a uno show televisivo coreano, presentandosi con una performance che incorporava nei testi delle canzoni alcune parole inglesi, dal ritmo hip hop e R&B, con coreografie e motivetti che miravano ai teenagers. Sebbene i giudici dello show rimasero scioccati dalla performance, i pi� giovani l�apprezzarono a tal punto che scal� le classifiche rimanendo in prima posizione per 17 settimane di fila. Sull�onda del successo di questo nuovo genere musicale, alla fine degli anni �90 in Corea vengono fondate altre due grandi case discografiche: JYP Entertainment e YG Entertainment. Tra i gruppi K-pop pi� famosi dei primi anni 2000 ci sono i TVXQ, che divennero molto popolari anche in Cina e in Giappone, cavalcando l�onda coreana di quel periodo. Dopo i TVXQ ci sono stati, tra i gruppi maschili, i Super Junior e i Big Bang, mentre le Kara e le 2NE1 erano le girl band pi� di spicco nel 2007. Ma ovviamente questi sono solo alcuni dei gruppi musicali pi� in voga nel panorama musicale pop coreano degli ultimi decenni. Non possiamo, poi, non parlare del fenomeno globale �Gangnam Style�, pezzo creato dall�eclettico produttore musicale PSY. �Gangnam Style� � stato il video che ha raggiunto il record di oltre 1 miliardo di visualizzazioni su YouTube nel 2012. Cosa caratterizza i gruppi K-pop? Il numero minimo dei membri di un gruppo K-pop � di 4 persone. In ogni gruppo K-pop c�� una sorta di graduatoria, con il leader, solitamente pi� �anziano�, che ci si aspetta sia maturo, carismatico e in grado di gestire ogni situazione per il bene del gruppo. Poi c�� quello considerato particolarmente attraente e che rappresenta l�ideale di bellezza, secondo gli standard di idols K-pop ovviamente. C�� poi il membro pi� giovane, che per forza di cose viene �etichettato� come quello carino e timido, qualcuno da proteggere. I gruppi K-pop sono divisi in categorie: c�� il cantante principale, che canta spesso molto di pi� di altri, c�� il rapper, con buone rapping skills rispetto agli altri, e ci sono i ballerini, che cantano meno ma si muovono di pi�. Ogni gruppo e community K-pop si pu� considerare una vera famiglia. Gli idols sono molto affezionati ai propri fans, e viceversa, e i membri di ogni gruppo condividono la vita insieme praticamente 24 ore su 24, vivendo nella stessa casa e allenandosi per le performance quasi senza sosta. I gruppi K-pop lavorano anche molto sulle collaborazioni, con altri artisti coreani, ma soprattutto stranieri. Pensiamo alla canzone �Kiss and Make Up� di Dua Lipa in collaborazione con le Blackpink, �Boys with luv� dei BTS con Halsey, e �Close to me� delle Red Velvet con Ellie Goulding e Diplo. Non dimentichiamo, poi, l�estetica. Trucco, capelli e costumi sono elementi fondamentali e distintivi del fenomeno K-pop, e sempre di pi� gli idols coreani si sottopongono a interventi di chirurgia estetica per rappresentare certi canoni di bellezza stabiliti dallo show business. Cos� � il fenomeno BTS? Nel 2013 nascono i BTS, conosciuti anche come Bangtan Boys, gruppo di 7 ragazzi diventato in breve tempo famoso in tutto il mondo. Secondo lo Hyundai Research Institute i BTS generano per l�economia coreana oltre 3.5 miliardi di dollari all�anno. Questo � dovuto soprattutto al loro successo globale, se pensiamo che nel 2019 � stata la prima band coreana ad esibirsi nell�iconico stadio di Wembley in Inghilterra, dove si sono esibite band leggendarie come i Queen, i Rolling Stones, o artisti del calibro di Michael Jackson. I concerti dei BTS hanno fatto il tutto esaurito, con 60.000 fans solo nella prima serata. Inizialmente la band aveva in programma di esibirsi solo una sera, ma i biglietti sono stati venduti tutti in soli 90 minuti, per cui si � deciso di aggiungere un secondo concerto. C�� chi li paragona ai Beatles del 21esimo secolo. Il fenomeno K-pop ha portato la Corea a essere conosciuta in tutto il mondo, e ad avvicinare molti giovani alla lingua coreana. Infatti, imparando a memoria le canzoni K-pop i fans vogliono sempre di pi� conoscere la lingua e la cultura coreana, e visitare il paese da cui i loro idoli sono nati.