Settembre 2024 n. 9 Anno LIV MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice Rivoluzione in classe Alzheimer, una nuova speranza Dammi una mano Amaretti: un viaggio tra storia, croccantezza e varianti golose Viaggio nelle colline del Chianti Ray Charles, vent�anni senza �The Genius� Rivoluzione in classe (di Massimiliano Lorenzon, �Focus Storia� n. 204/23 - Come si studiava tra '400 e '500, quando la scuola in Italia cambi� radicalmente? - Qualsiasi societ� umana � conservativa: questa � una delle regole della Storia. Ci sono per� dei periodi in cui le cose cambiano, anche in breve tempo. Nel caso della scuola in Italia, il momento di spaccatura radicale � datato tra il XV e il XVI secolo. Il curriculum scolastico (cio� le materie di studio e l'organizzazione delle scuole) era rimasto lo stesso per tutta l'antichit� greco-romana, anche se il Medioevo aveva introdotto cambiamenti rilevanti: meno scrittori classici (pagani) e pi� medievali (cristiani). Poi, tra Quattrocento e Cinquecento, con l'Umanesimo e con la Controriforma cattolica, la scuola cambi�. In Italia, dai tempi di Roma antica fino al Rinascimento, non ci furono mai grandi cambiamenti nel metodo in cui si insegnava a leggere e scrivere. �Gli studenti imparavano a leggere partendo dall'alfabeto, quindi le sillabe, poi le parole, infine le frasi�, spiega Paul Grendler, professore emerito di Storia all'Universit� di Toronto e autore del classico La scuola nel Rinascimento italiano (Laterza). �Nel Quattrocento e nel Cinquecento il primo sillabario di lettura era chiamato tavola (oppure tabula, carta, o quaderno). Era semplicemente un foglio di carta o un supporto, come una tabella di legno, dove le lettere dell'alfabeto erano scritte o incise. Per le prime letture si cominciava con le preghiere, poi si proseguiva con i testi latini di livello elementare�, precisa Grendler. Quanto ai compiti, gli studenti erano costretti a tour de force mnemonici per poi declamare davanti alla classe quello che avevano memorizzato. A questi si aggiungevano tantissimi (e noiosissimi) esercizi di scrittura. Gli allievi copiavano le regole grammaticali e svolgevano esercizi di grammatica, elaboravano composizioni e traducevano dal latino all'italiano e viceversa. E i voti? �Credo che gli insegnanti tenessero appositi registri per documentare i progressi degli studenti. Tuttavia, l'apprezzamento dei risultati degli studenti davanti alla classe (da parte dei maestri, ndr) era pi� importante dei voti�, racconta Grendler. Quanto alle materie studiate, una vera rivoluzione avvenne nel 1400, con la definizione di un nuovo curriculum, stabilito dagli umanisti, chiamato studia humanitatis. �Le materie principali erano la grammatica, la retorica, la poesia, la storia e la filosofia morale (cio� i principi della buona condotta etica), basate sullo studio dei classici, sull'imitazione delle azioni degli uomini dell'antica Roma e, a un livello molto inferiore, sullo studio dei classici dell'antica Grecia�, prosegue Grendler. Gli umanisti, solitamente impegnati a livello civico-politico nelle citt� italiane, proponevano un modello di uomo che avrebbe fatto parte della futura classe dirigente. Un uomo che oltre al valore politico incarnasse anche il modello della prosa latina. Tutte queste caratteristiche furono individuate negli scritti di Cicerone (106-43 a.C.): gli umanisti lo consideravano il simbolo della difesa della libert� e della giustizia, il suo latino era perfetto e puro, diversamente da quello medievale, ritenuto �sporco� e di bassa qualit�. Un latino perfetto per l'esercizio dell'eloquenza, abilit� fondamentale per gli umanisti. La scoperta della raccolta delle lettere ciceroniane Epistulae ad famliliares, nel 1392, e delle sue orazioni, tra il 1415 e il 1421, furono momenti decisivi per la costituzione del nuovo curriculum. Ovviamente questa non era l'unica offerta formativa nell'ambito dell'istruzione dell'epoca. Esistevano scuole dove si usava il volgare, fondate intorno al 1200. Qui si insegnava a leggere e a scrivere, solitamente in un italiano (cio� fiorentino) pi� o meno puro, e a far di conto. L'insegnamento era finalizzato a formare mercanti, notai, artigiani... Tutte professioni importanti nell'Italia del tempo, seppure considerate meno nobili. Nel Quattrocento furono attivi importanti pedagoghi. Pier Paolo Vergerio (1370-1444), nato in Istria, allora territorio veneto, scrisse uno dei best-seller educativi del Rinascimento, il De ingenuis moribus et liberalibus studiis (1402 o 1403), nel quale insisteva sull'importanza di coltivare buoni caratteri (cio� la moralit�) e l'istruzione tra i giovani, celebrando gli studia humamitatis. Altri grandi pedagoghi furono Guarino Veronese (1374-1460) e Vittorino da Feltre (1373 o 1378-1446 circa), le cui scuole vitto-alloggio, apprezzate e frequentatissime, fecero epoca in Italia. Gli studia humanitatis e le scuole in volgare non avevano promosso per� un'alfabetizzazione pi� generalizzata. Questo fenomeno, che potremmo dire moderno, inizi� intorno al 1530, grazie all'istituzione di scuole gratuite da parte dei nuovi ordini religiosi fondati, come risposta cattolica alla Riforma protestante. Lo scopo della Chiesa non era certo l'alfabetizzazione di massa: �Il papato e i vescovi non erano interessati a un pi� diffuso alfabetismo�, precisa Grendler, �per gli ordini religiosi l'alfabetizzazione rappresentava solo un passaggio obbligato per raggiungere uno scopo pi� elevato: quello di salvare le anime, attraverso l'insegnamento religioso. Credevano che se i ragazzi fossero stati istruiti, avrebbero avuto meno possibilit� di peccare�. I primi centri d'istruzione religiosi, chiamati Scuole della dottrina cristiana, furono fondati dal sacerdote comasco Castellino da Castello (1480-1566 circa), del quale si tramanda la singolare tecnica di �adescamento�, detta �esca della mela�, che adott� per attirare nuovi scolari. Un collega laico di Castellino si aggirava per le strade di Milano distribuendo mele ai ragazzi incrociati lungo il percorso. Questi, attratti dall'inatteso spuntino, seguivano l'uomo fino in chiesa, dove trovavano Castellino che, dietro promessa di nuovi frutti, li convinceva a frequentare le sue lezioni. Marketing a parte, in poco tempo Castellino, con l'aiuto dei suoi seguaci, fond� numerose Scuole della dottrina cristiana, in moltissime citt� del Nord e del Centro Italia. Il Concilio di Trento e i vescovi promossero queste scuole, e fu un boom: nel 1568, a Bologna, erano frequentate da circa 4.900 studenti; nel 1599, a Milano contavano su circa 7 mila ragazzi e 5.750 ragazze. Le Scuole della dottrina cristiana erano aperte la domenica e nelle festivit� religiose, per un totale di circa 85 giorni l'anno. Le lezioni duravano di norma poco pi� di due ore: si tenevano nelle chiese, dove oltre a imparare, si pregava e si cantava. La lingua insegnata era l'italiano (o meglio, il volgare), in rari casi anche il latino. I maestri erano religiosi o laici e ogni classe non aveva pi� di dieci alunni. Queste scuole offrivano in dotazione i testi didattici ai bambini troppo poveri e, proprio come oggi, usavano la campanella per segnare la fine di una lezione e l'inizio di un'altra. In queste scuole debutt� una figura simile a quella del nostro commesso, chiamato all'epoca �portinaro�: apriva la scuola, la puliva, metteva i banchi in ordine e controllava gli ingressi. Le punizioni corporali in genere erano bandite: i maestri usavano dolcezza e preferivano le parole alle azioni. Erano per� ammesse le �mortificazioni�, come l'imposizione ai cattivi alunni di baciare il pavimento della chiesa. Anche gli ordini religiosi nati nel Cinquecento sull'onda della Controriforma rivolsero i propri sforzi all'istruzione. I Somaschi, i Gesuiti e i Barnabiti partirono insegnando ai poveri, gratuitamente, ma in breve finirono per educare la futura classe dirigente, ovvero i nobili e i ricchi borghesi, adottando il curriculum latino degli umanisti. Restarono pi� coerenti gli Scolopi (detti anche Piaristi), del sacerdote spagnolo Giuseppe Calasanzio (1557-1648). Mentre lavorava nelle Scuole della dottrina cristiana a Roma, Calasanzio si accorse che tantissimi ragazzi non potevano accedere a una istruzione di qualit�, a causa dell'indigenza delle famiglie di provenienza. Allora, nel 1597 apr�, solo per ragazzi poveri (erano escluse le ragazze), la sua prima Scuola pia, totalmente gratuita. Nel giro di poco tempo, le scuole di Calasanzio proliferarono in tutta Italia, dalla Liguria alla Sicilia, anche grazie a preziose donazioni ecclesiastiche, tra cui quelle elargite da papa Clemente VIII (1592-1605) e Paolo V (1605-1621). Le Scuole pie aprivano sei volte a settimana, per due ore e mezzo di lezioni al mattino e altrettante nel pomeriggio. I cicli scolastici erano ben organizzati: prima si imparava a leggere e scrivere in italiano e a far di conto. A quel punto, c'erano due opzioni: il ragazzo poteva lavorare, oppure continuare seguendo un curriculum latino. Gli Scolopi fornivano tutto: carta, inchiostro, penne, a volte persino cibo. La preoccupazione che gli studenti alla fine delle lezioni del mattino e del pomeriggio potessero unirsi ai �ragazzacci� di strada port� alla nascita di una specie di scuolabus umano: i maestri stessi scortavano gli allievi fino alle rispettive case. L'operazione di Calasanzio ebbe successo: garant� un'istruzione di qualit�, includendo anche la lingua latina, oltre all'insegnamento religioso, a bambini poverissimi. In un certo senso gli ordini religiosi riuscirono in quello che l'Umanesimo - con il suo curriculum �alto� - non aveva contemplato, ovvero la possibilit� (teorica) per tutti gli italiani (maschi) di accedere a un'istruzione di base. Maschi e femmine Non fu fatto molto, nel Rinascimento, per diminuire la disparit� di istruzione tra ragazzi e ragazze. I maschi venivano preparati per la vita pubblica, le femmine per quella casalinga. I ragazzi si formavano per diventare medici, avvocati, farmacisti, segretari, ecclesiastici, mercanti, militari di carriera. Le ragazze imparavano a cucire, recitare le preghiere e a leggere un po' di letteratura in italiano - purch� non �scandalosa� (vietato per esempio il Decameron). La �scuola� era per� sempre tra le pareti di casa e gli insegnanti erano i fratelli o i genitori. C'erano tuttavia delle eccezioni. �Molte ragazze nobili di elevato lignaggio ricevevano un'istruzione umanistica a casa loro, dai precettori. Altre, sempre aristocratiche, imparavano il latino nei conventi femminili. Altre ancora ricevevano un'istruzione fuori casa�, precisa Grendler. Il privilegio di ricevere un'istruzione migliore rispetto alle ragazze del popolo si spiega col fatto che le nobili, una volta adulte, avrebbero potuto ricoprire ruoli pubblici, in virt� delle loro origini o come mogli di uomini importanti. �Se invece entravano negli ordini religiosi, diventavano badesse di conventi�, conclude Grendler. A dare una chance gratuita alle ragazze meno abbienti fu la confraternita di Castellino da Castello, che organizz� Scuole della dottrina cristiana solo per ragazze, identiche a quelle dei ragazzi: l'unica differenza era che vi insegnavano donne. Poche altre scuole del genere furono istituite, tra cui quelle di Angela Merici (1470 o 1475-1540), fondatrice della Compagnia delle Dimesse di sant'Orsola. Le gi� limitate opportunit� per le ragazze diminuirono quando Pio V proclam�, con la bolla Circa pastoralis del 1566, la rigida clausura delle religiose. Fino ad allora, suore e monache erano state le insegnanti delle ragazze, nei conventi e fuori. Continuarono a farlo, ma solo nel chiostro dov'erano confinate. Gli Scolopi e Galileo Dopo il rapido successo delle �scuole pie�, gli Scolopi passarono guai seri, quando i membri dell'ordine si avvicinarono alle teorie di Galileo Galilei. Alcuni di essi vissero addirittura assieme allo scienziato, nella sua casa di Arcetri, dove viveva in esilio. Questi scolopi ascoltavano le sue lezioni e lo assistettero fino al 1642, quando mor�. Per la vicinanza alle condannate teorie di Galileo, scatt� un'indagine voluta da papa Urbano VIII (1623-1644), e l'ordine si trov� sotto inchiesta. L'ordine fu soppresso nel 1646, durante il papato di Innocenzo X (1644-1655). Ma presto fu riconosciuta l'ingiustizia: gi� nel 1669 l'ordine fu ripristinato, mentre il fondatore Giuseppe Calasanzio fu canonizzato nel 1767. Il 1700 fu un secolo d'oro per gli Scolopi, che crebbero massicciamente per numero, diffondendosi in Italia, Spagna e nel Nord Europa. Alzheimer, una nuova speranza (di Elena Meli, �Focus� n. 381/24) - � la pi� temuta fra le demenze e i casi sono in aumento. Ma si studiano nuovi farmaci, da affiancare a test per la diagnosi precoce - Un passo avanti e uno indietro, l'ottimismo di sperimentazioni promettenti e la doccia fredda di uno stop delle autorit� regolatorie. La ricerca di una cura per l'Alzheimer procede fra successi e battute d'arresto, ma per la prima volta da decenni sembra lecito coltivare caute speranze: da una parte c'� sempre pi� chiarezza su come arrivare a una diagnosi e, soprattutto, su come conoscere il proprio rischio di ammalarsi, per una prevenzione pi� efficace. Dall'altra, qualche buon risultato dagli studi clinici fa supporre che in futuro sia possibile avere farmaci in grado di rallentare una malattia che ancora oggi � fra le pi� temute. Chiunque infatti rabbrividisce al pensiero di veder svanire lentamente ma inesorabilmente in una nebbia indistinta ricordi, parole, volti e persone care, senza poter fare nulla per impedirlo: quando la demenza di Alzheimer d� segno di s�, tornare indietro � impossibile. Eppure le chiavi per evitare di scivolare nella perdita della memoria e di noi stessi le avremmo in tasca fin dalla nascita: uno dei pi� ampi studi sulla prevenzione della demenza, pubblicato nel 2020 dalla Lancet Commission on Dementia Prevention, Intervention and Care, ha dimostrato che il 40% dei casi potrebbero essere ritardati, o addirittura evitati, agendo su dodici fattori di rischio principali. I dati sono stati poi confermati in indagini successive e ormai c'� la certezza che, per esempio, smettere di studiare troppo presto non faccia bene al cervello o che fumare e bere alcol siano veleno per i neuroni. La probabilit� di ammalarsi sale se non facciamo nulla per risolvere una perdita dell'udito nella mezza et�, se siamo sedentari, se mettiamo su chili di troppo. Molto quindi � nelle nostre mani ma, come spiega Alessandro Padovani, direttore della Clinica neurologica dell'Universit� di Brescia e presidente della Societ� Italiana di Neurologia (Sin), la sfida ora � �arrivare alla cosiddetta diagnosi predittiva: in pratica, ad avere un profilo di rischio preciso per ciascuno cos� da realizzare una prevenzione reale e su misura. L'obiettivo � avere entro un paio di anni una carta del rischio italiana per le demenze, simile a quella per il rischio cardiovascolare. La stiamo realizzando e validando per poterla usare sulla popolazione intorno ai 60, 65 anni, cos� da misurare lo stato di benessere del cervello e dare indicazioni personalizzate�. Per qualcuno, per esempio, potrebbe essere pi� rilevante tenere sotto controllo glicemia e pressione, per altri combattere la sedentariet�. Molto si potr� sapere anche attraverso semplici esami del sangue perch�, aggiunge Padovani, �si stanno validando anche marcatori plasmatici di un maggior rischio di malattia, che andranno a completare il profilo di ciascuno. A quel punto potremo provare a migliorare la resilienza del cervello, anche in chi � pi� avanti con l'et�: il cervello pu� resistere a moltissimi insulti e, in teoria, se potessimo �irrorarlo� con il Brain Derived Neurotrophic Factor (o Bdnf), un prezioso fattore di crescita neuronale, potrebbe restare in ottime condizioni per pi� di cent'anni (per il momento � utopia, perch� � impossibile somministrare questa proteina direttamente nel cervello, ndr)�. Mentre si cercano le strade per proteggere il cervello a rischio, si � diventati anche pi� bravi a riconoscere l'Alzheimer e a distinguerlo dalle altre forme di demenza. Coordinate da neurologi del Policlinico Universitario San Martino di Genova e del Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia, sono uscite poco tempo fa le prime linee guida europee per la diagnosi delle demenze che, a partire da undici diverse modalit� di presentazione dei sintomi e in quattro passaggi successivi, aiutano a districarsi in un labirinto di test cognitivi e strumentali, dalle Tac all'esame del liquido spinale, centrandosi sul paziente anzich� sulla malattia, come accadeva finora. Come specifica uno dei coordinatori del documento, il neurologo dell'Universit� di Genova Flavio Nobili: �Per ciascun esame utile a indagare un deficit cognitivo iniziale esistono linee guida e ambiti di applicazione a seconda delle diverse patologie che possono provocare il disturbo, ma scegliere quale test usare � difficile perch� quando abbiamo davanti una persona per la prima volta non sappiamo di che malattia soffra. In circa il 50% dei casi potrebbe trattarsi di Alzheimer. Le nuove raccomandazioni aiutano a generare un'ipotesi di malattia sulla base dei sintomi e del paziente, indirizzandolo a un flusso logico di esami per scegliere, a ogni passaggio, i pi� adeguati e poi decidere, in base ai risultati, se fermarsi o approfondire. Finch� non si arriva alla diagnosi con ragionevole certezza�. Secondo i ricercatori, quando si potranno associare ai test disponibili anche gli esami sui marcatori di Alzheimer nel sangue, sar� possibile ridurre del 70% i test inutili, con diagnosi pi� precise in tempi pi� rapidi. Il sogno � poter intercettare la malattia ai suoi albori: il China Cognition and Aging Study, che ha seguito per vent'anni migliaia di persone - fra cui circa 650 che nel corso degli anni si sono ammalate di Alzheimer -, mostra che qualcosa cambia nel cervello gi� diciotto anni prima della diagnosi. I segni premonitori sarebbero otto: il pi� precoce � un accumulo nel liquido spinale di un sottotipo di proteina beta-amiloide, l'elemento pi� distintivo dell'Alzheimer. Non solo: a dieci anni dalla diagnosi abbonda anche la proteina tau, mentre otto anni prima la risonanza magnetica pu� scovare alterazioni in un'area del cervello importante per la memoria, l'ippocampo. Con sei anni di anticipo, infine, specifici test cognitivi possono rilevare i primi segni di declino. Se fosse possibile intercettare l'Alzheimer presto e bene si potrebbe sperare di far qualcosa per rallentarne la marcia. La ricerca si sta concentrando sulla proteina beta-amiloide, che viene normalmente prodotta dal cervello ma che, nella malattia, si accumula in gran quantit�. I suoi frammenti infatti formano placche che impediscono la comunicazione fra neuroni e li uccidono, favorendo un aumento dell'infiammazione. �Non sempre gli ammassi di amiloide portano alla comparsa di malattia, perci� uno degli obiettivi della ricerca � capire come l'accumulo si trasformi in demenza per impedire che accada�, dice Padovani. �La beta-amiloide � un bersaglio corretto, ma molti farmaci contro questa proteina non hanno avuto successo perch� si � provato ad attaccare le placche in una fase gi� avanzata, oppure perch� la beta-amiloide ha funzioni anche nel cervello sano e colpirla pu� dare effetti collaterali seri�. Fra gli effetti collaterali di questi farmaci, l'incremento dell'infiammazione e della probabilit� di emorragie cerebrali sono fra i motivi per cui la Food and Drug Administration, a inizio 2024, ha rimandato la prevista approvazione di donanemab, che contrasta l'accumulo di beta-amiloide nelle placche come il suo predecessore, lecanemab, approvato negli Usa a luglio scorso. Entrambi sono anticorpi monoclonali da somministrare con infusioni per via endovenosa, ed entrambi sono indicati per pazienti in fase iniziale, in cui possono rallentare la progressione della malattia con effetti positivi sulla memoria, le capacit� cognitive e l'autonomia nelle attivit� quotidiane. Non riparano per� i danni gi� presenti, non invertono il corso della malattia n� impediscono che peggiori, ma spingono un po' sul freno. L'approvazione ha scatenato gli entusiasmi ma, come precisa Padovani, �occorre un'accuratissima selezione dei pazienti a cui prescriverli. Fra la necessit� di darli in fasi molto precoci e le limitazioni connesse al rischio di eventi avversi, la platea di possibili candidati � forse non pi� del 10% dei casi di nuova diagnosi, anche quando � tempestiva. Questi farmaci per� aprono la strada a un futuro in cui, individuando i pazienti presto, selezionandoli meglio e controllando gli effetti collaterali, potremo avere qualche opportunit� di intervento�. Donanemab e lecanemab del resto sono solo due degli oltre 140 principi attivi in sperimentazione su pazienti. Innumerevoli altri si stanno testando su cellule e animali: sono allo studio, per esempio, farmaci che attraversano la barriera emato-encefalica, che ostacola l'ingresso nel cervello di molte sostanze, per essere impiegati a dosi pi� basse ed essere tollerati meglio. Non mancano poi metodi alternativi, come la stimolazione cerebrale con speciali apparecchiature messe a punto all'Universit� di Yale (Usa), che fanno produrre al cervello onde gamma e che, stando a dati preliminari pubblicati lo scorso marzo, potrebbero rallentare il decorso dell'Alzheimer lieve senza effetti collaterali di rilievo. E chiss� che le migliori sorprese non arrivino da farmaci �outsider�, nati per tutt'altro: sono previsti per fine anno i risultati di uno studio che sta valutando, in pazienti con Alzheimer di grado lieve, l'efficacia della semaglutide, usata come antidiabete e approvata anche come antiobesit�. Il legame fra diabete e Alzheimer del resto non sorprende, perch� per molti neurologi la demenza � il risultato dell'incapacit� dei neuroni di usare bene il glucosio, che � la loro fonte di energia principale. L'Alzheimer sarebbe insomma l'espressione di una specie di resistenza all'insulina del cervello, tanto da essere chiamato da alcuni �diabete di tipo 3�. Non a caso, come ha riferito di recente la Societ� Italiana di Diabetologia, in chi ha il diabete tenere sotto controllo la glicemia diminuisce del 15% la probabilit� di Alzheimer e del 28% quella di sviluppare una demenza di qualsiasi tipo. Il diabete non ben gestito promuove infiammazione e stress ossidativo, che danneggiano le cellule cerebrali, e la resistenza all'insulina pu� compromettere la comunicazione fra neuroni e contribuire alla loro degenerazione. � perci� plausibile che una possibile terapia futura dell'Alzheimer debba combinare approcci differenti verso bersagli diversi, da farmaci mirati alla beta-amiloide a medicinali antiossidanti e antinfiammatori�, conclude Padovani. Dammi una mano (di Elisa Venco, �Focus� n. 381/24 - Fin dagli albori dell�umanit�, toccare i propri simili per far sentire vicinanza emotiva ha favorito la costruzione delle nostre societ�. Ed � un vero toccasana per la salute - Se vi chiedessero quale squadra di basket dell'americana Nba vincer� il campionato, non pensereste di avere la risposta a portata di mano. Eppure � cos�: secondo uno studio pubblicato sul periodico scientifico Emotion, che ha preso in esame tutte le squadre professionistiche per un intero campionato, pi� tempo i giocatori trascorrono �mettendosi le mani addosso�, ovvero scambiandosi pacche sulla spalla, abbracci, e battendo il cinque, pi� i team hanno successo. Simili i risultati di un test condotto dallo psicologo americano Robert Kurzban, in cui i partecipanti potevano scegliere se cooperare o competere con un partner per una certa quantit� di denaro. Quando un esaminatore ha toccato sulla spalla coloro che stavano iniziando a giocare, essi erano molto pi� propensi a condividere la somma con gli altri, rispetto a coloro che non erano stati toccati. E il tocco influenza perfino le mance: uno studio ha dimostrato infatti che le cameriere hanno ricevuto una mancia pi� elevata quando � stato chiesto loro di toccare leggermente un cliente (uomo o donna) sulla mano o sul braccio. Il motivo? �Il contatto�, sostiene Kurzban, �crea tuttora rapporti di cooperazione, come faceva milioni di anni fa, quando tra i nostri �parenti� primati la toelettatura, ossia l'atto di spulciarsi, � servito a costruire alleanze�. Il contatto sociale non � solo la forma di comunicazione pi� antica che esista: � anche la prima che conosciamo, cosicch�, quando viene meno, come � successo durante la pandemia, ci mancano conforto e senso di rassicurazione. A tutte le et�, perch� il potere del tocco, a differenza della percezione data dai sensi che diminuisce man mano che invecchiamo, resta identico per tutta la vita. Il contatto tra un operatore e un malato di Alzheimer, per esempio, riesce a far rilassare il paziente e a ridurre i sintomi della depressione, mentre una pacca sulla spalla da parte di un medico pu� aumentare i tassi di sopravvivenza dei pazienti con malattie complesse, come prova una ricerca condotta dalla School of Public Health dell'Universit� di Berkeley (Usa). Naturalmente, quando si tratta di un neonato, che non riesce a vedere oltre i 30 cm, e il cui udito si sviluppa solo dopo alcune settimane, il linguaggio tattile � fondamentale. La vicinanza fisica della madre riesce a stabilizzare battito cardiaco, peso, resistenza alle infezioni dei bambini, oltre a migliorare le condizioni dei prematuri. L'esempio pi� drammatico di quanto alla nascita sia necessario essere toccati � emerso da alcuni studi effettuati negli anni '50, quando si riteneva che prendere in braccio i bambini potesse essere negativo e si rischiasse di �viziarli� troppo. Lo psicologo del Wisconsin Harry Harlow ha isolato alcuni macachi in gabbie in cui erano state poste due madri �surrogate�: una fatta di fili di metallo cui era attaccato un biberon che dava il latte, l'altra ricoperta di un panno morbido, ma senza biberon. I cuccioli avevano un tale bisogno di �comfort da contatto� da passare la maggior parte del tempo attaccati alla mamma morbida rispetto a quella che li nutriva. Questi (crudeli) studi hanno inoltre evidenziato che le scimmie nutrite, ma private della mamma di pezza, sviluppavano forti squilibri mentali, fino a morire. Ricerche successive hanno rilevato che i bambini non coccolati (quelli cresciuti con genitori troppo assenti) hanno meno difese immunitarie, minori capacit� cognitive e ritardi nello sviluppo fisico. Ma come fa un contatto della mano a determinare tutto questo? Quando siamo toccati, le fibre nervose comunicano con un'area del cervello chiamata corteccia somatosensoriale. Alcuni anni fa per�, Francis McGlone, neuroscienziato dell'Universit� di Liverpool (Uk), ha scoperto un tipo di fibra nervosa (nota come fibra C afferente) che conduce le informazioni in modo pi� lento e a una parte diversa del cervello, chiamata corteccia insulare. Se il significato evolutivo del sistema sensoriale veloce � evidente, poich� reagire rapidamente a un eventuale pericolo permette di sopravvivere, a cosa serve il sistema pi� lento? Probabilmente a promuovere il legame sociale, �poich�, in termini evolutivi, gli organismi che lavorano insieme hanno pi� successo, per cementare quell'unione la natura ha sfruttato il contatto fisico�, argomenta McGlone. �Non a caso le fibre C, molto sensibili a uno sfioramento delicato, mancano in zone glabre come il palmo della mano, mentre sono particolarmente numerose sulla schiena: l� nessuno riesce a sfiorarsi da solo, e la piacevolezza del tocco serve a favorire i legami con gli altri�. Gli esperimenti svolti con un robot hanno indicato che il gradimento allo sfioramento � massimo quando il tocco ha un calore di circa 34 gradi, cio� la temperatura media dei polpastrelli, e va a una velocit� di circa 3 cm al secondo, proprio quella di una carezza. Oltre al gradimento di chi � stato toccato, c'� anche il piacere di chi tocca, e ci� suggerisce che il contatto serva a generare rapporti di reciprocit�. Una ricerca apparsa sulla rivista scientifica Current Biology ha dimostrato come il fatto che in genere la pelle degli altri ci sembri pi� morbida della nostra sia un errore di percezione. In pratica, questa impressione mira a ricompensare chi tocca gli altri, alimentando ulteriormente la costruzione di legami sociali. Va detto comunque che, anche se il contatto mantiene i legami con chi fa parte del nostro gruppo sociale, rafforza per� l'ostilit� verso gli estranei. Anche se tutti i tocchi leggeri stimolano le nostre fibre afferenti, infatti, non sono certo tutti gradevoli. Il neuroscienziato cognitivo Dan-Mikael Ellingsen, dell'Universit� di Oslo (Norvegia), ha riscontrato in uno studio che la gradevolezza di un contatto muta a seconda che contemporaneamente si osservino volti amichevoli o arrabbiati. � quindi possibile che, quando le informazioni provenienti dai sensi e dal cervello sono contrastanti, il cervello �spenga� il messaggio piacevole proveniente dalle fibre C. Un meccanismo simile potrebbe anche spiegare perch�, posto che la biologia � uguale per tutti, nelle culture in cui i contatti fisici non sono ben visti, le persone si toccano reciprocamente di meno. Nei Paesi latini, per esempio, le persone si toccano molto di pi� che nei Paesi nordici: l� baciare o abbracciare qualcuno per salutarlo � una cosa che non si fa. Qualcosa di simile si verifica quando siamo noi a toccare alcune parti del nostro corpo. � come se, sapendo che la mano � la nostra, il nostro cervello �silenziasse� la piacevolezza del tatto. Infatti in media ci tocchiamo il viso tra le 400 e le 800 volte al giorno senza notarlo. Ma allora perch� lo facciamo? Forse � una forma di rinforzo per il cervello. Uno studio pubblicato due anni fa su Scientific Report ha esaminato le prestazioni di chi doveva memorizzare un oggetto toccandolo. Quando, durante la fase di memorizzazione, i soggetti erano disturbati da suoni improvvisi come sirene e allarmi, la loro frequenza cardiaca indicava un aumento dello stress. Ed ecco allora che, per non invalidare il lavoro della memoria, queste persone si toccavano il viso pi� spesso, usando il tatto per regolare inconsapevolmente l'attivit� cerebrale e consentire al cervello di tornare a concentrarsi. Un altro esperimento riportato sulla rivista Current Biology ha cercato di spiegare perch� ci tocchiamo un arto quando l� ci facciamo male. L'ipotesi � che toccare un'area ferita riduca il dolore migliorando la mappa corporea elaborata dal cervello, il quale, per cos� dire, cerca a suo modo di �riportare� la parte colpita nella condizione normale. Non sempre il contatto � gradito, dicevamo. Molto dipende se a toccarci � una persona cara o un estraneo. Eppure l'abilit� delle persone di capire il linguaggio del tatto � straordinaria anche se a �parlarlo� � uno sconosciuto. Matt Hertenstein, professore di psicologia alla De Pauw University dell'Indiana (Usa), ha testato le interpretazioni del contatto tra mani di due persone divise da una barriera. Il primo soggetto doveva trasmettere alcune emozioni, indicate su un foglio, all'altro, che aveva allungato l'avambraccio in un buco nella barriera. Dato il numero di emozioni prese in considerazione, la probabilit� statistica di indovinare l'emozione giusta per caso era circa l'8%. Sorprendentemente, i partecipanti hanno indovinato quando si trattava di compassione quasi il 60% delle volte, e di gratitudine, rabbia, amore, paura pi� del 50% delle volte, azzeccando l'emozione giusta pi� di quanto accada di solito con i segnali facciali e vocali. Sono emerse per� due incomprensioni di genere: le donne hanno colto meno la compassione, quando a esprimerla era un maschio. E gli uomini hanno capito poco quando una donna ha cercato di comunicare la rabbia. Quando per� alle persone � stato chiesto se a toccarle fosse un uomo o una donna, di solito hanno indovinato tra il 70 e il 96% delle volte. Di conseguenza, gli autori dello studio ritengono che conoscere il sesso di chi tocca possa influenzare il significato assegnato allo sfioramento rendendo i soggetti pi� propensi a interpretare, per esempio, il gesto di una donna come un segnale di compassione mentre lo stesso gesto fatto da un uomo viene di solito interpretato diversamente. Antiraffreddore Una serie di studi pubblicati su Psychological Science ha dimostrato che il tocco rafforza il sistema immunitario delle persone esposte al comune raffreddore. Per due settimane i ricercatori della Carnegie Mellon University di Pittsburg (Usa) hanno esaminato per diversi giorni 400 persone abituate a frequenti contatti fisici. Poi hanno somministrato loro gocce nasali piene di virus del raffreddore o dell'influenza, le hanno messe in quarantena per una settimana in un hotel e ne hanno monitorato i sintomi. Non tutte le persone soggette a frequenti contatti fisici si sono infettate (solo il 78%) e circa il 30% ha mostrato sintomi, a riprova che chi viene spesso toccato si difende meglio dalle malattie. �Molte prove suggeriscono che il tocco possa essere efficace nel proteggere le persone dai fattori di stress�, affermano gli autori dello studio, aggiungendo che, come prevenzione, la �dose� ideale di abbracci � di uno al giorno. Amaretti: un viaggio tra storia, croccantezza e varianti golose (di Monica Face, Cookist.it) - Dalle sontuose corti reali alle moderne pasticcerie, scopriamo le diverse anime, le origini e le variazioni regionali di un biscotto diventato un'icona - Ti � mai capitato di passare accanto a un forno e di sentirti avvolto dal profumo inebriante dei biscotti appena sfornati? Se in quell'armonia di aromi hai riconosciuto un accenno di mandorla, � probabile che il pasticcere stesse dando vita a qualcosa di diverso dai soliti frollini: gli amaretti. Si tratta di una delizia che molti associano alla citt� di Saronno, in Lombardia, ma che si declina in numerose variet� che riguardano anche altre zone d�Italia. Scopriamo come nascono, quali sono le varianti, e come gli amaretti si sono guadagnati un posto d'onore nel vasto universo dei dolci. Se potessimo viaggiare indietro nel tempo, ci troveremmo immersi in una moltitudine di racconti e leggende riguardanti l'origine di questi dolcini. Secondo la tradizione, la versione morbida inizi� con Francesco Moriondo, economo della famiglia reale Savoia. Egli si invagh� di una giovane siciliana, anch'essa al servizio della casa reale, in qualit� di cuoca dolciaria. Una volta sposati, i due si trasferirono in un paese vicino ad Asti, dove la moglie amava confezionare biscotti di mandorle per i loro visitatori. E, a quanto racconta la leggenda, i primi ad assaggiare pare abbiano affermato: �Sono buoni e un po' amaretti�, battezzandoli cos� con un nome che � stato poi mantenuto nel tempo. Un�altra storia racconta invece che i pasticcini, questa volta in versione croccante, furono creati per la prima volta da un giovane pasticciere e dalla sua innamorata in onore della visita del Cardinale di Milano. La ricetta venne poi in possesso della famiglia Lazzaroni che, dopo essersi trasferita a Saronno, contribu� a rendere celebre questa delizia, trasformandola da specialit� locale a prodotto apprezzato fino ai giorni nostri. Questo successo fu facilitato anche dalla diffusa presenza del mandorlo nella zona, che consentiva di reperire la materia prima a un costo contenuto. Ci� che sappiamo con certezza � che i monasteri hanno avuto un ruolo fondamentale nella diffusione di questi, come di altri prodotti. I monaci erano abili pasticceri e spesso producevano dolci, inclusi gli amaretti, che vendevano come fonte di sostentamento per la loro comunit�. Questa pratica monastica si � diffusa ben oltre le mura del monastero, influenzando anche le pasticcerie locali. Nel caso specifico di questi biscotti, � noto che differenti regioni italiane ne rivendicano la paternit�, e ciascuna ha le proprie leggende e tradizioni a riguardo. Tuttavia, � probabile che la tradizione monastica abbia influenzato anche la diffusione degli amaretti, cos� come � avvenuto per altre variet� di dolci. Il periodo del Rinascimento ha visto una grande evoluzione nella pasticceria e nella cucina italiana. Grazie alla loro lunga conservazione e al loro sapore distintivo, questi pasticcini divennero una scelta popolare per i viaggi e furono persino portati in esplorazione in nuove terre. Con l'avvento del commercio marittimo e della scoperta di nuovi ingredienti, come la vaniglia dalle Americhe o le spezie dall'Oriente, le variazioni di questi biscotti cominciarono a fiorire. La fusione di sapori ha contribuito a rendere gli amaretti un dolce versatile e amato, che oggi trova posto non solo nelle case italiane ma anche in cucine di tutto il mondo. Nel corso dei secoli, gli amaretti guadagnarono il favore anche delle classi nobili e reali. Venivano spesso serviti in occasioni speciali come matrimoni o feste di corte. Il loro legame con eventi cos� prestigiosi non fece altro che aumentare la loro popolarit�, cementando ulteriormente il loro status come dolce prelibato e sofisticato. Con l'avvento dell'industrializzazione e la nascita delle pasticcerie moderne, la produzione di amaretti � diventata pi� accessibile. Tuttavia, il fascino e il prestigio che circondano questi biscotti non sono diminuiti. Oggi, molte aziende e pasticcerie locali in Italia continuano a produrli seguendo ricette tradizionali, preservando cos� l'eredit� e la storia di questo dolce intramontabile. Questo squisito dolcetto � realizzato con una miscela che contiene il 47% di pura mandorla, il che gli conferisce un sapore inconfondibile, arricchito da un sottile retrogusto amaro tipico del frutto secco. Le mandorle, ricche di energia e con numerosi vantaggi per la salute, contribuiscono a rendere questo bon bon non solo gustoso, ma anche nutriente. Nel mondo degli amaretti, la distinzione fondamentale � quella tra la consistenza morbida e quella croccante. Quelli morbidi sono quasi come piccole nuvole dolci, tenere e un po' umide al centro. Questa versione � particolarmente apprezzata da chi predilige un morso pi� soffice e meno secco. Al contrario, la variet� croccante � friabile, rompendosi facilmente quando si morde. Tra le diverse tipologie, ogni regione ha la sua specialit� e ne rivendica la paternit�, ma tra le tante ecco alcune tra le pi� famose. Amaretti di Saronno (Lombardia): sono celebri per il loro sapore distintivo e la loro texture contrastante. A forma circolare, vantano un guscio esterno croccante e un interno soffice. Composti da un mix di mandorle sia dolci che amare, zucchero e bianco d'uovo, frequentemente vengono esaltati dall'aggiunta di essenza di mandorla. Amaretti di Sassello (Liguria): mentre quelli di Saronno possono essere i pi� famosi, gli amaretti di Sassello sono rinomati per la loro ineguagliabile morbidezza. Realizzati con mandorle dolci, zucchero e albume d'uovo come base, spesso includono anche farina di riso o fecola di patate per aggiungere quella particolare delicatezza che li distingue. Amaretti di Voltaggio (Liguria): nati da oltre cento anni, questi dolcetti continuano ad essere estremamente apprezzati. A Voltaggio, vengono descritti come �morbidi� grazie alla loro consistenza che combina una crosta leggermente croccante con un interno soffice. La miscela � fatta da un equilibrio di mandorle sia dolci che amare, zucchero, albume d'uovo e un tocco di vaniglia. La loro singolare forma viene creata pizzicando la parte superiore di piccole quantit� dell'impasto con tre dita. Amaretti di Mombaruzzo (Piemonte): contrariamente a quelli di Saronno, pi� famosi ma pi� piccoli, quelli di Mombaruzzo si distinguono per le loro dimensioni generose e una consistenza pi� soffice. Non solo, ma hanno anche guadagnato un posto nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (Pat): la loro unicit� risiede in una composizione esclusiva che unisce albume, mandorle e zucchero con armelline, i semi prelevati dai noccioli di albicocca, conferendo cos� una sfumatura amara che li rende indimenticabili. Amaretti del Chiostro (Piemonte): molto simili ai pi� noti amaretti di Mombaruzzo, ma con l'aggiunta di liquore all'amaretto che conferisce una profondit� aromatica unica. Amaretti di Macerata (Marche): hanno una consistenza particolarmente friabile, sono di forma rotonda e hanno una superficie croccante e spaccata, con un cuore morbido e profumato. Sono fatti con ingredienti semplici come mandorle, zucchero e albume d'uovo e armelline. Amaretti di Fano (Marche): sono unici nel loro genere perch� utilizzano il mosto cotto, che dona un tocco dolce e leggermente acidulo e un sapore distintivo, diverso da quello degli altri tipi di amaretti. Amaretti di Oristano (Sardegna): estremamente popolari e stimati, questi amaretti includono soltanto mandorle dolci e amare, escludendo le armelline. Restando in Sardegna, una tipologia simile viene preparata anche nella citt� di Nuoro e rappresenta il gesto d'ospitalit� per eccellenza durante i matrimoni. Viaggio nelle colline del Chianti (Italia.it) - La terra in cui si produce uno dei vini rossi pi� famosi del mondo - Il Chianti � la zona collinare compresa tra Firenze e Siena, tra Arezzo e i Colli Pisani considerata da sempre �cuore della Toscana�; � un susseguirsi di splendidi paesaggi segnati da fitti vigneti, boschi di castagni, querce e lecci, suggestivi borghi medievali, romantici castelli e affascinanti case coloniche. � anche la terra in cui si produce uno dei vini rossi pi� famosi del mondo: il Chianti. La zona del Chianti � il luogo ideale per viaggi tra borghi medievali, romantici vigneti e caratteristici paesaggi collinari. In ogni piccolo borgo � possibile imbattersi in cantine, castelli e fattorie e assaggiare il pregiato vino in una delle numerose enoteche. Le origini, ricche di una storia leggendaria, e la tradizione vinicola hanno reso la zona del Clante (in et� etrusca il nome di un torrente) famosa in tutto il mondo. Per chi proviene da Firenze la naturale via d�accesso per la terra dei vini � Impruneta, ricca di monumenti, tra cui la torre campanaria merlata del XIII sec�, la Basilica di Santa Maria con l�annesso museo del Tesoro. Due gli eventi di rilievo internazionale: la festa dell�uva con la sfilata di carri allegorici, e la fiera di San Luca, entrambi si svolgono in autunno. Alle spalle di Firenze, in direzione Siena, tappa obbligata � il vecchio borgo medioevale di Greve in Chianti, con la sua antica e particolare piazza triangolare, delimitata da palazzi, portici e loggiati, tutti convergenti verso la Chiesa di Santa Croce. La piazza ospita a settembre la pi� importante mostra vinicola del Chianti. Domina la citt� dall�alto il castello di Montefioralle, antico borgo fortificato. S�incontra quindi Volpaia, pittoresco paesino medioevale sorto attorno ad un castello, nonch� antico centro di produzione del vino. Poco distante c'� Radda, sviluppatasi intorno alla trecentesca chiesa di San Niccol� e al maestoso palazzo pretorio (1415 circa). Da visitare anche la pieve di San Giusto in Salcio, sita in una lussureggiante conca tra i vigneti, e la pieve di Santa Maria Novella, con la caratteristica facciata romanica. Appena fuori Radda, altra tappa obbligatoria � la Casa Chianti Classico e il Centro studi storici chiantigiani. Proseguendo il viaggio verso il valico dei monti del Chianti, si incontra prima Gaiole, uno dei panorami pi� conosciuti d�Italia, e successivamente innumerevoli fattorie e castelli, quali San Leonino e Fonterutoli. Superata la citt� senese, di particolare pregio storico sono la duecentesca Monteriggioni, costruita sulla sommit� di una collina e dotata di una massiccia cinta muraria, e Castellina, avamposto senese d�origine etrusca con la bella piazza centrale attraversata dalla medievale via delle Volte. Infine una sosta nella splendida Poggibonsi dove in ottobre si svolge una manifestazione in cui si ripropone l'antica tecnica di pigiatura dell'uva delle zone collinari, e a Montespertoli per l�annuale mostra del Chianti. Tutto il Chianti � DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita), ma i Chianti sono diversi, ognuno con proprie caratteristiche legate al proprio territorio e ai metodi di produzione. L�uvaggio � sempre lo stesso ma variano le percentuali: Sangiovese (75-90%), Canaiolo (5-10%), e Malvasia del Chianti (5-10%), la composizione perfetta scoperta nel XIX secolo dal barone Ricasoli, a cui pi� tardi si � aggiunto il Trebbiano Toscano. La tradizione � talmente radicata che i produttori toscani piantano le viti delle diverse uve insieme, gi� nella giusta proporzione che servir� a fare il vino. La coltivazione, ad archetto toscano, deve molto al terreno costituito dal galestro che, poroso e permeabile, non permette il ristagno dell�acqua vicino alle radici. In autunno, dopo la vendemmia, pu� accadere di vedere ancora alcuni grappoli sulle piante: � il segno della pratica del �governo�, sopravvissuta ai secoli, che consiste nell�aggiungere al vino fermentato del mosto fresco di uva passita, che fa riprendere la fermentazione, in modo che gli zuccheri vengano completamente trasformati in alcol. Tale operazione ha lo scopo di ottenere un vino secco e stabile. Dopo la fermentazione, il vino rimane ad affinarsi fino a marzo in vasche di acciaio o cemento e, una volta imbottigliato, � pronto per il mercato. Il vino Chianti, se sottoposto ad un invecchiamento di diversi anni, di cui almeno tre mesi di affinamento in bottiglia, pu� aver diritto alla qualifica Riserva purch�, all'atto dell'immissione al consumo, abbia un titolo alcolometrico volumico totale minimo del 12%, contro i 11,5 gradi del Chianti classico. Il colore � rosso rubino vivace, il profumo intenso con evidenza di viola mammola, giaggiolo e vaniglia, mentre il sapore � armonico e asciutto con sentori di vaniglia e mandorla; con l'et� diventa morbido e vellutato. Produzione annua: 63 milioni di bottiglie circa. Il Chianti giovane e tutte le DOCG semplici sono perfetti vini da tutto pasto; gli invecchiati e le Riserve sono da preferire con carni rosse, selvaggina e formaggi piccanti. Le bottiglie si conservano orizzontali e vanno servite a temperatura ambiente. Tra i piatti caratteristici della cucina toscana: la ribollita, i cui ingredienti principali sono le verdure cotte avanzate dai giorni precedenti ribollite tutte insieme, con l�aggiunta di pane raffermo e condite con olio extravergine di oliva. Un altro �classico� della zona sono gli antipasti come i crostini di fegatini di pollo, la bruschetta con il pomodoro e il capocollo senese, pi� comunemente noto come finocchiata. Ray Charles, vent�anni senza �The Genius� (di Giovanni Carbone, Micromega.net) - Il 10 giugno 2004 ci lasciava la leggenda della musica soul - � il 10 giugno 2004 e Ray Charles Robinson ci lascia a Beverly Hills, per le complicanze d�una patologia epatica. Senza di lui, senza le sue esplorazioni negli universi del rhythm and blues, del jazz, del folk, il soul non sarebbe stato abbastanza. Nasce ad Albany, nel 1930, in pieno Sud segregazionista e da una famiglia non proprio perfetta. Il padre lo abbandona col fratello e la madre che non aveva mai sposato. Come se non bastasse, il piccolo Ray ha appena cinque anni quando vede il fratello annegare in una tinozza e tre anni dopo perde la vista, forse per un glaucoma, forse per un�infezione trascurata. Ray pare non farsene cruccio agli occhi buoni del suo pubblico immenso, ci scherza su e consente agli altri di farlo. Un paio di sue immagini iconiche ce lo ricordano. Nel 1963 c�� la grande marcia di Martin Luther King a Washington, ma anche l�ennesima strage di afroamericani ad opera di fanatici del KKK. Dizzie Gillespie non regge, si candida provocatoriamente alla presidenza degli Stati Uniti d�America: �Voglio diventare Presidente degli Stati Uniti perch� ce ne serve uno!�, tuona. Mette pure su la squadra dei suoi collaboratori. Ci sono tutti, tra gli altri Duke Ellington, Malcom X, Ella Fitgerald, Max Roach, Miles Davis e ovviamente lui, Ray Charles con un incarico precisissimo: direttore della Biblioteca del Congresso. E poi c�� quella mitica sequenza nel film The Blues Brothers, in cui interpreta il titolare di un negozio di strumenti musicali. Alza la pistola e spara con precisione mettendo in fuga il bambino che cerca di fregargli una chitarra: �Avanti, pussa via! Mi piange il cuore a vederli gi� ladri cos� piccoli�. Poi suona, ed � musica che si fa leggenda, del cinema, del soul. In qualche minuto la storia d�una vita. Perch� Ray nella miseria c�� nato ma ha le note giuste dentro, lui � �The Genius�. Da bambino frequenta una scuola per sordi e ciechi; � l� che conosce la musica e non paiono esserci dubbi che quella aspettasse lui. Quando muore la madre, in quella scuola non torner�, ma inizia a suonare in giro per quattro dollari a sera, indossando gli occhiali scuri che diventeranno il suo marchio di fabbrica. Luogo sicuro per il sound che vuole � Seattle, dove arriva nel 1947, per poi incidere pure qualche disco. Il successo arriva nel 1951 con Baby, Let Me Hold Your Hand. C�� ancora molto blues, il gospel, Charles Brown, Nat King Cole, ma si capisce che quel ragazzo poco pi� che ventenne ha qualcosa di straordinario in quella voce che secondo il critico Victor Bollo usa �come se fosse un sassofono�, un tratto caratteristico che gli garantir� assai di pi� di qualche buona posizione nelle classifiche specializzate. Se ne accorgono alla Atlantic, dove lo mettono sotto contratto e non sbagliano. Ray Charles inanella successi, poi, nel 1960, arriva The Genius Hits the Road, un concept album ispirato a diversi luoghi degli Stati Uniti. L� dentro c�� Georgia on My Mind, scritto nel 1930 da Stuart Gorrell e Hoagy Carmichael, che Ray rende uno dei brani pi� iconici della storia della musica. Negli anni Sessanta non si fa mancare qualche arresto per eroina, godendosi pure qualche hit in libert� vigilata. La sua fama � per� tale che non accenna a venir meno negli anni successivi. Fa cose che altri cantanti si sognano come diventare conduttore del Saturday Night Live nel 1977, mentre la sua Georgia on My Mind diventa l�inno dello Stato della Georgia, a voler celebrare una sorta di buon esito della luttuosa stagione delle lotte per i diritti civili. Lo ritroviamo tra le tante celebrit� di Usa for Africa che cantano nella We Are the World scritta da Michael Jackson e Lionel Richie e prodotta da Quincy Jones. Canta per Ronald Reagan presidente, rifacendolo per Bill Clinton, arriva pure secondo a San Remo con Good Love Gone Bad/Gli amori, al fianco di Toto Cutugno. Si esibisce con i Muppets in ricordo dello scomparso Jim Henson, il loro creatore. Il cinema non se lo fa scappare: compare nel gi� citato The Blues Brothers di John Landis (1980), nel film comico Spia e lascia spiare di Rick Friedberg (1996) e nel docu-film di Clint Eastwood Piano Blues (2003). Poco dopo la sua morte, la sua vita mirabolante � riassunta in Ray, il film che ne traccia la vicenda umana e artistica, dipendenza dall�eroina compresa. L�attore che lo interpreta, Jamie Foxx, si guadagna il premio Oscar come miglior attore protagonista. Forse il miglior modo di ricordarlo � riprendere quello stesso invito che rivolse al pubblico in un celeberrimo spot per la Pepsi, �You Got the Right One, Baby!�.