Maggio 2024 n. 5 Anno LIV MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice Palestina: all�inizio fu Canaan Se sparisse la primavera� C�� sempre una prima volta Matti da slegare La fragola, storia e leggenda Milano, i quartieri dei cantanti amati dalla generazione Z Palestina: all�inizio fu Canaan (di Maria Leonarda Leone, �Focus� n. 376/24) - � culla della civilt�, eppure territorio martoriato da millenni - Ha avuto nomi, genti e dominazioni diverse, confini incerti e una storia antichissima che affonda nella preistoria di circa 60mila anni fa, quando i piedi dei Neanderthal, cugini dell'Homo sapiens, gi� calcavano questo lembo di terra del Vicino Oriente, stretto fra la costa orientale del Mediterraneo, il fiume Giordano, il Mar Morto e i confini settentrionali dell'Egitto. Culla tra il VI e il III millennio a.C. di una delle prime e pi� importanti civilt� agricole e urbane, � una terra di piccole dimensioni, ma con un enorme bagaglio storico che, nei secoli, si � trasformato in un drammatico peso. Gli accademici moderni lo chiamano Levante Meridionale, ma per gli antichi era la Terra di Canaan, stretta tra l'antica Fenicia a nord e il regno dei faraoni a sud. �Il toponimo �Palestina� � entrato nell'uso solo molti secoli dopo, in epoca classica�, spiega Federico Giusfredi, docente di Storia del Vicino Oriente antico all'Universit� di Verona. �Lo us� per primo lo storico greco Erodoto (V secolo a.C.) per indicare sostanzialmente la Terra di Canaan�. Dai Greci il nome pass� poi ai Romani, ma il suo significato non � certo. �Il termine greco Palaistine si ricollega in modo non del tutto chiaro ad alcuni termini che compaiono nelle fonti pregreche e preromane�, prosegue l'esperto. �Tra gli altri, l'egiziano Prst (dal nome di una popolazione di provenienza forse egea), l'ebraico Plstym (cio� �Filistei�, i biblici nemici giurati degli Israeliti) e persino il nome anatolico Palastin, che si riferiva per� a una regione molto pi� settentrionale, nella valle dell'Oronte�. Avvolte nell'incertezza sono anche le origini delle genti che nella Terra di Canaan si insediarono, tanto che la loro identit� � tuttora oggetto di studi archeologici e storico-etnografici, troppo spesso piegati a uso politico nel moderno conflitto tra israeliani e palestinesi. �Fare dei paragoni tra le popolazioni attuali e quelle antiche non � possibile: il quadro storico di 3 mila e oltre anni fa ha poco o niente a che vedere con la situazione geopolitica o con le riflessioni identitarie attuali�, precisa Giusfredi. �Quanto pi� antica si fa la storia, tanto meno sono visibili le origini delle cose e questo vale in particolare quando si cerca l'origine di un determinato popolo. Quel che sappiamo � che sin da epoche antichissime, e certo da prima ancora che il nome di Canaan cominciasse a emergere nelle fonti scritte, nella regione si insediarono i Cananei, genti accomunate dalla stessa cultura, che parlavano diversi dialetti semitici, tutti appartenenti al gruppo delle cosiddette lingue cananee�. Divise in trib�, fin dal II millennio a.C. queste genti fondarono le loro citt�-Stato, piccoli regni la cui maggiore risorsa era il commercio. Merito della collocazione geografica di Canaan, crocevia internazionale lungo le due maggiori strade dell'antichit�, la Strada dei Re e la Via Maris, e punto d'incontro di merci e cultura tra le vallate della mezzaluna fertile e l'Egitto. Ma come ogni medaglia, anche questa invidiabile posizione aveva un triste risvolto: pulce fra giganti, la Terra di Canaan divent� una preda ambita dai grandi e ingordi imperi confinanti. E nel corso del II millennio a.C. fin� sotto il controllo dell'Egitto. Un pugno di governatori, delle guarnigioni sparse e la mediazione dei piccoli re delle citt�-Stato, che a fronte di un tributo conservavano la propria autonomia (ma non l'indipendenza), bastarono ai costruttori di piramidi per mantenere il controllo su quella regione fino al 1170 a.C. circa, quando gli effetti del cosiddetto �collasso dell'Et� del bronzo� si fecero sentire in tutto il Vicino Oriente, trasformandolo radicalmente. Tra il 1250 e il 1150 a.C., un letale mix di catastrofi climatiche, migrazioni, invasioni e rivolte segn� le sorti dei grandi del tempo: l'Impero hittita, che dominava l'Anatolia e la Siria Settentrionale, croll�, l'Egitto e i regni mesopotamici di Assiria e Babilonia si restrinsero entro i loro confini originari. E la Terra di Canaan? Non fece eccezione: crollarono i palazzi, scomparvero i re e tutta la macchina amministrativa, oltre alle botteghe artigiane e ai commerci di lusso. Le citt� si ridussero a grandi villaggi, le campagne si spopolarono. Ma le genti cananee fecero buon viso a cattivo gioco e si riorganizzarono, godendo di una inconsueta libert� di manovra. In fondo, la crisi qualcosa di buono gliel'aveva data: dopo lungo tempo, la loro terra era libera da dominazioni straniere. Ma non per questo in pace. Secondo la Bibbia, risalirebbe proprio a questo periodo di crisi l'esodo dall'Egitto del popolo di Israele. Guidati da Giosu�, dopo 40 anni di peregrinazioni nel deserto del Sinai gli Israeliti sarebbero giunti nella Terra promessa: Canaan. �Giosu� dunque prese tutto il paese, esattamente come l'Eterno aveva detto a Mos�; e Giosu� lo diede in eredit� a Israele, trib� per trib�, secondo la parte che toccava a ciascuna�, dice il racconto biblico. La Terra di Canaan venne ribattezzata allora Terra di Israele e la sua storia identificata con quella del suo popolo, a eccezione delle coste meridionali occupate dai Filistei e di quelle settentrionali occupate dai Fenici. Cos� narra il racconto biblico: ma si pu� davvero impiegare come libro di Storia questa raccolta di testi scritti in momenti diversi, tra l'VIII e il II secolo a.C., e scelti per rappresentare la cultura e le convinzioni religiose e politiche degli Ebrei? Il parere degli studiosi non sempre � unanime. �� una questione scientificamente molto delicata�, dice Giusfredi. �La Bibbia ebraica � indubbiamente una fonte e non pu� essere semplicemente ignorata�, aggiunge lo studioso. �Tuttavia storicizzare in modo acritico le sue narrazioni sarebbe un pericoloso errore metodologico: la confusione tra la dimensione religiosa e quella storico-filologica rischia di dar luogo a ricostruzioni forzate o fortemente ideologiche�. O di creare, come sosteneva non troppi anni fa il politologo israeliano Meron Benvenisti (1934-2020), una �immaginaria percezione della Palestina basata sulla Bibbia�. Nel caso specifico, i ritrovamenti archeologici sembrano smentire il racconto biblico, secondo le dichiarazioni dell'archeologo israeliano Ze'ev Herzog: �Questo � ci� che gli archeologi hanno scoperto dai loro scavi nella Terra di Israele: gli Israeliti non hanno vagato nel deserto, non hanno conquistato i territori in una campagna militare, non li hanno dati alle 12 trib� di Israele e non sono mai stati in Egitto�. Anche se sicuramente gli Egizi li conoscevano gi� intorno al 1200 a.C., dato che il loro nome comparirebbe sulla stele del faraone Merenptah, nell'elenco dei popoli sconfitti dal sovrano egizio. �Gli �Israeliti� furono semplicemente una delle popolazioni cananee presenti nel Levante Meridionale. Come per il resto delle genti di Canaan, non sappiamo se fossero autoctoni, ma possiamo dire che non esistono evidenze archeologiche note che dimostrino una loro migrazione�, conferma Giusfredi. �La fuga dall'Egitto, per esempio, non � corroborata da documenti storici e non esistono a mio parere ragioni di pensare che essi siano giunti nella regione in un momento preciso, n� che provenissero da un altro luogo o differissero in maniera sostanziale dalle altre genti che abitavano il Levante Meridionale. L'idea di questa eccezionalit� del popolo ebraico � sicuramente pi� tarda ed � dovuta al racconto biblico, che scolpisce l'autorit� di Israele sugli altri abitanti del Levante Meridionale�. La biblica conquista di Canaan sarebbe stata piuttosto un graduale e pacifico amalgamarsi: in mezzo agli altri regni cittadini del Vicino Oriente, gli Israeliti fondarono i loro, molto simili agli altri per organizzazione, economia e rapporti commerciali con altri centri del Levante e dell'Egitto. E se l'originario Regno Unito di Israele sembra pi� mito che Storia, i due regni, di Israele a nord e di Giuda a sud, nati dalla sua divisione nel I millennio a.C., sarebbero esistiti davvero: due piccoli Stati indipendenti destinati, come gli altri regni cananei, a confrontarsi di l� a poco con la minacciosa espansione degli Assiri. La caccia dei giganti ad acchiappare la pulce ricominci�. Quando l'Assiria allung� la mano sui regni di Canaan, a nulla valse confidare nella protezione egizia: il Regno di Israele cadde nel 722 a.C.. Poi fu la volta del Regno di Giuda, travolto nel 587 a.C. dai Babilonesi, subentrati agli altri come potenza in Mesopotamia. Ma la giostra delle superpotenze era appena cominciata. A partire dal 539 a.C., la Terra di Canaan fu percorsa dagli eserciti del neonato Impero persiano di Ciro il Grande, da quelli macedoni di Alessandro Magno (333 a.C.) e, alternatamente, da quelli delle dinastie fondate dai suoi generali: i Tolomei d'Egitto e i Seleucidi siriani. I Romani non potevano certo stare a guardare: bravi a fiutare l'aria di tempesta e intenzionati a sottrarre all'Impero seleucide quei territori di interesse strategico, seppero giocare bene le proprie carte. Quando il gruppo ebreo dei Maccabei insorse contro i dominatori (166 a.C.), l'Urbe si schier� con i ribelli. E sfrutt� il (nuovo) Regno di Giudea, fondato 26 anni dopo dai Maccabei, per infilare un piede nello spiraglio della porta del Vicino Oriente. Per poi entrare di prepotenza, facendo del Regno di Giudea uno Stato vassallo e usando la Palestina come testa di ponte per la conquista romana della regione. Ma il popolo giudaico si rivel� un aspro e instancabile nemico. Motivo per cui, dopo diverse ribellioni e ben tre guerre, venne duramente punito dall'imperatore Adriano: dopo averli sconfitti nella Terza guerra giudaica, nel 135 d.C. accorp� la Iudaea alla provincia di Syria, rinominandola provincia di Syria et Palaestina. Nel tentativo, si dice, di umiliare i vinti e cancellare persino la memoria della Giudea. Antica geografia Terra di Canaan - � il nome antico della parte meridionale della pi� ampia regione del Levante (il territorio compreso tra la costa orientale del Mediterraneo e il confine con l'Egitto) e corrisponde sostanzialmente alla Palestina di epoca classica. Il toponimo compare fin dal XVIII secolo a.C. in alcuni testi scritti provenienti dalla Mesopotamia e dalla Siria. Terra Promessa - �Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicher�: cos� Dio promette ad Abramo, nel racconto biblico, dopo aver stretto con lui il patto dell'alleanza, rinnovato poi con Isacco e Giacobbe. E verso la Terra di Canaan, per questo definita Terra promessa, guid� il popolo ebraico, tramite il profeta Mos�, dopo l'esodo dall'Egitto. Giudea Romana - La Iudaea era una prefettura della provincia romana di Syria, nata nel 6 d.C., quando i Romani si appropriarono della parte del regno che Erode, loro vassallo, aveva lasciato al figlio Archelao. Il suo nome si rifaceva all'antico Regno di Giuda (VI secolo a.C.) e comprendeva Giudea, Samaria e Idumea. Dal 44, Roma estese la provincia di Giudea anche alle regioni di Galilea e Perea. Nel 135 l'imperatore Adriano la ribattezz� Syria-Palaestina. Regno di Giuda - Dice la Bibbia che il Regno di Giuda (detto anche Giudea) coincideva con il territorio assegnato alle trib� di Giuda figlio di Giacobbe, di Beniamino e di Simeone. Si sarebbe formato dalla scissione del mitologico Regno Unito di Israele, alla morte del re Salomone (933 a.C.). Venne distrutto nel 587 a.C., quando il re babilonese Nabucodonosor conquist� la capitale Gerusalemme e deport� a Babilonia gran parte della popolazione ebraica. Archeologia e politica Disseminata di ritrovamenti preistorici antichissimi e ricca di siti archeologici diventati Patrimonio dell'Unesco, la Palestina custodisce un tesoro archeologico inestimabile, messo a rischio dal conflitto israelo-palestinese e dalla mancanza pressoch� totale di tutela. Spesso, infatti, reperti e rovine sono ridotti a �prove� utilizzate dalle parti nell'arena dello scontro politico sia per confermare il racconto biblico, sia per dimostrare un ipotetico diritto di prelazione su quelle terre. Soltanto nel settembre scorso una conferenza delle Nazioni Unite ha riconosciuto i resti vicino all'antica citt� di Gerico (Cisgiordania) �Sito Patrimonio dell'Umanit� in Palestina�. Ma la qualifica di �sito palestinese�, come gi� avvenuto nel caso della Basilica della Nativit� a Betlemme (riconosciuta nel 2012), del particolare sistema di irrigazione d'epoca romana del villaggio di Battir (2014), della Tomba dei Patriarchi (o Grotta di Macpel�) a Hebron (2017) e del Monte del Tempio nella Citt� Vecchia di Gerusalemme (2019), ha scatenato l'ira di Israele. Gli israeliani, che controllano il territorio e non riconoscono uno Stato palestinese, hanno infatti accusato l'Unesco di essere prevenuta nei loro confronti. E per questo nel 2017 l'hanno abbandonata. Se sparisse la primavera� (di Giovanna Camardo, �Focus� n. 378/24) - Animali e vegetali nelle nostre zone sono adattati alla rinascita dopo il gelo invernale. Ma cosa succederebbe qualora i cambiamenti attuali facessero sparire l�alternanza? - Chiss� se Loretta Goggi avrebbe avuto lo stesso successo di Maledetta primavera, associando l'innamoramento a un'altra stagione. E Vivaldi, se avesse composto le Tre (o Due) Stagioni senza la Primavera, avrebbe creato la stessa opera perfetta? E chiss� in che modo cambierebbe la Pasqua: al posto delle uova, cocomeri come a Ferragosto, e gita di Pasquetta al mare invece che nella campagna in fiore... Scherzi a parte, come sarebbe il nostro mondo se non ci fosse la primavera? Come cambierebbe la natura, che ha in questa stagione il momento del risveglio, degli amori e delle nascite per molte specie? Immaginare uno scenario senza primavera evidenzia il ruolo chiave di questa stagione nel nostro ambiente. E, come vedremo, ci fa capire le conseguenze dello slittamento delle stagioni che il riscaldamento globale sta causando: non una �fantaipotesi�, ma una realt� che emerge da rilevazioni e ricerche scientifiche. Iniziamo da una premessa: la primavera esiste solo alle medie latitudini, le nostre. O almeno per quanto riguarda le condizioni climatiche. Dal punto di vista astronomico le stagioni si basano sulla posizione della Terra nella rivoluzione attorno al Sole: la primavera del 2024 � iniziata il 20 marzo, l'equinozio di primavera per l'emisfero boreale. Dal punto di vista meteorologico, invece, si considera il ciclo annuale delle temperature: la primavera si fa iniziare il 1o marzo e include i tre mesi di transizione tra periodo freddo e caldo. E una primavera �climatica� non esiste nella fascia tra equatore e tropici, n� ai poli, come ricorda Emiliano Mori, ricercatore del Cnr-Iret, Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri. �Ai tropici abbiamo due stagioni, quella secca e quella delle piogge. Nelle aree polari un lungo inverno e un passaggio brusco a una breve e fredda estate�. Immaginiamo per� che, per un cambiamento climatico, anche nelle regioni temperate scompaia la primavera. E sviluppiamo un primo scenario: un clima senza mezze stagioni e pi� caldo, un po' come ai tropici. �Per le nostre regioni possiamo pensare che si instauri un clima mediterraneo estremo, con estati molto secche e inverni miti pi� piovosi�, immagina Marco Caccianiga, docente di botanica all'Universit� degli Studi di Milano. Cosa cambierebbe? Innanzitutto, forse non avremo il grande show primaverile: il boom della fioritura di alberi e prati. Perch� le fioriture �potrebbero essere pi� �diluite� nell'anno. Come avviene ai tropici: molte piante tendono a fiorire tutto l'anno, altre in periodi limitati ma comunque distribuiti su pi� mesi�, ipotizza Piero Morandini, docente di fisiologia vegetale all'Universit� degli Studi di Milano. Da noi, invece, le piante devono approfittare della finestra primaverile. �In inverno per loro non � conveniente produrre foglie e fiori, che sarebbero stroncati dalle temperature sotto zero. La primavera segna proprio la fine dell'inverno e permette quindi alle piante di regolare il proprio orologio biologico, facendo partire la fioritura o preparandosi a farlo in seguito�. Fiori e foglie cos� spuntano in condizioni ideali. �Il vantaggio della primavera � che ha temperature buone per la crescita, n� troppo fredde n� troppo calde, e, solitamente, abbondanza di acqua�, continua Morandini. Del resto le condizioni primaverili sono perfette anche per noi. Per l'Oms la temperatura confortevole in casa � tra 18�C e 24�C. Nel nostro scenario caldo dovremmo consumare energia per rinfrescare le case anche nei mesi in cui ora non lo facciamo: un'analisi dell'Agenzia Internazionale dell'Energia ha per esempio rilevato che in Texas, per ogni grado di aumento della temperatura giornaliera sopra i 24�C, la domanda di energia cresce del 4%. Non solo. Una sconfinata estate potrebbe condizionare il nostro umore: varie ricerche mostrano che con la calura aumentano i comportamenti aggressivi, per esempio sui social media o al volante. E col caldo perenne sarebbero pi� facili l'arrivo e la persistenza di nuove specie di zanzare e vari parassiti tropicali, non pi� decimati dal freddo. Tornando alle fioriture primaverili, dovremo fare i conti con una mutata stagione delle allergie. �I pollini sarebbero nell'aria in momenti diversi. Potrebbero essere pi� distribuiti e presenti pi� a lungo. Anche se forse a concentrazioni diverse, se non ci sono molte piante che fioriscono assieme�, dice Morandini. Gi� ora alcuni studi hanno rilevato un anticipo e un allungamento del periodo di pollini e allergie. Alcune piante sarebbero per� favorite. �Probabilmente quelle che fioriscono in funzione della temperatura e possono sbocciare sempre, se fa abbastanza caldo; come la veronica comune o la pratolina comune dei prati. Per loro il periodo di fioritura si allungherebbe�, riprende Caccianiga. La temperatura per� non � il solo segnale per la sveglia primaverile. �Alcune piante seguono stimoli molto pi� complessi�, continua. �Alle nostre latitudini a determinare i loro cicli � anche il fotoperiodo: la durata del giorno. Aspettare che le giornate si allunghino pu� essere pi� sicuro: metti le foglie non ai primi soli invernali, ma quando davvero non ci sono pi� gelate. Inoltre per diverse specie un periodo freddo � necessario per avere la fioritura e anche per la germinazione dei semi. Se un seme che cade in terra in autunno germinasse subito, la giovane pianta non passerebbe l'inverno, invece cos� aspetta la mite primavera. Le specie pi� legate a queste alternanze stagionali sarebbero le pi� sfavorite, forse non si adatterebbero. Pensiamo a piante del sottobosco come l'anemone dei boschi, che ha bisogno di un periodo freddo e poi della combinazione di temperatura e fotoperiodo di inizio primavera, per fiorire prima che gli alberi mettano le foglie e lo lascino in ombra. Senza quelle condizioni, non fiorisce�. La vegetazione sar� comunque diversa. Continua Caccianiga: �Nelle zone pi� aride potrebbero prendere il sopravvento le piante sclerofille, dalla foglia dura e resistenti alla siccit�: olivo, leccio, lentisco, mirto. In zone pi� piovose invece potrebbero affermarsi foreste di laurifille, piante sempreverdi ma con foglie pi� morbide, che hanno bisogno di clima mite e umido: limoni, canfori, allori. Attorno al lago Maggiore, zona piovosa e ormai pi� calda, si stanno moltiplicando le specie tropicali coltivate nei giardini e �scappate� in natura�. E cosa crescerebbe nei campi? �Andremmo a usare di pi� le colture che crescono bene in climi caldi con alternanza di stagione secca e piovosa: il sorgo, il mais o il riso, che del resto provengono da zone tropicali e che abbiamo dovuto adattare ai nostri cicli stagionali. Per il riso questo � stato fatto un migliaio di anni fa, selezionando varianti che fiorivano prima, permettendo cos� la piena maturazione del seme. Importeremmo nuove specie e variet� pi� adatte, come frumenti delle zone calde�, spiega Morandini. Potrebbero sostituire il frumento �invernale� diffuso nelle zone temperate, che � seminato in autunno e ha bisogno del freddo invernale per lo sviluppo. Inoltre, continua Morandini, �potremmo selezionare nuove variet� con gli incroci tradizionali o con la moderna ingegneria genetica, modificando i geni che agiscono su fioritura, germinazione o dormienza del seme e rendendo cos� la pianta adatta alle nuove condizioni�. E vedremmo magari moltiplicarsi i bananeti in Pianura Padana. �Non solo i limoni si sposterebbero a nord, ma potrebbero diffondersi le coltivazioni di banane e di altre specie dalle zone tropicali�, dice Morandini. �Forse per� dovremmo selezionare diverse variet� della nostra frutta, adatte alle nuove condizioni�. Del resto gli alberi da frutta delle zone temperate, come meli o peri, vengono ormai coltivati anche nelle regioni tropicali e subtropicali - dove non hanno il periodo di freddo - grazie a variet� selezionate e tecniche di coltivazione. Il risveglio primaverile per� non riguarda solo il mondo verde. �La primavera � la stagione pi� importante per moltissime specie animali, quindi la sua assenza porterebbe grandi cambiamenti�, spiega Mori. �Molti insetti, sopravvissuti all'inverno come larve o uova, si sviluppano e approfittano della ripresa delle piante: i bruchi mangiano le foglie, gli impollinatori trovano nutrimento nei fiori. I loro predatori, come gli uccelli, approfittano dell'abbondanza di cibo per i piccoli e si riproducono. Gli uccelli migratori tornano. Molti mammiferi erbivori si nutrono dell'erba fresca e con questa risorsa possono produrre latte per i piccoli, che nascono dopo l'inverno. L'estate, quando con il caldo e la siccit� l'erba si secca, per loro � meno ricca�. L'assenza della primavera come la conosciamo avrebbe dunque impatti su queste interconnessioni. La migrazione degli uccelli sarebbe meno necessaria, o comunque diversa. Si creerebbero altri rapporti piante/animali, qualche relazione andrebbe fuori sincronia, alcune specie potrebbero non farcela. �E poi, senza l'abbondanza d'acqua primaverile, ci sarebbero altri problemi. Ci sono anfibi - rane, salamandre, tritoni - legati alle pozze d'acqua temporanee che si formano in primavera, dove depongono le uova e dove nascono i girini. Se le pozze non ci fossero, perderemmo quelle specie�, dice Mori. A questo punto introduciamo un secondo scenario, ispirato alle terre polari, in cui non c'� primavera perch� un lungo inverno lascia il passo a tre mesi di estate. �Possiamo immaginare un clima continentale come in Siberia, con conifere e steppa. O pi� estremo come nell'Artico: la stagione vegetativa sarebbe troppo breve per sopportare gli alberi e avremmo ambienti con piante basse, tundra e steppa. � ci� che c'era in Pianura Padana ed Europa Centrale nell'ultimo massimo glaciale, 18.000 anni fa�, dice Caccianiga. Cosa crescerebbe nei campi? �Dovremmo selezionare variet� e specie che si sviluppano velocemente e al fresco. Per esempio cavoli e patate, che appunto crescono bene in estate in montagna. Potremmo puntare sugli ortaggi che consumiamo in foglia e di cui quindi non dobbiamo aspettare la fioritura. Ma per esempio i pomodori non potrebbero completare la produzione e quindi servirebbero le serre: come quelle che ci sono oggi nei Paesi Bassi, riscaldate, da cui ci arrivano pomodori anche in inverno. Avremmo probabilmente meno grano, ma potremmo sostituirlo con la segale�, dice Morandini. �Con una stagione cos� breve comunque produrremmo di meno e aumenteremmo il commercio di ortofrutta da altre zone del mondo�. Concludiamo con un terzo scenario. Uno in cui l'inverno dura un mese, l'estate sei, la primavera c'� e va da gennaio ad aprile. E questa non � una nostra fantaipotesi, ma una previsione per il 2100 elaborata dal team di Yuping Guan. Perch� nella realt� la primavera non sta scomparendo, ma cambiando. Richard Primack, biologo della Boston University (Usa), da anni segue questo fenomeno annotando il momento in cui spuntano foglie e fiori. �Abbiamo comparato le nostre osservazioni degli ultimi 20 anni con quelle fatte a met� '800 dal filosofo e ambientalista Henry David Thoreau a Concord (Massachusetts): abbiamo visto che le foglie di alberi come querce e aceri oggi spuntano 2 settimane prima�, spiega Primack. �E stiamo monitorando da anni la comparsa delle foglie in oltre 1.500 piante legnose, collaborando con giardini botanici nel mondo. In molte, fiori e foglie stanno apparendo prima. E questo fenomeno � legato all'aumento di temperatura. Le foglie per� sono pi� in anticipo rispetto allo spuntare dei fiori selvatici a terra, per esempio, a cui possono fare ombra�. Un rischio � proprio questo. �Una sfasatura dei ritmi e la perdita della sincronia dei rapporti piante/animali in questo periodo delicato�, dice Caccianiga. �Un esempio? Alcune piante d'alta quota fioriscono appena la neve fonde: se c'� meno neve, i fiori sbocciano prima ma gli impollinatori sono ancora a riposo. Altro caso: l'Androsace brevis � una pianta alpina che fioriva a luglio e ora lo fa a maggio. Gli impollinatori presenti non sono gli stessi; forse � per questo che fa meno semi, come abbiamo rilevato�. Le relazioni sono complesse: i bruchi mangiano le foglioline tenere appena spuntate, gli uccelli mangiano i bruchi. E se non c'� pi� sincronia? Come aggiunge Primack, �a Concord abbiamo visto che le foglie spuntano e gli insetti emergono prima, ma gli uccelli non stanno tornando prima dalla migrazione. Si sta studiando se questa mancata corrispondenza ecologica danneggia le popolazioni di uccelli, che poi non trovano abbastanza insetti per allevare i piccoli�. Per esempio, i bruchi della falena invernale emergono a inizio primavera per nutrirsi delle foglie di quercia appena spuntano. Uno studio della University of Exeter (Uk) ha mostrato che nelle foreste britanniche questi bruchi si stanno adattando rapidamente ai nuovi ritmi delle querce, ma gli uccelli no. Il picco di abbondanza dei bruchi e il picco nelle richieste di cibo dei pulcini � sfasato di alcuni giorni per cinciallegre e cinciarelle, e di molti per le balie nere, forse perch� sono migratori e quando arrivano non riescono ad adattarsi all'anticipo dei bruchi. Un'ipotesi � che la perdita di sincronia sia alla base del declino delle balie nere. Emiliano Mori segnala un altro esempio. �Lo stambecco migra a valle in inverno e risale poi per riprodursi, ma se in quota non trova pi� abbastanza erba fresca rischia di non riprodursi o non avere abbastanza latte�. Insomma, usciamo a goderci la primavera e le sue fioriture, perch� � ancora pi� preziosa di quanto pensiamo. C�� sempre una prima volta (di Elisa Venco, �Focus Storia� n. 181/21) - Chi ha scoperto la birra? Da dove arriva il sapone? Ecco alcune piccole e grandi invenzioni dei nostri antenati che hanno cambiato il corso della Storia - Spesso immaginiamo che l�evoluzione della civilt� sia lineare: gli strumenti di pietra lasciano gradualmente spazio al metallo, le pellicce al tessuto, le bacche raccolte alle colture. Invece si verificano a volte improvvisi balzi in avanti, che non cogliamo perch� per noi i 300 mila anni da quando � apparso l�Homo sapiens sono un tempo immenso e indistinto. Eppure, gi� nella cosiddetta preistoria l�umanit� ha fatto curiose scoperte. Ecco le principali. Chi ha inventato il primo sapone? - Probabilmente un'addetta alla lavorazione tessile nella citt� sumera di Girsu, dove � stata ritrovata una tavoletta databile a 4.500 anni fa che dettaglia la fabbricazione del sapone per tingere la lana. Per la tintura, infatti, occorreva rimuovere la lanolina (un grasso) dalla lana, cosa che tuttora si fa con acqua saponata. La tecnica della saponificazione, che consiste nell'unire una soluzione alcalina con un grasso, � per� ancora pi� antica: secondo il chimico Seth Rasmussen della North Dakota State University fu scoperta usando ceneri bagnate per sgrassare gli utensili da macellazione. I Sumeri usarono il sapone solo per la lana, non per l'igiene. La prima testimonianza di uso per pulirsi proviene invece da una tavoletta cuneiforme trovata nella citt� ittita di Hattusa, in Anatolia (Turchia), e ha 3.500 anni. Chi ha mangiato la prima ostrica? - Nell'estate del 2007, un team guidato da Curtis Marean, archeologo dell'Arizona University, trov� in una grotta del Sudafrica i resti di un pranzo di Homo sapiens. Tra gli �avanzi� c'erano gusci di ostriche: la prova pi� antica che qualcuno si fosse nutrito di questi molluschi. E, probabilmente, si trattava di una donna. Il motivo di questa ipotesi va ricondotto al fatto che nelle trib� di cacciatori-raccoglitori vigeva una divisione di genere riguardo al cibo: le donne raccoglievano alimenti �statici� come bacche e conchiglie, gli uomini cercavano il cibo �mobile� come la selvaggina. Secondo il primatologo di Harvard Richard Wrangham la divisione del lavoro dipendeva dal controllo del fuoco. Osservando che gli scimpanz� mangiano il cibo il pi� rapidamente possibile, per timore che un esemplare pi� forte glielo rubi, Wrangham suppone che la stessa cosa avvenisse tra gli ominidi: le femmine, soggetti deboli del branco, per accedere al fuoco pagavano una specie di �pizzo alimentare� ai maschi, garantendo loro di avere sempre un �minimo nutrizionale�. Ci� permetteva all'uomo cacciatore di nutrirsi anche quando la caccia andava male, e alla donna di cucinare il cibo senza essere derubata. Questa teoria spiegherebbe la divisione alimentare nell'Homo sapiens. E fa supporre che le ostriche siano state �scoperte� da una donna, che le avrebbe raccolte durante la bassa marea. La scoperta potrebbe aver portato all'intuizione che le maree fossero collegate alle fasi lunari. Quindi, secondo Marean, una donna potrebbe aver fatto una delle prime scoperte astronomiche, 164 mila anni fa. E in giovane et�, dato che si moriva ventenni. Chi fece la prima operazione chirurgica? - Nel 1996 a Ensisheim, in Alsazia (Francia Orientale), gli archeologi scoprirono nella �sepoltura 44� lo scheletro di un 50enne morto da pi� di 7 mila anni, dopo due interventi al cervello. Era la pi� antica prova di un intervento chirurgico. Ma chi lo esegu�? Un membro di quella che � detta �cultura della ceramica lineare�, fiorita durante il Neolitico, qualcuno che esercitava l'autorit� all'interno della comunit�. Il concetto di autorit�, spiega John Rick, professore emerito di archeologia a Stanford (Usa), si afferm� in una fase in cui l�agricoltura permise di accumulare un surplus alimentare e ad alcuni membri del gruppo, liberi dall�obbligo di lavorare la terra, di specializzarsi e acquisire, fra l�altro, competenze mediche. Quanto alla tecnica della prima craniotomia, potrebbe essere nata pulendo teschi da resti di cuoio capelluto: il buco era ottenuto con una sorta di raschiatura eseguita con una selce scheggiata o una lama di ossidiana. L'operazione (come analoghe trapanazioni primitive) alleviava la pressione sul cervello in caso di ematoma subdurale da trauma, cio� una botta in testa con conseguente versamento di sangue, che pu� provocare confusione e amnesie. Come dimostra il teschio con due fori, non sempre la cura funzionava. Chi ha spillato la prima birra? - Secondo i genetisti, gli enzimi che nell'intestino scompongono l'etanolo risalgono a circa 10 milioni di anni fa, quando i nostri antenati iniziarono a mangiare frutta molto matura e fermentata. La gradazione alcolica nella frutta fermentata per� � bassa rispetto al suo volume. Gli effetti inebrianti risalgono dunque a molto pi� tardi, quando il genere umano impar� a concentrare il succo di uva fermentata per fare il vino e ad aggiungere acqua al miele per ottenere idromele. Quanto alla birra, le pi� antiche tracce di fermentazione di cereali risalgono a circa 9 mila anni fa. Probabilmente si tratt� di una scoperta casuale, ma potrebbe addirittura aver dato inizio all'agricoltura. A creare per caso questa bevanda potrebbe essere stato qualcuno nato 14-15 mila anni fa in un villaggio simile all'attuale sito di Shubayqa, in Giordania. Per il bioarchelogo Andreas Heiss, i primi �panettieri�, che realizzarono pane non lievitato, appartenevano alla civilt� natufiana diffusa sulle coste orientali del Mediterraneo. L'ipotesi raccontata da Code Cassidy in Eureka (Il saggiatore) � che un giorno di circa 9 mila anni fa, dopo aver raccolto semi di cereali selvatici, martellati in una ciotola con acqua, li dimenticarono al sole: bastarono un po� di tempo, una casuale contaminazione con una fonte di lievito del tipo Saccharomyces paradoxus o cerevisiae, magari mutuato da un pizzico di miele, e il caldo, per generare da quella pappetta la prima birra. Il sapore doveva essere simile a quello di una Weisse, la birra tedesca senza luppolo, ma meno alcolica. Il lievito mutuato dalla birra, poi, avrebbe consentito di produrre pane lievitato, sostiene il botanico Nicholas Money. Alcuni paleobotanici ipotizzano che semi raccolti per fare la birra possano essere caduti di mano ai raccoglitori e cos�, nel corso delle generazioni, campi di grano, orzo e segale sarebbero spuntati vicino ai siti dei Natufiani. La domesticazione di quei cereali avrebbe innescato la transizione dalla caccia e raccolta all'agricoltura e alla pastorizia. La teoria secondo cui la birra sarebbe la chiave della rivoluzione agricola fu proposta gi� negli Anni '50 dall'archeologo Robert Braidwood dell'Universit� di Chicago, ma fu respinta. Nel 1972 anche il genetista premio Nobel George Beadle ritenne che l'Homo sapiens avesse scoperto i cereali come fonte di cibo partendo dall'alcol. Lo stesso � accaduto con il mais in America: questa pianta, infatti, � una modificazione genetica della messicana teosinte, inutile per l'alimentazione, ma coltivata da millenni per ricavarne alcol. Chi � la prima persona nella Storia di cui sappiamo il nome? - Si tratta di un contabile mesopotamico vissuto 5 mila anni fa. La sua sigla, tradotta dall'assiriologo Bendt Alster come �Kushim�, � incisa sulla tavoletta di una transazione commerciale (con diversi errori di calcolo). Non sappiamo il sesso dello scriba, ma in genere erano maschi. Matti da slegare (di Fabio Dalmasso, �Focus Storia� n. 209/24) - 100 anni fa nasceva Franco Basaglia, lo psichiatra che ridiede dignit� e libert� ai malati chiusi nei manicomi - A Trieste tutti lo conoscono come l'ex Opp, sigla che fino al 1980 indicava l'Ospedale psichiatrico provinciale. In realt� si chiama Parco di San Giovanni, ma nella percezione cittadina � rimasta l'immagine della �citt� dei matti�. Quel luogo dove gli immensi padiglioni erano divisi in base alle diagnosi degli �ospiti�: qui gli uomini tranquilli, l� le donne agitate e in un altro ancora i �sudici�, ben distanti dai villini riservati ai paganti tranquilli, divisi tra prima e seconda classe. Poi arriv� Franco Basaglia e tutto cambi�. Da luogo di reclusione, l'Opp divenne il simbolo e la realizzazione di quel sogno, quell'utopia che qualcuno boll� come folle e che lo psichiatra inseguiva da anni: restituire la dignit� a quegli uomini e a quelle donne, a cui i manicomi l'avevano tolta. Molto semplice, ma fu una rivoluzione. Franco Basaglia nacque a Venezia l'11 marzo 1924. La sua infanzia, scrivono Francesco Parmegiani e Michele Zanetti nel loro libro Basaglia. Una biografia (Lint), �appare per qualche aspetto contraddittoria rispetto alla giovinezza e soprattutto alla maturit�: � un ragazzino che parla poco, piuttosto scontroso, con pochi amici�. Saranno il liceo prima (frequentato a Venezia) e l'universit� poi (a Padova) a provocare un profondo e radicale mutamento in Basaglia. Quel ragazzino taciturno, infatti, si trasforma: la passione politica si concretizza in una fiera e decisa opposizione al fascismo della Repubblica Sociale Italiana. �Giovani studenti universitari, questi oppositori del regime, finiscono tutti nella prigione di Santa Maria Maggiore di Venezia�. Il futuro psichiatra ci rimane quasi sei mesi, fino alla fine della guerra. � in quella cella che nasce in lui l'avversione verso le istituzioni chiuse. A 22 anni incontra per la prima volta la donna che gli star� al fianco tutta la vita, Franca Ongaro (1928-2005), moglie e indispensabile collaboratrice. Il fidanzamento dura sette anni e nel 1953 i due si sposano: l'anno dopo nasce il figlio Enrico e nel 1955 la figlia Alberta. Nel frattempo Basaglia porta a termine gli studi: si laurea in medicina nel 1949, specializzandosi nello studio delle malattie nervose e mentali (1953) presso la clinica diretta dal professor Giovanni Battista Belloni (1896-1975). Ma in questi anni non incontra mai il manicomio: come sottolineano Mario Colucci e Pierangelo Di Vittorio nel loro volume Franco Basaglia (Bruno Mondadori), �clinica universitaria e manicomio restano mondi separati, solo nominalmente appartengono alla stessa disciplina�. Tanta teoria e poca pratica, come racconter� lo stesso Basaglia ripensando a quegli anni: �Direi che tutto l'apprendimento reale avviene fuori dall'universit�. Appassionato di filosofia, Basaglia inizia a interessarsi alle nuove correnti della psichiatria che lo portano a nutrire dubbi sull'approccio utilizzato fino a quel momento. La svolta giunge nel 1961: l'amministrazione provinciale di Gorizia indice un concorso per la direzione del locale ospedale psichiatrico. Lui partecipa e vince. Il passaggio dalle aule universitarie agli stanzoni del manicomio � traumatico: tutta la teoria assorbita all'universit� sembra disgregarsi di fronte alla realt� violenta dell'istituto. Sar� proprio questa prima esperienza (�un ospedale di 500 letti, dove erano usuali elettroshock e insulina�) a far dire allo psichiatra che �la psichiatria non si pu� insegnare all'universit� [...] lo studente infarcito di definizioni con le quali classifica la schizofrenia, la psicosi maniacodepressiva, l'isteria, non sa che cos'� la �pratica psichiatrica�, e per questo dovrebbe uscire dall'universit� e andare in manicomio per incontrare i malati e comprendere i loro problemi�. Dopo l'iniziale smarrimento, per�, Basaglia accetta la sfida e si mette in azione: crea una squadra di collaboratori, soprattutto giovani psichiatri conosciuti a Padova, e decide di dare un primo segnale: eliminare i �corpetti�, cio� le camice di forza che venivano usate per i pazienti pi� irrequieti. Non solo: abolisce il camice bianco per dottori e infermieri, uno degli ostacoli che impediscono la nascita di un rapporto paritario tra medici e pazienti. Per Basaglia � fondamentale accostarsi ai malati, prenderli letteralmente sottobraccio per parlare e comprenderli. Per farlo occorre superare il trauma che quella �divisa� di medici e operatori porta con s�. Eliminati corpetti e camici bianchi, Basaglia mette al bando anche l'elettroshock e organizza i primi incontri di gruppo, le prime assemblee dove siedono tutti in circolo: medici, infermieri e pazienti. All'inizio c'� diffidenza, i malati non parlano, ma lentamente il muro si incrina, si aprono brecce di dialogo: �I primi concreti segnali di autonomia di pensiero e giudizio arrivano come risposta alla richiesta di affrontare un argomento qualsiasi, di dare suggerimenti sulle cose da cambiare all'intero dell'ospedale che li ospita�, scrivono Parmegiani e Zanetti. Per Basaglia � la conferma che l'approccio � giusto, che solo umanizzando il rapporto medici-pazienti si pu� sperare di migliorare la vita dei malati e curarli davvero. Ma l'entusiasmo dello psichiatra e del suo team di collaboratori si deve scontrare con le voci critiche, anche all'interno dell'amministrazione provinciale. � soprattutto un fatto di cronaca nera ad aggravare la situazione: nel settembre 1968, infatti, Alberto Miklus, usufruendo di un permesso di uscita, uccide la moglie. Lo psichiatra viene rinviato a giudizio per concorso in omicidio con il suo collaboratore, e medico curante di Miklus, Antonio Slavich. Entrambi verranno assolti, ma l'episodio ha inevitabilmente conseguenze: Basaglia si prende una pausa e, dopo sei mesi trascorsi al Community Mental Health Centre di New York come visiting professor, lascia la direzione a Gorizia e accetta (nel 1970) quella dell'istituto di Parma. Quando lascia Gorizia, Basaglia � gi� un nome importante della psichiatria internazionale: nel 1967 aveva pubblicato Che cos'� la psichiatria? (Einaudi) e l'anno seguente L'istituzione negata (Einaudi). Nel 1969 sempre Einaudi aveva invece stampato Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, curato con Franca Ongaro. A Parma, nel manicomio di Colorno, cerca di riproporre e ampliare l'esperienza goriziana, ma ostacoli burocratici e politici gli impediscono di completare i progetti. Sar� ancora una volta il Nordest a offrirgli l'opportunit� per proseguire il lavoro. Nel 1971, infatti, vince il concorso per direttore dell'Ospedale psichiatrico di Trieste. Fin dal suo arrivo, alla fine del 1971, Basaglia prosegue il cammino intrapreso a Gorizia e alza il tiro: dispone la libera circolazione dei pazienti in quasi tutta la struttura; elimina alcune reti protettive; prosegue con le assemblee aperte e avvia una formazione professionale per gli infermieri. Soprattutto d� il via con prudenza, ma senza ripensamenti o dubbi, alla �liberazione� di gruppi di malati che vengono alloggiati in appartamenti fuori dall'ospedale, seguiti da medici e infermieri ma liberi di muoversi per la citt�, di condurre la propria vita. Nel manicomio, nel 1973, nasce la Cooperativa sociale lavoratori uniti, con una sessantina di malati addetti alla pulizia dei locali, delle cucine e del parco. I padiglioni che un tempo ospitavano i pazienti reclusi si trasformano in luoghi culturali: vengono invitati esponenti di spicco della cultura, come Dario Fo, che porta a Trieste alcuni dei suoi spettacoli; jazzisti internazionali come Ornette Coleman e Giorgio Gaslini; artisti poliedrici quali Franco Battiato e Moni Ovadia. Sempre in quegli anni nasce Marco Cavallo, il grande equino di cartapesta divenuto simbolo della rivoluzione basagliana. E poi le vacanze per i �matti� (per il mare a Grado, per la montagna si opta per le Dolomiti bellunesi) e un memorabile viaggio in aereo: grazie alla collaborazione con Alitalia, Basaglia organizza un volo per un centinaio di ospiti del manicomio, uomini e donne. L'aereo decolla dall'aeroporto triestino di Ronchi dei Legionari (Gorizia), �si dirige verso Venezia, fa un paio di giri sulla citt� e torna a Ronchi. L�equipaggio definisce ammirevole la compostezza dei �matti�, la loro disciplina durante il volo e straordinaria la loro felicit� al termine dell'esperienza�, raccontano Parmegiani e Zanetti. Sotto la guida basagliana dell'Opp triestino i malati che possono entrare e uscire sono sempre pi� numerosi: quando ne aveva assunto la direzione i ricoverati erano quasi 1.200, dopo poco pi� di tre anni erano meno di 850. E quando Basaglia se ne andr�, nel 1979, ne rimarranno soltanto 130. Quella che per molti � �l'invasione dei matti� non � sempre ben accolta e arrivano anche le denunce (una dozzina di procedimenti giudiziari per Basaglia). Nulla per� pu� fermare l'onda che travolge il vecchio sistema psichiatrico. Ora l'obiettivo � uno soltanto: la chiusura del manicomio contestualmente all'apertura dei centri di salute mentale aperti 24 ore su 24, distribuiti in varie zone della citt� (il primo aprir� nel 1975). I semi per la legge 180 sono gettati e presto verranno raccolti i frutti. Il 13 maggio 1978, infatti, il parlamento approva la tanto attesa (e necessaria) riforma psichiatrica con la promulgazione della legge 180, nota anche come �Legge Basaglia�. Due i principi alla base del testo: anche per chi � vittima di disturbi psichici il trattamento sanitario rientra nel campo del diritto alla salute e, dall'entrata in vigore della legge, i manicomi non possono pi� accogliere nuovi casi. Di fatto si sancisce la chiusura di tali istituti e contemporaneamente l'organizzazione sul territorio di adeguate strutture alle quali rivolgersi. �Basaglia aveva insistito affinch� venisse rispettata la contemporaneit� tra la chiusura dei manicomi e la funzionalit� dei Centri di salute mentale sul territorio, o comunque di servizi alternativi adeguati�, sottolineano Parmegiani e Zanetti. Un passaggio purtroppo rimasto spesso incompiuto. L'approvazione della legge precede la fine del mandato come direttore dell'Ospedale psichiatrico di Trieste. Nel novembre 1979 Basaglia lascia la citt� affidando l'istituto al team nel frattempo messo in piedi, che proseguir� la sua opera. Lui si trasferisce a Roma, dove diventa coordinatore dei servizi di salute mentale del Lazio. Un lavoro impegnativo. Basaglia non si sottrae, ma questa volta pu� solo gettare le basi. L'anno successivo, infatti, comincia a sentirsi poco bene, lamenta alcuni disturbi: va a Verona per una serie di controlli che portano ad una diagnosi drammatica. Ha un tumore al cervello, inoperabile. Gli ultimi giorni li trascorre a casa sua, a Venezia, assistito dalla moglie e dai medici. Muore il 29 agosto 1980 all'et� di 56 anni. Poche settimane prima, l'11 luglio, la Giunta provinciale di Trieste aveva deliberato la definitiva chiusura dell'Ospedale psichiatrico. La fragola, storia e leggenda (Ricettedicultura.com) - Dalla fragola di bosco a quella moderna - Alzi la mano chi sa qual � il frutto nella pianta di fragola? Il frutto, anzi i frutti, sono i piccoli semini che la punteggiano, mentre la succosa polpa rossa, profumata e dolce-acidula, � la trasformazione del fiore. Naturalmente� tutto nasce da un mito. La leggenda racconta che Marte, geloso dell�amore di Venere per il bellissimo Adone, si trasform� in cinghiale e lo trafisse con le sue zanne durante una battuta di caccia. Venere pianse l�amato e nel luogo dove caddero le sue lacrime spuntarono bellissime piantine di fragole di bosco, dalla forma di cuore rosso. Le fragole di bosco erano amate dunque fin dai tempi antichi e hanno sempre rappresentato il frutto dell�amore per la loro forma e il loro colore vivace. Erano consumate in abbondanza durante le Adon�e, festivit� primaverili dedicate ad Adone e all�amore. Nel Medioevo diventarono frutto peccaminoso proprio perch� considerato afrodisiaco. Ma la fragola era ancora nota soltanto come frutto selvatico, di bosco. Nei giardini per� iniziarono ad essere coltivate anche per il loro valore ornamentale e particolare successo ebbero nella Francia del Seicento, curate da giardinieri illustri e introdotte nei giardini delle case nobiliari. Non solo la grande attenzione per la fragola come pianta ornamentale port� agli studi per selezionarla meglio, ma anche i viaggi d�esplorazione e la scoperta di nuove specie alla fine del Seicento. In particolare se ne occup� Am�d�e Fr�zier, non un comune giardiniere, ma un genio dall�intelletto raffinato e multiforme: spia, esploratore, cartografo, architetto e ingegnere militare che aveva l�hobby della botanica. Curioso che gi� il suo nome indicasse il suo destino: i Fr�zier, savoiardi di Chambery, erano discendenti dei Frazer delle isole Britanniche, un componente dei quali aveva offerto nel 916 d.C., un piatto di fragole di bosco all�allora re Carlo III. Fr�zier, al servizio di Louis XIV di Francia, proprio durante una missione di spionaggio in Cile, prelev� alcune piantine di fragola bianca e le port� con s� in Francia nel 1714, per piantarle nei giardini reali. Quasi un caso volle che, piantate accanto a piante di Fragaria proveniente invece dalla Virginia, diedero vita ad un incrocio interessante, la Fragaria Ananassa, dai frutti grandi e polposi: proprio una delle specie che consumiamo oggi. Le fragole non sono solo un ottimo spuntino dolce, al naturale o spruzzate di succo di agrumi, ricche di vitamine e antiossidanti, ma anche un ingrediente primaverile per splendide insalate (con asparagi, spinacino, lattuga o cetrioli) al posto di pomodori e peperoni prima che arrivino al top della stagione. Milano, i quartieri dei cantanti amati dalla generazione Z (di Paolo Carnevale, Milano.corriere.it) - Will in via Padova, Myss Keta a Porta Venezia, Rkomi a Calvairate. Luoghi in cui si sono trasferiti o luoghi in cui sono nati: la mappa nata dalle loro canzoni. Cos� i nuovi �ragazzi della via Gluck� raccontano la periferia - La musica a Milano � legata alla fisicit� dei luoghi. Basti pensare ai �trani�, le bettole, le antiche osterie, dove i cantastorie del tempo raccontavano le gesta di eroi popolari, facendoti sentire l�odore dei Navigli e scorgere le ombre delle case di ringhiera. Chi non ricorda �La ballata del Cerutti Gino�, di Gaber, che descrive in modo ironico e realistico l�atmosfera di quei locali periferici un po� malfamati del Giambellino? O lo squattrinato che faceva il palo nella banda dell'Ortica di Jannacci? O ancora, i criminali comuni e le prostitute di �Porta Romana bella� di Nanni Svampa. Ancora oggi, se vuoi conoscere l�identit� di Milano � meglio farsi un giro in periferia, un�opportunit� da cogliere, pi� che un problema da risolvere. E ci sono molti nuovi ragazzi della via Gluck che preferiscono le ombre dei quartieri alle luci del centro. Come Will, William Busetti, il nuovo idolo pop della generazione Z, che trova ispirazione passeggiando per via Padova, o come i Calibro 35, che in �Notte in Bovisa� fanno immaginare un�Alfetta della Polizia sfrecciare in via Durando, o i Vallanzaska, che in �Boys from Comasina� rendono uno scherzoso tributo alla mala milanese dei tempi d'oro � quella �Ligera� spesso idealizzata. Mentre Cristina Scabbia, la dark lady dei Lacuna Coil, osannata dai metallari di tutto il mondo, con orgoglio, considera Quarto Oggiaro "il suo Bronx�, Sfera Ebbasta, �The king of trap�, ha sdoganato in Italia la trap dai sobborghi di Cinisello, cos� come Francesco Sarcina, il leader delle Vibrazioni, nato a Corvetto, cresciuto alla Barona, ha preferito comprare una casa spaziosa a Rozzano, la �Rozzangeles� milanese, per tornare alla semplicit� e alla tranquillit� della periferia. Rkomi, le sue prime tracce le ha lasciate sul web, con �Calvairate mixtape�, in cui racconta la vita nel suo quartiere, la tanto amata zona 4 di Milano, e Myss Keta, regina di Porta Venezia, trova consensi nella cultura underground meneghina dal quartiere Forlanini. Siccome il destino delle metropoli, come Milano, � il multiculturalismo, anticamera di una neo cultura che si aggiorna costantemente, anche la musica segue questo destino. Infatti Mahmood � orgoglioso di essere del Gratosoglio, esempio vivente di riscatto sociale in un quartiere dormitorio, cos� come Ghali, che ha iniziato a fare freestyle tra le case popolari di Baggio insieme a Ernia. Perfino Finardi ha scelto l�isolamento nella sua casa di San Siro, lontana dal centro, in mezzo a strade deserte di giorno ma che di sera diventa luogo di (mala)movida. Una sfida psicologica che lui ha definito una sorta di prova generale per un�invasione aliena.