Aprile 2024 n. 4 Anno IX Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice Concorso �Serafino Ferraris� Prima Edizione Disponibilit� in Braille di un�importante pubblicazione Le contraddizioni della suscettibilit� Lo sterminatore di Auschwitz Il canto del cigno Concorso �Serafino Ferraris� Prima Edizione La Casa Editrice �Virginio Cremona Editore� SRLS con sede in Milano Via Valsesia 66 - Tel. 351/777.2632 Codice fiscale e Partita IVA 11131870963, indice un Concorso per una Borsa di studio in ricordo del Professor Serafino Ferraris, collaboratore emerito dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti. La selezione � riservata a Studenti non vedenti o ipovedenti (ai sensi della legge 138/2001) che si siano diplomati tra il 1� gennaio e il 31 dicembre 2023 e che, alla predetta data del 31 dicembre, non abbiano superato i ventidue anni di et�. Inoltre, il suddetto concorso � riservato agli studenti delle regioni Piemonte, Lombardia, Liguria. Il termine ultimo per la presentazione delle domande di partecipazione � fissato al 31 maggio 2024. Di seguito il Bando del concorso: Bando di concorso per l�assegnazione della Borsa di Studio �In ricordo di Serafino Ferraris�. Art. 1. Natura del Concorso - La Casa Editrice �Virginio Cremona Editore� promuove una Borsa di studio destinata a uno Studente cieco o ipovedente che, alla data del 31 dicembre 2023, abbia conseguito titoli di studi di secondo livello. La Borsa � assegnata per merito, mediante Concorso. Art. 2. Requisiti di ammissione e causa di esclusione - Alla corrente edizione del Concorso, possono partecipare tutti gli studenti non vedenti o ipovedenti che alla data del 31 dicembre 2023 non abbiano superato i ventidue anni di et� e che, tra il 1o gennaio e il 31 dicembre 2023, abbiano il seguente titolo: �Diploma di Istruzione Secondaria Superiore�. Art. 3. Causa di esclusione - Sono esclusi gli studenti che hanno beneficiato di altre Borse di studio, sovrapponibili per forma e contenuto a quella prevista dal presente Bando. Art. 4. Borsa di studio - Viene promossa l'assegnazione di una Borsa di studio del valore di 1.000,00 (mille) Euro al netto della ritenuta d'acconto prevista per legge, che sar� assegnata allo studente che abbia conseguito �Diploma di Istruzione Secondaria Superiore�. Art. 5. Presentazione della domanda di partecipazione - La domanda di partecipazione deve essere redatta in carta semplice, firmata e fatta pervenire, mediante Raccomandata postale, o Posta elettronica, entro il giorno 31 maggio 2024 al seguente indirizzo: Casa Editrice �Virginio Cremona Editore� Via Valsesia 66 - 20152 Milano (MI) edizionicremona@pec.it N.B.: per le Raccomandate far� fede il timbro postale. Nella domanda di partecipazione i Candidati devono dichiarare, sotto la propria personale responsabilit� (D.P.R. 28.12.2000, n. 445, art. 46): Nome e Cognome; Luogo e data di nascita; Indirizzo di residenza, recapito telefonico e/o indirizzo mail, specificando l'indirizzo al quale desiderano ricevere le comunicazioni relative al presente Concorso; Titolo di studio, anno di conseguimento e Istituzione rilasciante; Voto di diploma. Alla domanda devono essere allegati i seguenti documenti: Certificazione, in carta semplice, originale o in copia autenticata del Certificato di Diploma di Scuola Superiore; Certificazione, in carta semplice, originale o in copia autenticata dell'Invalidit� riconosciuta. La firma in calce alla domanda, da apporre in forma autografa, non � soggetta ad autenticazione, ma alla domanda dovranno essere allegati: Fotocopia della Carta d'identit�; Fotocopia del Codice fiscale. Le domande incomplete o pervenute oltre il termine saranno escluse, a giudizio insindacabile della Commissione esaminatrice. Art. 6. Commissione esaminatrice - La Commissione esaminatrice � costituita dal Presidente Responsabile della Casa Editrice, e da altre quattro persone da lui stesso nominate. Art. 7. Proclamazione del vincitore - Sulla base delle risultanze espresse dalla Commissione esaminatrice, la Direzione della Casa Editrice, nella persona del Presidente, proclama vincitore della Borsa di studio il concorrente collocato al primo posto nella graduatoria di merito. Gli esiti del Concorso sono resi pubblici dal sito della stessa Casa Editrice, dai canali informativi dell�Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti e sono comunicati personalmente al singolo concorrente, all�indirizzo di posta ordinaria o elettronica indicato nella domanda. Art. 8. Responsabilit� - La partecipazione al Concorso implica l�accettazione senza riserve del presente regolamento. Spetta esclusivamente alla Direzione della Casa Editrice �Virginio Cremona Editore� il giudizio finale sui casi controversi e su quanto non espressamente previsto. Art. 9. Trattamento dei dati personali - Tutte le informazioni raccolte nell�ambito del presente Concorso saranno tutelate ai sensi del Regolamento (UE) 2016/679 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali che verranno utilizzati solo al fine della partecipazione al concorso di cui al presente bando. Disponibilit� in Braille di un�importante pubblicazione Informiamo i nostri gentili lettori che la nostra Biblioteca ha realizzato l�edizione Braille della Convenzione sui diritti delle persone con disabilit�. Chi fosse interessato ad acquistarla, pu� farne richiesta scritta. Il costo � di 10 Euro cui andranno aggiunte le spese di spedizione, nel caso si desideri l�invio tramite Corriere. Le contraddizioni della suscettibilit� (di Gianfranco Marrone, Prometeo� n. 164/23) - Viaggio critico, non privo di ironia, nei meandri personali e collettivi di un risentimento oggi egemone. - Viviamo nell'epoca della suscettibilit�. Sempre di pi�, da un po' di tempo a questa parte, siamo tutti pronti a offenderci per qualsiasi cosa, in qualsiasi luogo e momento della nostra vita, personale e collettiva: per il modo in cui quel film ha raccontato situazioni che potrebbero riguardarci, perch� quella trasmissione televisiva ha dimenticato la minoranza cui appartengo, per i toni irriguardosi di quella pubblicit�, per come il nostro capo gestisce il personale in ufficio, per i menefrego del governo e via dicendo, in un turbine di provocazioni e di offese, di allusioni e di insulti che finiscono per paralizzarci. La cosiddetta cancel culture vorrebbe essere difatti il passo successivo: dato che mi sto offendendo, o potrei offendermi per ogni dove e in ogni momento, dato cio� che sono costitutivamente suscettibile, c'� qualcuno che elimina preventivamente le ragioni di questa possibile offesa. Non si sa mai: meglio evitare. E cos�, eliminando ed eliminando, il panorama degli stimoli - intellettuali, morali, politici, estetici... - intorno a me si fa piatto e deserto. L'estrema sensibilit�, ossia la suscettibilit�, conduce non al conflitto perenne, alla tensione continua, come ragionevolmente potremmo immaginare, ma al suo contrario, alla pace perpetua, all'atarassia programmatica, all'ascesi forzata... Come dire all'elettroencefalogramma piatto. L'ampiezza e il numero dei settori per cui ci si offende cresce sempre di pi�. Prima era la religione, non pi� ascesa verso dio ma campetto di calcio sottocasa da custodire a tutti i costi. Sono religioso perch� credo in dio, e chi offende dio offende me? Oppure, viceversa, dato che mi offendo quando offendono dio, significa che credo in lui? Il palese paradosso �, a conti fatti, meno tale del previsto: si fa di tutto per acquisire uno straccio di personalit� riconoscibile, e quindi una giustificazione a posteriori della propria fede. Ma, dopo e accanto alla religione, altri settori sono entrati in campo, nel campetto di cui sopra: la morale (sempre meno comune e assai pi� individualistica), la sessualit� (fluida ed espansa anzichen�), l'identit� etnica (altra faccia del razzismo evergreen), la squadra di calcio (che in fondo � tutto me stesso), le timidezze del pargoletto adorato (come si permettono di chiedergli di studiare?)... Pi� siamo ipersensibili per tutto e per tutti, meno siamo portati a cogliere, e meno che mai a usare, il senso dell'ironia e ancora peggio dell'autoironia. Tutti seriosi, impettiti, un po' imbambolati. Meglio volere il nulla, diceva Nietzsche, piuttosto che non volere. Negli ultimi anni sono stati pubblicati diversi libri, saggi, articoli su questo fenomeno, e si son tenuti numerosi convegni e conferenze. La maggior parte di essi ha lavorato sulla questione dell'odio, sulle dinamiche relative agli insulti, sulle ragioni delle offese, andando in cerca delle parole che turbano la sensibilit� sociale, dei costrutti di frase, dei presupposti e degli stereotipi del sessismo, a caccia delle ragioni manco tanto segrete del politically correct. Altri, piuttosto, hanno insistito sui guasti del politically correct medesimo, sugli eccessi, le ridicolaggini, gli effetti di potere che il parlar potabile e la cancel culture portano con s�. Si invocano rivoluzioni linguistiche, riforme grammaticali, ricostituzioni della grafia e, conseguentemente, dell'ortografia, dove spesso si sovrappone il genere grammaticale (pura tassonomia paradigmatica che cambia da lingua a lingua) a quello sessuale (dove i giochini erotici divengono bandiera, e barriera, morale), come se - alla faccia della saussuriana arbitrariet� del segno - il sole fosse maschietto in Italia e femminuccia in Germania (per non parlare del valore e del metodo, rigorosamente dal lato delle signore in francese, pardon: in Francia...). Mi limito a segnalare, qui e ora, il bel libro di Stefano Bartezzaghi su questi temi, sinora troppo poco discusso, che si intitola Senza distinzione (People editore, 2022) e che esamina con grande lucidit� le conseguenze di un mondo, e di un linguaggio, senza pi� differenze e, diciamolo, gerarchie. Se il senso non si d� che per differenza in un sistema presupposto di relazioni (dinamicissime e cangianti ma comunque operative), eliminare le differenze poich� per principio eticamente deprecabili significa, appunto, volere il nulla piuttosto che non volere. Sono usciti anche dei libri che a monte, piuttosto di discutere il politically correct, si interrogano su quest'attuale, generale, ossessiva radicalizzazione della sensibilit� che � appunto la suscettibilit�, l'irritabilit�, la permalosit�. In Offendersi (Bollati Boringhieri, 2021) Remo Bassetti parla di un importante incremento della sensibilit� verso le discriminazioni sessuali o razziali, che ha progressivamente creato il diritto a offendersi in quanto appartenenti a una qualunque categoria. E racconta fra gli altri l'episodio di quell'allenatore di calcio che, rivendicando le sue scelte tattiche, una volta ha dichiarato che se avesse voluto avere una vita tranquilla avrebbe provato un concorso alle Poste - facendo tremendamente risentire le Poste stesse, che iniziarono a vantare i profitti aziendali in notevole crescita degli ultimi anni. Sempre nel 2021 in L'era della suscettibilit� (Feltrinelli) Guia Soncini ha inanellato centinaia di casi in cui ci si � inalberati alla minima cosa, mostrando le pochezze di tale carattere costitutivamente irritabile - che � poi il solito tentativo di costruire una qualche consistenza intorno all'io, inteso ovviamente come pronome (�io sono uno che non tollera blablabl�...�). Non mancano le giustificazioni ideologiche, dice Soncini, di questa suscettibilit� tanto diffusa quanto caricaturale, la quale passa anche per tutto un lessico che vorrebbe magnificarla, manco a dirlo rigorosamente in inglese: �� un glossario della neolingua di quest'epoca, quest'epoca in cui l'importante � appartenere a una categoria (representation matter, identity politics), l'importante � avere punti deboli (trigger warning), l'importante � offendersi e chiedere la testa (cancel culture) di chi ha osato violare la nostra zona senza traumi (safe space), l'importante � avere un repertorio di fragilit� che ci renda speciali ma eguali (me too), l'importante � fare capire con ogni parola che noi siamo nel Club dei giusti, siamo dalla parte dei buoni (virtue signaling)�. Da poco tradotto in Italia, infine, Sensibili. La suscettibilit� moderna e i limiti dell'accettabile (Nottetempo) di Svenja Flassp�hler, filosofa e giornalista tedesca che discute con fervore le contraddizioni del famigerato processo di civilizzazione ricostruito a suo tempo da Norbert Elias. Da una parte s'elimina la violenza, la sopraffazione, imparando a rispettare l'altro; d'altra parte queste acquisizioni portano a un indebolimento generale, a un'eliminazione delle pulsioni, a una fragilit� tossica. A una specie di istupidimento. Cos� l'autrice propone di distinguere due diverse facce della sensibilit�: la prima sarebbe una sensibilit� attiva, produttiva, sensata; la seconda invece passiva, eccessiva, straripante, dunque sintomo di immaturit�, d'incapacit� ad affrontare la vita. Quest'ultima �, appunto, la suscettibilit�. Un po' di conflitto tempera e riafferma, tanta pace rincretinisce. �Tutti mi odiano� Nello scorso mese di settembre si � tenuto a Urbino, organizzato dal Centro Internazionale di semiotica Umberto Eco, un seminario su questo tema, intitolato �Suscettibilit�, passione del nostro tempo�, curato da Isabella Pezzini e da chi scrive. Per la semiotica, scienza che studia i modi con cui si produce e si trasforma il senso umano e sociale, la questione si pone in termini di passioni, individuali e collettive, e prima ancora di narrazioni, dove gli affetti si mescolano ai valori e ai controvalori, alle prese di parola, ai giochi strategici e tattici dei gruppi e dei singoli. Capire al meglio la suscettibilit�, articolando la nebulosa di senso di cui � portatrice, � allora, forse, il miglior modo di smorzarla: ogni etica � sempre in qualche modo un'etichetta, e non c'� ragione che non presupponga una passione, un tumulto di euforie e disforie. Cos�, pi� che distribuire torti e ragioni, s'� trattato di ricostruire le condizioni di possibilit� di tutto questo, ovvero quel dispositivo passionale che genera la propensione a offendersi. Invertendo il punto di vista: non tanto esaminando enunciati come �io odio� ma concentrandosi su frasi come �tu mi odi�, �tutti mi odiano�. Del resto termini come suscettibile, permaloso, sensibile, ombroso, indignato, vittimista etc. (con i loro parziali equivalenti in altre lingue) non sono affatto sinonimi, non predicano tutti la stessa cosa e, per quel che hanno di comune, lo fanno insistendo ora su un aspetto ora su un altro di questa entit� che abbiamo chiamato nebulosa di senso. La sensibilit�, per esempio, � una passione durativa: � un modo di essere costante, mentre l'irritabilit� � puntuale, mica si pu� essere irritati tanto a lungo. Del resto, se l'indignazione � pi� che altro un problema morale (legata allo sdegno verso valori oltraggiati), dunque cognitivo, intellettuale, l'irritazione � semmai un fenomeno - relativamente metaforico - legato al corpo, o ancor meglio alla pelle, la quale, come insegna Didier Anzieu, � il luogo principe della profondit� di superficie della psiche, l� dove l'inconscio si d� a vedere prima e meglio che altrove. Quali allora le articolazioni e quali i confini di questa passione che, come l'essere per Aristotele, si dice in molti modi? Gli scritti gi� citati hanno indicato numerosi aspetti dell'attuale trionfo della suscettibilit�, i quali hanno a che vedere col nesso fra passioni e linguaggi, dunque intrinsecamente semiotici. Ne elenco alcuni in disordine sparso. Partendo dalla fine, in parte gi� ricordata � la morte dell'ironia o, a voler esser tecnici, dell'antifrasi, dunque della capacit� non tanto di enunciare una cosa sostenendo l'opposto ma, cambiando prospettiva, del capirlo. L'ironia, si sa, include chi la comprende ma esclude chi, prendendo alla lettera un discorso, non ne coglie l'inversione semantica. Il suscettibile non comprende questo meccanismo e si innervosisce se, per dire bianco, qualcuno dice nero - dove gi� l'emergenza dei colori � sufficiente per insospettire l'interlocutore. Alla mancata comprensione dell'ironia - segno di stupidit�, secondo pi� autori - si collega un secondo fenomeno retorico speculare al primo: quello della sovrainterpretazione (anch'esso, guarda caso, segno di mancata intelligenza). �Hai detto bianco ma volevi dire grigio, lo so, l'ho capito, inutile nasconderti...�. La sindrome del sospetto vince, portando a una terza conseguenza, che � la totale seriosit� (�quelli che aspettano il tram n� ridendo n� scherzando�, cantava Iannacci), dell'assoluta assenza di autoironia. Tutti a prendersi sul serio, a impettirsi sempre e comunque. Soncini parla a questo proposito di morte del contesto, evocando una generale incapacit� di comprensione dei processi comunicativi, se non una reale ignoranza circa i riferimenti taciti presenti in un (ogni) discorso - da cui, per esempio l'incapacit� di capire una battuta di spirito. Pi� in generale potremmo per� forse parlare, Kundera docet, di un'insostenibile leggerezza dell'essere. A tutto ci� si lega il vittimismo generalizzato, che porta, da un lato, a dar ragione all'oppresso per principio (su cui si veda il bel libro di Daniele Giglioli, Critica della vittima, Bompiani) e, dall'altro, alla caricatura di se stessi: �tutti mi odiano� � il ritornello di Charlie Brown. Vittimismo che � esito, a sua volta, di una iperconsiderazione di se stessi, di un sentirsi continuamente al centro dell'attenzione: �Ah, mi hai offeso!�. �Ma io veramente non parlavo di te e con te!�. Ancora: la suscettibilit�, o forse ancor meglio l'irritazione, � figlia, fra le altre cose, di una radicalizzazione, e di una relativa cancellazione, delle zone prossemiche. (Una rilettura delle vecchie pagine di Eduard Hall sul significato delle distanze sociali, o di Ervin Goffman sui rituali di interazione, sarebbe auspicabile). In ascensore siamo in tanti, e sfioro inavvertitamente il soprabito di una ragazza accanto a me: �Mi stai importunando�, esclama la donna, dimenticando che le distanze fra i corpi, e il necessario valicarle, si negoziano costantemente. Non la sto toccando, mi sono semplicemente scostato per far posto ad altri... Identit� e libert� Ulteriore questione legata alla suscettibilit� � l'ossessione identitaria a partire da segni stereotipi come il colore della pelle o dei capelli, l'altezza, il genere sessuale e simili, con tutte le contraddizioni del caso. Una frase come �io sono offeso perch� tu offendi i neri, e io sono nero� ne presuppone un'altra di tipo �a me importa di essere nero, mi riconosco in questo, e non tollero che offendendo i neri si offenda me�. Atteggiamento che � diametralmente opposto, come fa notare Soncini, al monito di uno come Martin Luther King, il quale diceva sempre: �Non potete ridurmi al fatto che sono un nero, perch� io sono un uomo, la mia soggettivit� non si esaurisce nel colore della mia pelle ma va ben oltre�; e cio�: �mi offendo non perch� sono nero ma perch� sono tanto altro che state dimenticando�. (Cosa che dovrebbe far riflettere, per restare nell'ambito cromatico, i sostenitori delle cosiddette quote rosa: le donne assumono ruoli apicali perch� donne o perch� competenti?). Tutto ci� porta, quasi automaticamente, alla cancellazione della libert� di espressione: aumentano i casi di censura preventiva, lessicale o testuale, sino ad arrivare alla gi� citata cancel culture ma anche all'autocensura: �Io e te sappiamo che le cose stanno cos�, che le quote rosa (per esempio) sono pi� un problema che una soluzione, ma non lo possiamo dire�. Si sar� notato che, nel corso di queste pagine, ho preferito fare esempi astratti piuttosto che riportare casi reali concreti: � perch� mi preoccupo di essere frainteso, d'esser considerato una persona poco sensibile, perch� temo che il mio esempio non venga considerato come enunciato argomentativo (de dicto) ma come enunciato al grado zero (de re). Cos�, il libro di Soncini (e se dicessi �della Soncini�?... ingiuria gravissima!) � pieno di espressioni come �non si pu� dire�, �non si poteva dire�, �non si pu� pi� citare�, �tutto questo io non l'ho detto� che, se nel suo caso suonano un po' enfatici, sono comunque la spia di una situazione generale per la quale tante cose effettivamente non si possono pi� dire, � meglio non dirle, se le dico mi massacrano eccetera: l'ansia dell'offesa provoca l'ansia dell'offendere... Infine, un problema di autoriflessivit�: il suscettibile sa di esser tale? O lo nega in continuazione? Esiste un'autoanalisi possibile del suscettibile? Per rispondere, e chiudere, abbozziamo una prima lettura comparativa di alcune definizioni che i dizionari danno dei termini che ci interessano. Apprendiamo cos� che, secondo il Devoto-Oli, la sensibilit� � una �particolare attitudine a risentire gli effetti anche pi� insignificanti di una condizione affettiva o emotiva�; la suscettibilit� � invece �eccessiva e ombrosa sensibilit� verso tutto ci� che sembri rappresentare un giudizio critico nei propri riguardi�; laddove l'ombroso � un tipo �triste e malinconico�, e il malinconico un personaggio �penosamente inquieto�. Analogamente il celebre dizionario di Battaglia definisce suscettibile qualcuno che �ha tendenza a indispettirsi o a offendersi in modo sproporzionato rispetto alle circostanze, permaloso�, e a sua volta il permaloso come qualcuno �che ha facile tendenza a indispettirsi, irritarsi, risentirsi col prossimo, in maniera per lo pi� sproporzionata alle circostanze, ai fatti, alle persone�. La situazione � dunque abbastanza semplice, e riafferma l'idea che la passione, qualunque passione, non � mai singola, personale, intima, ma intrinsecamente intersoggettiva, collettiva, sociale. Nel caso specifico, nella configurazione della suscettibilit� e dei suoi parasinonimi possiamo rilevare la presenza di tre diversi soggetti: l'offeso, l'offensore e un osservatore esterno. Non si spiegherebbe altrimenti l'idea per cui la suscettibilit� � una sensibilit� eccessiva, sproporzionata, fuori misura. Eccessiva rispetto a una scala di valori condivisa che qualcuno - che non � n� l'offeso n� l'offensore - applica alla situazione giudicandola, appunto, sproporzionata, fuori scala. Da una parte c'� dunque l'offeso, che si sente tale �a ragione�, rivendicando cio� le motivazioni di tale offesa; dall'altra c'� l'offensore, il quale dice o fa una cosa x che offende il primo soggetto senza averne necessariamente consapevolezza, anzi spesso non avendola per nulla; da un'altra ancora c'� un virtuale osservatore che assiste alla scena, giudicando eccessiva la reazione dell'offeso, considerando dunque l'offesa stessa come sproporzionata, ossia fuori misura (dove, si sa, la categoria eccesso/insufficienza � insieme etica ed estetica). � solo quest'ultimo, l'osservatore esterno (spesso delineato come una collettivit� pi� o meno anonima, magari con un portavoce) a dettare il canone della suscettibilit�, a configurarla col suo giudizio, a farla esistere. L'offeso non dir� mai di essere suscettibile; se lo facesse, ridurrebbe assai le sue ragioni, le farebbe sgonfiare. Come lo stupido, il suscettibile non ammetter� mai di essere tale e, per questo, lo sar� ancora di pi�, in una specie di escalation che � costitutiva della suscettibilit�: il suo essere sempre al di l� di ogni ragionevolezza. Dal canto suo l'offensore � il pi� delle volte incosciente del senso di ci� che (per l'offeso) sta facendo o dicendo. � l'osservatore dunque, a partire dalle sue moralizzazioni, a determinare se, quando e come c'� suscettibilit�. Il problema emerge, nel caso relativo della nostra epoca, quando un sentimento puntuale, momentaneo, come la suscettibilit� diviene durativo, costante, continuato nel tempo e nello spazio. Con l'era della suscettibilit� difatti non c'� solo una amplificazione quantitativa della passione ma anche una differente moralizzazione. A essere offeso � il collettivo, non l'individuale; di modo che, se siamo diventati tutti suscettibili, nessuno lo sar� pi�. L'osservatore � messo a tacere, resta senza parole (�non si pu� dire�), dunque scompare, e con lui, in generale, la suscettibilit�. Che sfortuna: proprio quando aveva preso il potere. Lo sterminatore di Auschwitz (di Claudia Giammatteo, �Focus Storia� n. 209/24) - Ritratto di Rudolf H�sse, il comandante del campo di sterminio pi� grande della Storia, ora al centro di un film. - Doveva diventare sacerdote. Suo padre, Franz Xaver H�ss, un piccolo commerciante di Baden-Baden, aveva cercato di trasmettergli dall'infanzia la sua bigotta religiosit�. Forse, se ci fosse riuscito, oggi nessuno parlerebbe di Rudolf H�ss, il criminale nazista responsabile della pi� terribile macchina di morte mai concepita da mente umana - Auschwitz - e in questi giorni al centro di un film che riporta in primo piano quella �banalit� del male� cos� bene descritta dalla filosofa Hannah Arendt. Dopo lo scoppio della Grande guerra, nel 1917, a soli 16 anni, Rudolf H�ss (1901-1947) part� volontario nel 21� reggimento dei Dragoni di Baden, combattendo sul fronte iracheno. Quando torn� a casa, decorato con la Croce di ferro, era un uomo e un soldato. Nel clima del dopoguerra, nella Germania sconfitta e umiliata, H�ss faticava a reinserirsi nella vita civile. Si arruol� nei Freikorps Rossbach, corpo paramilitare di volontari cui erano affidati compiti di repressione nella Repubblica di Weimar. Era solo l'inizio. A 23 anni, gi� iscritto al partito nazista, venne implicato nell'omicidio politico di un ex maestro elementare, Walther Kadow, colpevole di avere denunciato il nazista Leo Schlageter. Fu condannato a dieci anni di carcere e chiuso nel penitenziario di Brandeburgo, che giudic� �una vera scuola di delinquenza�. Era un detenuto modello, la durezza del regime carcerario gli si confaceva, e gli fece maturare il suo principio morale: �Le direttive sono buone per definizione e vanno eseguite coscienziosamente�. Amnistiato dopo sei anni, per un istante gli apparve un futuro diverso. Assunto in un'azienda agricola, spos� la giovane Edwig Hensel, sognando di metter su con lei una fattoria. Ma le cose andarono diversamente. Dopo avere aderito alla Lega degli Artamani, al grido �Sangue e terra� (Blut und Boden), conobbe Heinrich Himmler, Reichsf�hrer delle SS, che gli propose di farne parte. La paga era buona, l'impunit� garantita. H�ss accett�. Dopo la nomina di Hitler a cancelliere del Reich (30 gennaio 1933), l'entusiasmo di H�ss era alle stelle. Fu assegnato a compiti di polizia del �lager modello� di Dachau, in Baviera, destinato alle detenzioni di massa alternative alla prigione. Fece una rapida carriera. Divenne capo di un blocco di prigionieri, poi coordinatore e infine aiutante di campo. Il 1� settembre 1939, quando la Germania invase la Polonia, lui era gi� capo del campo di concentramento di Sachsenhausen. E accett� felice la nomina a comandante di un nuovo campo in costruzione: quello nei pressi della sconosciuta cittadina polacca di Oswiecim (Auschwitz in tedesco). Fu lui, nel maggio 1940, a far cominciare i lavori di costruzione presso un'ex caserma dell'artiglieria polacca e, in tempi record, ad accogliere il successivo 14 giugno il primo �carico� di 728 prigionieri politici polacchi ed ebrei deportati su ordine della polizia di sicurezza di Cracovia. Ma era solo la prima fase. Quando, il 1o marzo 1941, Himmler fece il primo sopralluogo, si congratul� con lui e gli prospett� scenari ancora pi� ambiziosi. Lo incaric� di espandere il campo in vista dell'arrivo di grandi ondate di prigionieri. �Himmler aveva in mente una capacit� di 100.000 internati. Erano numeri sconosciuti alla storia dei campi di concentramento�, scriver� H�ss nel memoriale Il Comandante di Auschwitz. Dietro quei numeri c'era un disegno strategico: �Auschwitz doveva diventare un'immensa fabbrica di armamenti, occupando i prigionieri�. Ligio agli ordini ricevuti, H�ss inizi� la costruzione dei campi di Birkenau, a tre chilometri da Auschwitz, e di Monowitz, fornendo manodopera per le industrie tedesche. I prigionieri pi� sani e robusti erano destinati ai lavori forzati, quelli deboli o malati venivano subito eliminati. Dopo l'invasione nazista dell'Unione Sovietica (22 giugno 1941), H�ss ricevette da Himmler una direttiva ancora pi� mostruosa. Auschwitz doveva diventare �il pi� grande centro di sterminio di tutti i tempi�. H�ss non ne fu turbato. In Polonia c'erano gi� campi di sterminio a Nelzec, Treblinka, Wolzek. Il problema era semmai trovare un metodo di sterminio efficiente. La soluzione scelta a Treblinka, il monossido di carbonio prodotto da motori diesel, gli pareva artigianale. E voleva evitare demoralizzanti bagni di sangue: �Le fucilazioni mi atterrivano soprattutto pensando alle masse, alle donne e ai bambini�. Nel settembre 1941 il suo sostituto Karl Fritzsch trov� la soluzione, lo Zyklon B: �un preparato di acido prussico usato al campo per la disinfestazione dei parassiti e che si trovava in grandi quantit�. Il �collaudo� avvenne su 900 prigionieri sovietici. Come racconter� H�ss, �i russi vennero fatti spogliare ed entrarono tranquillamente nella sala in cui era stato detto loro che sarebbero stati spidocchiati�. Dalle aperture del soffitto lo Zyklon B veniva gettato in palline all'interno. �Si lev� un ruggito. Cercarono di forzare le porte, che non cedettero�. Dopo mezz'ora di silenzio vennero aperte le porte. �Per la prima volta vidi grandi quantit� di cadaveri gasati. Avevo immaginato un orribile soffocamento, ma i cadaveri non mostravano tracce di contrazione o spasimi. I medici mi spiegarono che l'acido prussico agiva sui polmoni con un effetto paralizzante�: H�ss ne fu sollevato. �Provai un gran conforto, perch� a breve avrebbe dovuto cominciare lo sterminio in massa degli ebrei�. Dal 1942 alla fine del 1944 arrivarono quasi ogni giorno treni carichi di ebrei provenienti dai Paesi europei occupati da tedeschi o loro alleati. Le 250 baracche potevano ospitare 300 prigionieri ciascuna e le quattro camere a gas di Birkenau erano in grado di uccidere 2 mila internati alla volta. I forni crematori lavoravano a ciclo continuo. �Mentre gli ebrei dei primi anni contavano sulla possibilit� di essere rilasciati, ora sapevano di essere destinati a morire. E il crollo spirituale affrett� il crollo fisico�, scrive H�ss. �Questa � Auschwitz. Qui non riuscirete a vivere a lungo, ci dicevano. E continuavano a correrci dietro e picchiarci�, ricorder� il sopravvissuto Morris Kornberg. �Quando arrivarono gli ebrei di Salonicco, le SS consegnarono cartoline a tutti perch� le spedissero ai parenti, scrivendo �i tedeschi ci trattano bene, aspettiamo il vostro arrivo�. Intere famiglie si presentarono chiedendo di raggiungere i loro congiunti�, testimoni� invece Marie-Claude Vaillant-Couturier. Trasferito all'Ufficio centrale ed economico delle SS di Berlino alla fine del 1943, H�ss torn� ad Auschwitz nel maggio 1944 per l'operazione Ungarn-Aktion, detta Aktion H�ss, ovvero l'eliminazione di 400 mila ebrei ungheresi in soli tre mesi. �Era mio dovere assistere quando bruciavano i cadaveri ed estraevano i denti d'oro, nonostante la puzza orribile. Ero colui al quale tutti guardavano�, dichiarer� in seguito H�ss. Poi, finalmente, le vittorie degli Alleati riaccesero le speranze. Nell'inverno del 1944 le SS ordinarono di sfollare i campi e distruggere il Totenbuch (il �libro dei morti� con le cifre dello sterminio). Auschwitz fu evacuato dalle SS il 17 gennaio 1945 e liberato dai sovietici il 27 dello stesso mese. Dopo un tentativo di fuga, il boia di Auschwitz fu catturato l'11 marzo 1946 dai britannici. Un mese dopo, al processo di Norimberga firm� una sconvolgente confessione: �Dichiaro che durante il periodo in cui ero comandante milioni di ebrei furono messi a morte nelle camere a gas e mezzo milione eliminato con altri mezzi�. La sua testimonianza resa all'avvocato Kurt Kauffman fu agghiacciante. �� vero che i forni lavoravano senza sosta?�. �S�. �� vero che nelle camere a gas finivano anche i bambini appena nati?�. �S�. �Non ha mai sentito piet� per queste vittime?�. �Quello che contava sopra ogni altra cosa era l'ordine di Hitler�. Trasferito in Polonia e condannato a morte dalla Corte suprema di Varsavia, H�ss fu impiccato ad Auschwitz il 16 aprile 1947. �Come invidio i miei camerati cui � toccata la morte onorevole del soldato�, scrisse durante la detenzione. Non si pent� mai. �Ero diventato un ingranaggio della grande macchina di sterminio del Terzo Reich. La macchina si � spezzata, e anch'io devo morire. Il mondo lo esige�. L'Eden al di l� del muro Gite in barca, t� con le amiche, passeggiate in bicicletta, bagni in piscina e pic-nic sui prati. � un paradiso terrestre alle soglie dell'inferno quello descritto nel film La zona d'interesse di Jonathan Glazer (al cinema dal 22 febbraio, distribuzione I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection). Basato sull'omonimo romanzo di Martin Amis �, infatti, incentrato sulla vita felice e �normale� del comandante Rudolf H�ss (Christian Friedel), della moglie Hedwig (Sandra H�ller) e dei tre figlioletti nella villetta fiorita confinante con le mura del lager di Auschwitz. Una surreale �dolce vita� confermata dai racconti del vero Rudolf H�ss: �La mia famiglia stava bene, i bambini vivevano all'aperto, mia moglie aveva l'uso di un giardino fiorito�. Nel film, gli orrori della vicina fabbrica di morte sono evocati da suoni e visioni macabre in sottofondo: il rumore delle mitragliatrici, le grida degli aguzzini e degli internati, il fumo nero delle ciminiere dei forni crematori. Nella routine quotidiana, il lager � ignorato, come fosse invisibile o persino lecito. La villetta degli H�ss diventa cos� il teatro della rimozione dei crimini nazisti. �Se viviamo l'Olocausto come qualcosa che appartiene al passato la storia potrebbe ripetersi. L'obiettivo del film � proprio quello di farci capire che �, invece, qualcosa di presente�, sottolinea il regista Glazer. �Le persone in questo film non erano mostri, lo sono diventati gradualmente perch� hanno smesso di pensare e abdicato alle loro responsabilit� morali. Se ci dissociamo dalla sofferenza altrui potremmo diventare come loro�. - Il suo � un film totale da vivere in immersione con tutti i sensi, soprattutto l'udito. Ci spiega questa scelta? �In realt� i film sono due: uno � quello che vedi, l'altro � quello che ascolti. L'esperienza completa � nell'intersezione tra le due, ma quello che volevo comunicare � che in questo caso le orecchie sono pi� importanti degli occhi. Non vedi mai il dolore, ma questo ti arriva pi� potente proprio perch� non lo vedi, ne percepisci l'atrocit� attraverso l'udito e, per contrasto, come in uno specchio, attraverso la vita noiosamente normale di questa famiglia che vive oltre il muro�. - Che tipo di tecniche ha usato per rendere questo film un'esperienza totale? �Ho creato un set a 360 gradi, usando un vero giardino, una vera casa, un vero muro. Ho girato con luce naturale quasi l'intero film. Volevo mettere gli attori nelle condizioni di girare le scene in una sola ripresa. Ho creato un contesto in cui addentrarsi, piuttosto che tante piccole scene. E poi ho usato 10 macchine da presa contemporaneamente, un sistema multicamera che permette di riprendere da pi� angolazioni e in un movimento continuo senza dover interrompere la recitazione. Cos�, mentre H�ss parla, intravedi la moglie che cammina, la cameriera che attraversa il corridoio, senti i bambini che giocano, la vita vera ritratta nella sua ordinariet� e surreale regolarit�, per un contrasto che non si vede ma senti soltanto. Questo rende tutto pi� intollerabile�. - All'inizio del film, la prima sequenza sembra molto attuale, sembra che sia qui e ora, con quei ragazzi che potrebbero essere neonazisti di oggi... �� assolutamente intenzionale. Quella famiglia e quei giovani sembrano vivere nella serenit� e nella convinzione che vinceranno la guerra. La moglie a un certo punto dice al marito: �Quando questa guerra sar� finita noi coltiveremo questa terra�. � convinta che ci sar� un futuro vittorioso. Quello che ho messo al centro del film � il fatto che erano fondamentalmente come noi: volevano una bella casa, un giardino, dei figli sani e forti, volevano il riconoscimento sociale, uno status presso gli amici e avanzamenti di carriera, proprio come noi. Ho sempre pensato che fossero dei mostri, ma quello che ho scoperto studiando e documentandomi � che non erano mostri, erano esattamente come noi e le atrocit� che hanno commesso sono atrocit� cui sono arrivati piano piano, gradualmente. Potremmo finire anche noi cos�, potremmo diventare come loro�. Il canto del cigno (di Alessandro Borelli, �Focus Storia� n. 208/24) - La venerazione di Giuseppe Verdi per Alessandro Manzoni, che per il suo idolo scrisse e diresse, 150 anni fa, la Messa da Requiem. - La notizia piomb� a Sant'Agata, in casa Verdi, sul finire di maggio del 1873 e ne sconvolse l'abitudinaria quiete: il 22 precedente, nella sua abitazione di Milano a due passi dal Teatro alla Scala, si era spento, a 88 anni, lo scrittore Alessandro Manzoni, gi� da vivente considerato un �monumento� della cultura e un faro del Risorgimento italiano. Fatali erano stati i postumi di una caduta, avvenuta il 6 gennaio di quello stesso anno, sulle scale della chiesa di San Fedele, dove si era recato per la messa; insuperabile il dolore per la scomparsa, il 28 aprile, del figlio primogenito Pier Luigi, che aveva rapidamente aggravato la debolezza del corpo e la progressiva fragilit� della mente. La morte di Manzoni, che ferm� Milano fino ai solenni funerali celebrati in Duomo una settimana pi� tardi, alla presenza delle massime autorit�, fra cui il futuro sovrano Umberto I, port� dolore e sgomento anche alle porte di Busseto, a Villanova sull'Arda, nella Bassa Piacentina, dove dal 1851 Giuseppe Verdi aveva costruito, mettendo personalmente mano ai progetti esecutivi, il suo buen retiro lontano dai clamori mondani del capoluogo lombardo, e non solo. Fu lo stesso Verdi a dare testimonianza della propria partecipazione al lutto di una citt� e della nazione, da poco unita. Il �cigno�, come i contemporanei l'avevano soprannominato per la forza dolce e prorompente al tempo stesso della sua musica, non ebbe cuore di prendere parte alle esequie, ma scrisse, in un'accorata lettera alla contessa Clara Maffei (1814-1886) nel cui salotto il �culto laico� di Manzoni era assiduamente praticato: �Ai funerali io non era presente, ma pochi saranno stati in questa mattina pi� tristi e commossi di quello che era io, bench� lontano. Ora tutto � finito! E con Lui finisce la pi� pura, la pi� santa, la pi� alta delle glorie nostre. Molti giornali ho letto. Nissuno ne parla come si dovrebbe. Molte parole ma non profondamente sentite. Non mancano per� i morsi. Persino a Lui!... Oh, la brutta razza che siamo!�. La conoscenza tra Verdi e Clara Maffei non era superficiale. Il compositore, per quanto refrattario alle serate in societ� e assai pi� a suo agio nella campagna emiliana - dove, accanto all'alacre attivit� di musicista, non disdegnava d'interessarsi di agricoltura, di architettura (la tenuta di Sant'Agata fu da lui personalmente adattata alle esigenze abitative) tanto quanto di filantropia - intratteneva con la contessa un rapporto di stima e vicinanza cordialmente ricambiato. Bergamasca d'origine, e trasferitasi a Milano all'inizio degli anni Trenta dell'Ottocento, Clara Maffei era dotata di grande acume ed era sensibile alle spinte verso l'Unit� d'Italia che, crescenti, attraversavano il suo tempo. La nobildonna ebbe un ruolo fondamentale nella fase decisiva del Risorgimento. Nella sua casa - che ospit� anche lo scrittore francese Honor� de Balzac il quale, di quegli incontri, ricordava: �Avrei dato dieci anni della mia vita per essere amato da lei per tre mesi� - entrarono gli intellettuali e i patrioti pi� vivaci, da Massimo d'Azeglio a Tommaso Grossi, da Francesco Hayez a Cesare Correnti, da Carlo Cattaneo ai fratelli Emilio ed Enrico Dandolo, protagonisti, questi ultimi, delle Cinque giornate di Milano (18-22 marzo 1848). Ospite atteso e acclamato fu sempre Alessandro Manzoni. Il salotto della Maffei, uno spazio dove i fatti del giorno (cronaca, politica, cultura, pittura, letteratura e musica) venivano analizzati e dibattuti, apr� invece le porte a Giuseppe Verdi nel 1842, sull'onda del successo ottenuto alla Scala dall'opera Nabucco. Insieme al compositore vi ebbe accesso anche il soprano Giuseppina Strepponi (1815-1897), unitasi a lui, da poco rimasto vedovo della prima moglie, Margherita Barezzi, e destinata ad esserne, oltre che consorte (chiacchierata dalle malelingue), confidente, consigliera e persino amministratrice. Verdi non fu mai parco nel mostrare la sua profonda ammirazione per Alessandro Manzoni. I promessi sposi, che aveva letto nel 1835, gli suscitarono una forte impressione, tanto da fargli appuntare: �Secondo me, ha scritto non solo il pi� gran bel libro della nostra epoca, ma uno dei pi� grandi libri che siano mai usciti da cervello umano. E non � solo un libro, ma una consolazione per l'umanit�. Verso lo scrittore, la venerazione del compositore rasentava l'idolatria: lo defin� �l'unico Santo del mio calendario�. Pi� di un riconoscimento, se si considera che il �cigno� era assai distante dalla fede, con rigori interiori prossimi alla miscredenza. Giuseppina Strepponi, invece, profondamente religiosa, arriv� a vagheggiare che un incontro con Alessandro Manzoni avrebbe potuto schiudere a Verdi una diversa prospettiva sulla fede. Ma si dovette arrendere: persino il medico Cesare Vigna, tra gli amici pi� cari del musicista, avrebbe constatato l'impossibilit� di �scemare quel vuoto doloroso, quel crudele scetticismo�. Resta il fatto che, forse per il carattere chiuso e schivo di Verdi che gli valse pure il soprannome di �l'orso di Busseto� o forse per la sua abitudine a ritirarsi sempre pi� spesso a Sant'Agata, nonostante la comune familiarit� con Clara Maffei il vero e proprio colloquio tra i due, e da entrambi intensamente atteso, tard� a lungo. In effetti, tra Verdi e Manzoni le differenze c'erano e non erano marginali, non solo circa le questioni di fede. Come ha rilevato lo storico Adalberto Scarlino in uno studio dedicato: �Guardiamo alla loro opinione in merito ai contadini: Manzoni li teme, addirittura si preoccupa che il contadino che diventi capace di leggere, scrivere, commentare, non abbia pi� la voglia necessaria per lavorare la terra! Verdi, invece, vuol combattere l'ignoranza (dei contadini e anche dei proprietari), che - � convinto - crea difficolt� e limiti all'impegno del lavoro e quindi al rendimento delle terre: �Contadini testoni; e lo saranno ancora... finch� non si trover� modo di dar loro un po' di istruzione e migliorare la loro condizione�, cos� scriver�, sempre a Clara Maffei, nell'ottobre del 1876�. Tuttavia, i sentimenti condivisi di amore patrio, di anelito alla libert� e di disprezzo verso gli abusi dei potenti, uniti al livello altissimo dell'ispirazione artistica, divennero il tessuto comune che pot� unirli pi� delle divergenze. Lo ha spiegato bene il critico musicale Rubens Tedeschi: �Per vie diverse, il melodramma verdiano, il romanzo e le tragedie manzoniane tendono a un medesimo fine: la creazione di un linguaggio nazionale e popolare, capace di parlare a tutti gli italiani, colti e incolti, abbattendo le barriere di censo e di classe�. Il primo approccio concreto, sebbene ancora a distanza, avvenne nel 1867: Clara Maffei present� allo scrittore Giuseppina Strepponi, suscitando l'invidia e persino la commozione del consorte. Manzoni, per�, nell'occasione gli invi� un suo ritratto accompagnato da una dedica affettuosa: �A Giuseppe Verdi, gloria d'Italia, un decrepito scrittore lombardo�. L'immagine trov� un posto d'onore nella residenza di Villanova sull'Arda e fu il preludio al successivo incontro. Le parole indirizzategli turbarono nel profondo la �gloria d'Italia�. La cronaca �, ancora una volta, nella lettera che la Strepponi scrisse alla contessa il 21 maggio 1867: �Egli divent� rosso, smorto e sudato; si cav� il cappello, lo stropicci� in modo che per poco non lo ridusse in focaccia. Pi� (e ci� resti fra noi) il severissimo e fierissimo orso di Busseto n'ebbe pieni gli occhi di lacrime�. I buoni uffici della Maffei furono decisivi per rimuovere gli ultimi impedimenti all'atteso appuntamento. Manzoni, gi� ottuagenario, ricevette il musicista nella sua abitazione di Milano il 30 giugno 1868. Verdi era poco pi� che cinquantenne, ormai una vera �superstar� della musica, famoso ovunque e primo contribuente del Regno d'Italia, cio� l'uomo che guadagnava di pi� e pagava pi� tasse in tutto il Paese. Nessun resoconto � rimasto riguardo a ci� che si dissero. Pochi giorni dopo, fu tuttavia lo stesso Verdi a ripercorrere per lettera, ancora con Clara Maffei, l'intensit� di quei momenti: �Cosa potrei dirvi di Manzoni? Come spiegarvi la sensazione dolcissima, indefinibile, nuova, prodotta in me, alla presenza di quel Santo, come voi lo chiamate? Io mi gli sarei posto in ginocchio dinanzi, se si potessero adorare gli uomini... Quando lo vedete, baciategli le mani per me e ditegli tutta la mia venerazione�. Non si sarebbero rivisti mai pi�. Per� il 19 marzo 1869, onomastico del compositore, lo scrittore non manc� di fargli arrivare un'altra dedica: �A Verdi, Alessandro Manzoni, eco insignificante della pubblica ammirazione pel grande maestro e fortunato conoscitore personale delle nobili ed amabili qualit� dell'uomo�. Il biglietto giunse nelle mani di Verdi a Genova, durante un pranzo ufficiale. Circol� fra i commensali e, come raccontano i biografi, passando di mano in mano parve, a un certo punto, che si fosse smarrito, o fosse stato sottratto da qualcuno. Verdi non trattenne l'ira finch� Giuseppina Strepponi non lo trov� lasciato su una specchiera. Riconsegnandoglielo, gli disse: �Siete pregato di credere che tra i vostri ospiti non vi sono ladri�. Ma Verdi, in cui non s'era calmata l'agitazione, rispose prontamente: �Ma io vi confesso che per un autografo del Manzoni mi farei anche... ladro!�. 150 anni fa, la prima della Messa da Requiem Giuseppe Verdi non volle che il suo omaggio accorato alla memoria di Alessandro Manzoni rimanesse limitato ai formalismi di rito. Il 3 giugno 1873, pertanto, si offr�, con una missiva indirizzata all'editore musicale Ricordi, di �mettere in musica una Messa da morto� per �dimostrare quant'affetto e venerazione ho portato e porto a quel Grande che non � pi��. L'iniziativa, in verit�, non era inedita: nel 1868, scomparso Gioacchino Rossini, lo stesso Verdi aveva avuto l'idea di un Requiem scritto a pi� mani con altri compositori. Il progetto era poi naufragato e nell'aprile 1873 Ricordi aveva restituito al maestro lo spartito del Libera me, Domine, la parte che, dell'ipotizzata Messa per Rossini, gli era stata assegnata. Fu lo spunto utile per la scrittura, da parte di Verdi, della grandiosa Messa da Requiem, che resta uno dei suoi capolavori assoluti e che si trasform� subito in un successo capace di varcare i confini nazionali. Con queste parole, del resto, il musicista l'aveva annunciata a Ricordi: �La Messa avrebbe proporzioni piuttosto vaste, ed oltre ad una grande orchestra ed un grande coro, ci vorrebbero anche (ora non potrei precisarli) quattro o cinque cantanti principali�. E cos� fu. Verdi medesimo volle dirigerla, nel primo anniversario della morte di Manzoni, il 22 maggio 1874, nella chiesa di San Marco a Milano. L'esecuzione fu poi replicata, il 25 successivo, alla Scala. La sera della premi�re, nella citt� lombarda furono affissi manifesti pubblici per regolare il traffico delle carrozze, nel timore di ingorghi e assembramenti. Di quelle serate, il compositore conserv� sempre, in una teca a Sant'Agata, i guanti bianchi che indossava e che non volle pi� usare. In seguito, a testimonianza dell'indissolubile legame con la memoria dello scrittore, tra i molti brani vocali composti e da lui destinati al rogo, decise di conservare soltanto i Cori delle tragedie manzoniane a tre voci e Il Cinque Maggio a una voce sola. �� strano�, scriveva, �io, timidissimo un giorno, ora non lo sono pi�: ma avanti a Manzoni mi sento cos� piccolo (e notate bene che sono orgoglioso quanto Lucifero) che non trovo mai o quasi la parola�.