Maggio 2024 n. 5 Anno IX Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice Il carcere del futuro Il cervello � un cosmo da esplorare La doppia vita di Mister Frith Un secolo di �Rhapsody in Blue� Il carcere del futuro (di Carlo Alberto Romano, �Prometeo� n. 164/23) - Un insieme di osservazioni generali sulle teorie e le prassi della carcerazione. Nella convinzione argomentata che affidare solo alla �galera� l�esecuzione della pena possa essere inutile. E forse anche controproducente. - Oscar Wilde, uno che di carcere, malgr� soi, se ne intendeva, scrisse: �Il sistema carcerario � completamente e assolutamente errato. Darei qualsiasi cosa per poterlo mutare una volta uscito di qui�. Non era il primo, a pensarla cos�. Il pensiero critico sul carcere si svilupp� alla fine del Settecento, muovendo e consolidandosi dall'Inghilterra verso vecchio e nuovo mondo, come dimostrano i diversi modelli succeduti al panopticon benthamiano (il modello penitenziario al cui centro vi era un posto di guardia, in modo che ogni detenuto sapesse di essere sorvegliabile in ogni momento e che consentiva, al contempo, di diminuire gli uomini impiegati nella custodia). Anche il nostro Paese intraprese un cammino lungo e articolato; dai cupi regolamenti ottocenteschi (�Noi crediamo di aver abolito la tortura, e i nostri reclusori sono essi stessi un sistema di tortura�, diceva infatti Filippo Turati il 18 marzo 1904 alla Camera dei Deputati) - cos� ben raffigurati dal macchiaiolo Telemaco Signorini, nel suo Bagno penale a Portoferraio del 1894 - il concetto di pena venne declinato in quella completa separatezza fra il dentro e il fuori, che il ventennio fascista si guard� bene dal mettere in discussione. Sar� la Costituzione repubblicana e la visione illuminata e competente dei padri costituenti, molti dei quali avevano dovuto subire sulla propria pelle una repressione privativa della libert�, che dar� vita al terzo comma dell'art. 27 e all'idea che alla pena dovesse competere uno scopo pi� nobile della mera afflizione, quello della �rieducazione" del condannato (concetto oggi trasferibile in risocializzazione, inclusione, riabilitazione). Magari il fatto che i Costituenti avessero parlato di pene, al plurale, senza nemmeno citare il carcere, qualche riflessione in pi�, avrebbe dovuto generarla. Ma l'idea carcerocentrica del sistema penale ormai si era stabilizzata e nessuno l'avrebbe pi� scalzata negli anni a seguire. Passeranno altri trent'anni prima di veder concretizzata l'indicazione della Carta, e con non poche titubanze. La Riforma penitenziaria, la L. 354 del 1975 nacque infatti come compromesso fra istanze garantiste e timore di non disporre pi� di strumenti deterrenti. Rester� comunque una pietra miliare nel panorama internazionale delle normative penitenziarie, per alcune delle quali, soprattutto dopo le aperture della �Gozzini", di una decina di anni seguente, diverr� palesemente fonte di ispirazione. L'idea centrale, innovativa, dirompente, era che il carcere dovesse rispondere ai bisogni del reo, evidenziati e rilevati grazie a un lavoro �scientifico" (aggettivo voluto dal Legislatore) di valutazione della sua personalit�. Bellissimo. Giustissimo. La legge colmava quel vuoto che aveva fatto scrivere a Settembrini: �Quando entrai nell'ergastolo gli uomini che qui sono mi facevano orrore, dopo alquanti giorni mi fecero piet�. Sono scellerati, s�: ma perch� sono scellerati? O voi che fate le leggi, e che giudicate gli uomini, rispondetemi e dite: �Prima che costoro fossero caduti nel delitto, che avete fatto voi per essi?��. E fu cos� che ci illudemmo di aver trovato la risposta definitiva all'annoso problema dell'autore di reati: un castigo impregnato di strumenti riabilitativi. Qualche voce dissonante avrebbe dovuto metterci in guardia, come quella di Bobbio, alla luce dei fatti rivelatasi profetica, quando scriveva che �Il carcere modello non esiste e non pu� esistere: perch� i due fini della reclusione, l'intimidazione e l'emenda sono incompatibili. Un carcere tanto pi� adempie alla sua funzione deterrente quanto pi� � duro. Ma quanto pi� � duro, tanto meno � atto a correggere, a trasformare un delinquente in un buon cittadino�. Non � certo facile, ma credo non sia neppure indispensabile, riassumere mezzo secolo di illusioni e delusioni del sistema carcerario, costantemente sospeso fra aperture riabilitative e clamorose (convintamente uso questo aggettivo, giacch� il Legislatore reazionario confida assai pi� del Legislatore riformista nel clamore mediatico) chiusure, pi� o meno conseguenti ad eclatanti fatti di cronaca; occorrerebbe, d'altra parte, richiamare l'imbarazzante asimmetria narrativa esistente fra le grida conseguenti ad alcuni episodi (esecrabili, sia chiaro) coinvolgenti responsabilit� di persone in esecuzione penale e le silenziose, quotidiane condotte, delle molte persone che, invece, rispondono positivamente alla fiducia loro accordata. Alcuni problemi, tuttavia, non si possono ignorare. Il primo, forse il pi� conosciuto anche ai non addetti ai lavori, � il problema dell'affollamento del carcere, oggettivamente un grosso problema se, in pi� occasioni, ha indotto la Corte Europea dei Diritti Umani a emettere pesanti condanne nei confronti del nostro Paese e del suo sistema carcerario. I numeri, impietosamente, parlano chiaro. Nonostante le roboanti dichiarazioni sul varo di ambiziosi quanto improbabili piani-carcere che avrebbero dovuto aumentare la disponibilit� di posti in modo risolutivo, nonostante i preferibili, ma parimenti sterili, provvedimenti legislativi con i quali il nostro esecutivo si era impegnato per evitare la bocciatura che andava profilandosi all'orizzonte a causa della colpevole inerzia con cui il problema veniva considerato, nonostante la riduzione conseguente ai ragionevoli interventi volti a contrastare la pandemia, irragionevolmente osteggiati da sedicenti paladini della legalit�, abituati a utilizzare il meccanismo dell'etichettatura sommaria per solleticare il populismo giustizialista (come dimostrano anni di leggi �svuota-carceri" che non hanno mai svuotato le carceri), l'indice di occupazione del sistema penitenziario italiano (dato dal rapporto fra capienza tollerabile e numero delle persone effettivamente detenute) � inequivocabile; al 30 settembre scorso, dati Ministero della Giustizia, a fronte di 51.285 presenze tollerabili, in carcere erano ristrette 58.987 persone. Il che significa una palese sofferenza: ogni 100 posti se ne occupano 115, e la previsione per il futuro non pare, francamente, essere rassicurante. Uno dei motivi per cui la popolazione carceraria italiana � sempre cos� numerosa risiede nell'alto valore dei detenuti cautelari, vale a dire delle persone private della libert� in forza di un provvedimento di un giudice emesso prima della eventuale sentenza di condanna e dettato da motivazioni di tipo procedurale. La percentuale dei detenuti cautelari in Italia al 31 agosto scorso - rilevata nelle preziose pagine del World Prison Brief dell'I.C.P.R. - � del 25,9%, valore non indifferente se confrontato con altri paesi come Germania (20,6) o Regno Unito (18,1). Se poi si va a scorporare il dato della custodia cautelare fra italiani e stranieri in carcere si scopre che il valore riferito a questi ultimi � sensibilmente pi� elevato, per motivi legati alle loro condizioni esistenziali, come, per esempio la mancanza di un alloggio idoneo, di un lavoro regolare e di validi riferimenti relazionali. Un secondo e conseguente problema riguarda la recidiva. Il deterioramento del sistema carcerario, sempre meno vocato alla funzione rieducativa costituzionalmente prevista, produce recidiva. L'Italia galleggia nelle medie continentali, con valori che oscillano tra il 70 ed il 75%. La ricerca dei motivi di questo imbarazzante fallimento deve partire da lontano, dal tendenziale scollamento fra la comunit� carceraria e quella esterna, solo localmente e sporadicamente sanato da alcune buone prassi, dalle scelte di investimento strutturale nelle quali la visione riabilitativa raramente � risultata prioritaria e dalla oggettiva discrepanza fra la numerosit� del personale preposto alla sicurezza e quello preposto al trattamento. In tutto ci� si manifesta il divario tra gli obiettivi della Costituzione, e la realt�, quotidiana e tristemente simile, dei quasi 200 istituti italiani. Ma se la detenzione inframuraria tende a non funzionare, si dovrebbero allora privilegiare i percorsi dell'esecuzione penale esterna, le cosiddette misure alternative alla detenzione. A chiederlo � lo stesso Ordinamento Penitenziario, per il quale il condannato deve avviare un graduale percorso di rientro nella societ�, dalla quale il reato ha contribuito a estrometterlo. Anche in questo campo l'Italia, rispetto al potenziale, risulta deficitaria, con riferimento sia all'utilizzo numerico sia alle modalit� di fruizione di tali strumenti. Un'altra criticit� del sistema penitenziario italiano � rappresentata dall'estrema difficolt�, per i detenuti, di accedere al mondo del lavoro. Un distratto lettore di statistiche ministeriali potrebbe essere fuorviato dal valore riferito a coloro che lavorano in carcere, complessivamente quasi un terzo dei detenuti definitivi. Ma si tratta, per lo pi�, di lavoro alle dipendenze della stessa amministrazione penitenziaria che lo assegna in una logica il pi� possibile distributiva, il cui risultato sono occupazioni e salari molto lontani dai valori di mercato. Sono solo poche migliaia, in Italia, i detenuti che lavorano per datori di lavoro esterno, sia dentro sia fuori dal carcere. Una cifra del tutto inadeguata e anche un vero peccato, perch� il rapporto di lavoro, concreto e dignitoso, possiede invece potenzialit� innegabili per costruire percorsi riabilitativi efficaci. Per ultimo, i costi di questo sistema. Secondo quanto riferisce l'ultimo rapporto di Antigone nel 2023, la spesa media per detenuto si attester� sui 160,93 Euro. Pur sapendo che si tratta di una previsione basata sulle presenze ad aprile ed �, pertanto, suscettibile di possibili correzioni, tale dato colpisce. Questa cifra, serve al 62% per coprire i costi di polizia penitenziaria (100 Euro/die) al 9,7% per l'accoglienza, il trattamento e il reinserimento dei detenuti (circa 16 Euro) e al 9,2% per servizi tecnici e logistici connessi alla custodia dei detenuti e delle detenute (circa 15 Euro). Complessivamente parliamo di pi� di 3,3 miliardi di euro, che rappresentano poco meno di un terzo delle spese annue dello Stato italiano, per la Giustizia. Eccoci, allora, alla domanda fondamentale, siamo sicuri di volere ancora carceri nel nostro futuro? Forse � arrivato il tempo di cambiare, come del resto chiese di fare anche Beccaria, scrivendo che tortura e pena di morte andavano abolite, perch� inutili. Anche il carcere, questo carcere, � totalmente inutile. Forse � giunto il momento di pensare a nuovi modelli di esecuzione della pena, costruiti in una logica che non confligga con i principi universali dei diritti umani e, per quanto riguarda il nostro Paese, anche con la nostra Costituzione. Non mancano esperienze, in Europa, che dimostrano come questa sia una strada percorribile e molte di esse non hanno pi� forma di gabbia. Il cervello � un cosmo da esplorare (di Elena Cattaneo, �Prometeo� n. 164/23) - Il nostro sistema nervoso � particolarmente complesso. Simona Lodato e il suo team sono in cerca di neuroni speciali per prevenire le patologie del neurosviluppo. - �Pi� sapevo e pi� volevo sapere, e pi� scoprivo quanto ci fosse ancora da scoprire�. Le parole con cui Simona Lodato, biologa molecolare dello sviluppo, descrive la nascita della sua passione per la scienza sono quelle di ogni studioso che, guidato da una domanda cui nessuno ha ancora saputo rispondere (e spesso neanche dare una formulazione), si � addentrato, �armato� del solo metodo scientifico, in una giungla inesplorata. Un metodo scientifico che, tra fallimenti e successi, insegna che non sempre la strada che si � scelto di esplorare porta dove ci si aspetta. �Mi � capitato - ricorda Simona durante il nostro dialogo - di arrivare all'analisi dei dati di alcuni esperimenti con una certa idea e poi di notare qualcosa che non avevo previsto, e magari di avere un'intuizione che poi mi ha portata a rileggere gli esperimenti svolti in una chiave diversa. E quando accade � entusiasmante, come una sorpresa inaspettata, come se scoprissi qualcosa di te che fino a quel momento non sapevi�. � proprio vero, e lo scrivo per esperienza personale, che a volte la tessera che restituisce il senso ad un mosaico altrimenti incomprensibile � sotto i nostri occhi, tra la moltitudine di dati che gi� si posseggono. Una delle attivit� del ricercatore, in fondo, � dare un senso alle cose che osserva, ancorandosi alle evidenze e abbandonando aspettative e preconcetti. L'ignoto �dentro di noi� Lodato si � laureata in Biologia, con indirizzo fisiopatologico, all'Universit� Federico II di Napoli (con tirocinio presso l'Istituto Telethon di genetica e medicina Tigem di Pozzuoli) e ha conseguito il dottorato di ricerca in medicina molecolare con una tesi in Neurobiologia dello sviluppo presso la Scuola di Medicina Molecolare SEMM. �La passione per la ricerca - sottolinea - � nata prima, tra il secondo ed il terzo anno di universit�, quando ho frequentato un laboratorio di Biofisica che si occupava di studiare i danni indotti dalle radiazioni cosmiche sul DNA degli astronauti durante le esplorazioni spaziali. � stata una bellissima prima esperienza, che mi ha portata a partecipare ad un concorso internazionale promosso dalla Agenzia Spaziale Europea (ESA)�. I proponenti dei progetti di ricerca selezionati, mi racconta, avevano la possibilit� di visitare le facilities dell'ESA in Olanda e di avvicinarsi al mondo della ricerca in ambito spaziale in un ambiente molto stimolante dove studenti di tutta Europa, Canada e Israele discutevano di potenziali esperimenti da far viaggiare sulla stazione spaziale internazionale con gli astronauti. �Sono stata affascinata dall'idea di ricercare qualcosa che appartenesse a un mondo sconosciuto e ancora tutto da esplorare come il cosmo: riuscivo ad immaginare l'emozione dell'astronauta nel guardare le stelle cos� da vicino, da una prospettiva sicuramente poco convenzionale. Quella stessa curiosit� mi ha poi spinto a dedicarmi alle Neuroscienze�. La potenza di tutto ci� che evoca la figura dell'astronauta, pioniere dell'ignoto nello spazio, si associa, per Simona, all'esplorazione di ci� che ancora non conosciamo del funzionamento e della biologia del nostro cervello, cio� dell'ignoto �dentro di noi�. Dal 2018 Lodato dirige il Laboratorio di Neurosviluppo dell'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) Istituto Clinico Humanitas, � professoressa associata di Humanitas University e oggi il suo obiettivo � pi� che mai chiaro: �Studiare il cervello, con la sua struttura ancora cos� poco conosciuta e il suo codice ancora largamente da decifrare, � la mia sfida quotidiana. Mappare la composizione cellulare della corteccia cerebrale, che gioca un ruolo centrale nel controllo delle nostre funzioni cognitive, e investigare i meccanismi molecolari che ne guidano lo sviluppo rappresentano il mio modo di �affacciarmi� su quel mondo misterioso e di provare a comprenderne l'incredibile complessit�. Gli strumenti per farlo sono sempre pi� accurati: �nel mese di ottobre - mi spiega - sono stati pubblicati su Science i primi risultati del progetto di ricerca del consorzio internazionale BICCN, BRAIN Initiative - Cell Census Network, nato nel 2017 per costruire degli atlanti molecolari del cervello umano adulto ed in sviluppo. Oggi abbiamo a disposizione mappe molecolari ad altissima risoluzione, con coordinate precise, che ci consentiranno di identificare i percorsi �deviati� alla base delle condizioni patologiche. Siamo agli inizi di una nuova era per gli studi del cervello�. Personalmente, mi ha sempre affascinato lo studio dello sviluppo dei nostri tessuti e delle loro intricate relazioni. La necessit� di valutare l'oggetto della propria ricerca (ad esempio il cervello) nel suo divenire impone al biologo una notevole apertura mentale: l'osservazione si compie mentre i tessuti cambiano, nuove cellule si aggiungono e la loro progenie si specializza e migra, fino a raggiungere target lontani. Sotto la lente questi fenomeni si susseguono senza soluzione di continuit�. Bisogna saperli leggere tutti, perch� quando si interrompono si pu� incorrere in problemi o alterazioni. Tra gli studi a Napoli e il laboratorio dell'Humanitas, in provincia di Milano, c'� stata una lunga e importante parentesi all'estero. Prima a Boston, come visiting student presso il Center for Regenerative Medicine del Massachusetts General Hospital, dove ha consolidato il suo interesse per lo studio del cervello e dei processi molecolari che controllano lo sviluppo dei circuiti cerebrali. Poi ad Harvard dove per sei anni ha lavorato nel laboratorio di Paola Arlotta, neurobiologa dello sviluppo e direttrice dello Harvard Stem Cell and Regenerative Biology Department. Paola � una scienziata straordinaria, riconosciuta e apprezzata ovunque nel mondo. Con lei Lodato inizia a concentrarsi sui meccanismi che controllano l'interazione tra le cellule nervose durante lo sviluppo e che influenzano la suscettibilit� a diverse malattie. In quegli stessi anni, nel laboratorio di Arlotta arrivano altre ricercatrici italiane. Come Lodato, sono diventate appassionate studiose del neurosviluppo: tra queste Silvia Velasco, oggi in Australia e Giorgia Quadrato, oggi all'Universit� della California. Alla ricerca dei �direttori d'orchestra� �Mi piace paragonare il cervello a un'orchestra sinfonica - continua Lodato - con numerosissimi strumenti, tanti quanti sono i suoi componenti neuronali, ognuno con un proprio ritmo, in grado di ascoltare e di comunicare tra loro attraverso un linguaggio molto preciso - elettrico e chimico - per raggiungere una perfezione armonica e temporale che � alla base di tutti i nostri comportamenti, dal controllo del pi� semplice gesto alla pi� sofisticata astrazione del pensiero. Si tratta di un insieme molto eterogeneo di elementi, soprattutto all'interno di strutture come il cervelletto o la corteccia - che hanno un ruolo fondamentale per tutte le funzioni cognitive, motorie ed emotive -, ma anche in strutture profonde ed evolutivamente pi� conservate, come ad esempio l'ippocampo, sito fondamentale per la memoria. Questa eterogeneit� del cervello permette un'organizzazione versatile e �l'esecuzione� di melodie molto diverse e consente una molteplicit� di risposte agli stimoli interni ed esterni a cui questa orchestra viene sottoposta�. Negli ultimi vent'anni, gli studi di risonanza magnetica funzionale sull'uomo, supportati da dati sperimentali, hanno provato che il cervello � attivo anche �a riposo� e hanno portato a ipotizzare che esistano neuroni che ricoprono il ruolo dei �direttori d'orchestra�, cio� che coordinano le sue molteplici componenti. �Nonostante la plasticit� e la resilienza del cervello - spiega Lodato - la mancanza o la perdita di alcuni di questi elementi comporta delle alterazioni funzionali, il flusso di informazioni si interrompe e ci� determina gravi condizioni patologiche, come accade per le malattie neurodegenerative�. Da oltre trent'anni, nel mio laboratorio, studio una malattia del cervello, neurodegenerativa ed ereditaria, la C�rea di Huntington, dove un gene si presenta in una forma mutata mandando in tilt proprio l'armonia di quell'orchestra cellulare di cui parla Simona. Gli studi di Lodato sono concentrati nella ricerca degli elementi che regolano l'orchestra del cervello in via di sviluppo, quando cio� le connessioni tra le diverse regioni e strutture sono ancora in fase di formazione. In particolare, ci� che cerca di scoprire con il suo team in Humanitas � come e perch�, nonostante l'architettura di base di questa orchestra non sia ancora pienamente definita, i singoli musicisti comincino comunque a �suonare� in modo spontaneo, senza nessun input esterno, generando quella che noi chiamiamo �attivit� elettrica spontanea�. �Oggi - mi spiega - sappiamo che anche nella vita prenatale esiste un'attivit� spontanea del cervello e che essa consente ai neuroni di cominciare a dialogare tra loro e trasferire informazioni importanti che sembrerebbero influenzare in modo determinante la corretta formazione dei circuiti. Con il mio gruppo ci siamo quindi chiesti: come si genera questa attivit� spontanea? Esistono neuroni speciali, una sorta di �pacemaker�, che svolgono il ruolo di direttore d'orchestra per dettare il ritmo iniziale a questa precocissima sinfonia?�. Grazie a queste affascinanti domande Lodato ha ottenuto nel 2021 uno Starting Grant, uno dei prestigiosi bandi dello European Research Council (ERC) dedicati ai ricercatori emergenti. �Se riuscissimo a identificare i neuroni pacemaker - sottolinea - potremmo forse riuscire, preservandoli, a ristabilire un ordine anche in condizioni patologiche legate al neurosviluppo e, magari, anche in condizioni che affliggono il cervello nella vita adulta. Trovo affascinante e stimolante la sfida di cercare di interpretare il modo in cui, anche dal punto di vista evolutivo, il nostro cervello ha elaborato una serie di strategie per generare una diversit� cellulare cos� profonda, e dare avvio alle interazioni tra le cellule in un momento in cui l'individuo si sta ancora formando, interazioni che si manterranno per gran parte della vita adulta�. �Io preferisco il microscopio� �You can observe a lot by just watching�. Durante il nostro colloquio, Lodato cita questa famosa frase del neuroscienziato americano Jeff W. Lichtman, uno dei pionieri della ricerca sul �connettoma�, la costruzione di una mappa avanzata di tutte le connessioni neurali del cervello. �Credo che � racconta - imparare a guardare, ad osservare, ad avere una prospettiva diversa e non convenzionale sulle cose sia fondamentale per un ricercatore. Per questo, come dico spesso ai miei studenti, il microscopio resta sempre il mio strumento preferito. � quello che pi� di altri rispecchia il senso del fare scienza�. Naturalmente nel suo laboratorio non ci sono solo microscopi a super risoluzione che arrivano a visualizzare singole molecole, tra le decine di migliaia, che si contattano dentro una cellula: �Gli strumenti che utilizziamo dipendono molto dalle domande scientifiche che ci poniamo. Ad esempio, i sequenziatori sono essenziali per �leggere� il contenuto del DNA e quello che da esso deriva. Oggi possiamo avvantaggiarci della single cell analysis, una tecnica che permette di decodificare la composizione ed il comportamento di migliaia di tipi di cellule grazie a una risoluzione senza precedenti nella rappresentazione di ogni singola cellula. Nel nostro laboratorio non potremmo poi fare a meno di bioreattori in cui crescono per lunghi periodi (mesi e anche anni) le colture tridimensionali di cellule neurali umane, i cosiddetti organoidi, che si assemblano per mimare la composizione del cervello umano o alcune sue caratteristiche specifiche�. Questi strumenti messi insieme consentono di generare in modo riproducibile ed efficace nuovi modelli per investigare il cervello, le sue funzioni e disfunzioni: �Per la prima volta - mi dice - riusciamo ad aprire una piccola finestra sul sistema nervoso umano e a generare degli �avatar� per i pazienti affetti da diversi tipi di patologie con lo scopo di investigare i meccanismi patogenetici o immaginare nuovi scenari di screening terapeutici. Credo che gli organoidi cerebrali siano una delle frontiere del futuro nelle neuroscienze. La loro introduzione ha rivoluzionato il modo in cui ci approcciamo al sistema nervoso e le possibilit� di sviluppare piani farmacologici o terapeutici per diversi tipi di malattie�. � straordinario pensare come questa possibilit�, poco pi� che una fantasia solo dieci anni fa, oggi sia realt� grazie ad altri studiosi che, prima di noi, hanno osato immaginare l'impossibile, fino a renderlo possibile. �Credo che sia un periodo storico veramente stimolante perch�, per la prima volta, possiamo utilizzare tutte le nozioni acquisite in decenni di ricerca di base per mettere a punto sistemi modello sempre pi� rilevanti per la salute umana�. A questa entusiasta riflessione di Simona non posso per� che aggiungere un po' di rammarico, constatando come, in tanti anni di ricerca nelle neuroscienze, con i risultati enormi che insieme stiamo ripercorrendo, ancora ci sia un'ampia parte della popolazione che guarda con sospetto e diffidenza gli studiosi accusandoli (ma non mancano esempi di minacce e intimidazioni) per quelli che vengono definiti �inutili� test sugli animali. �Alla base del nostro lavoro - commenta lei - c'� sempre un profondo rispetto. Le tecnologie in vitro hanno visto degli sviluppi enormi, che probabilmente aiuteranno a ridurre l'uso di animali e creeranno alternative solide per determinati tipi di interrogativi, ma per studiare sistemi complessi non semplificabili in vitro - concorda - credo che i modelli preclinici resteranno fondamentali per la ricerca scientifica�. Il fattore umano Ripensando agli anni della sua formazione, Simona si ritiene fortunata di aver avuto l'opportunit� di crescere, soprattutto all'estero, in ambienti stimolanti in cui i confini delle discipline erano molto labili e pensare �out of the box� (fuori dagli schemi) era sempre incoraggiato. �Questo mi ha consentito di sviluppare una forte curiosit� verso le altre discipline e una inclinazione a cercare punti di convergenza e di interesse scientifico anche con colleghi in settori apparentemente lontani. Appena tornata in Italia, questa abitudine si � rivelata preziosa e mi ha consentito di sviluppare progetti con colleghi di altri settori. Negli ultimi anni, ad esempio, si � rivelata particolarmente importante la sinergia tra la biomedicina e l'ingegneria: in laboratorio stiamo lavorando, in collaborazione con i colleghi ingegneri, a sviluppare modelli avanzati di coltura degli organoidi cerebrali tramite tecniche di bioprinting in 3D�. Mentre mi descrive gli obiettivi e gli aspetti pi� affascinanti delle sue ricerche, Lodato non sta parlando solo di s� stessa, ma sta dando voce alle altre nove persone che compongono il suo laboratorio. �L'entusiasmo scientifico - ricorda - non pu� essere disgiunto dal fattore umano: oggi la mia sfida � anche quella del mio team, un gruppo di giovani ricercatrici e ricercatori entusiasti, pieni di energia e di voglia di contribuire. Si sono affidati a me, come io ho fatto in passato con i miei mentori. Ne sono onorata, ma sento la responsabilit� del loro percorso di crescita�. Non posso fare a meno di notare come il �Lodato Group� sia per lo pi� composto da ricercatrici, ben sette su dieci (compresa lei). Un esempio a cui guardare, in un Paese come l'Italia che - ce lo mostra una recente indagine dell'Universit� Cattolica pubblicata su The Lancet Regional Health - risulta terzultimo in Europa per le disuguaglianze di genere nell'ambito della ricerca pubblica, con solo il 17% delle ricercatrici in ruoli apicali. �Sono dati che riflettono la realt� � commenta -. Le nostre aule sono piene di studentesse motivate, preparate e ambiziose. Nei nostri laboratori le donne rappresentano una fortissima componente. Ma � evidente come questo numero si riduca drasticamente, ancora oggi, quando si avanza nelle fasi di carriera�. Incentivare lo studio delle materie STEM (science, technology, engineering and mathematics) e sostenere tutti i giovani che sentano di avere una predisposizione ad avvicinarsi a percorsi scientifici � una priorit� che, concordiamo, potr� realizzarsi pienamente solo con la consapevolezza e la volont�, anche politica, di agire affinch� ci siano le condizioni ottimali per cui tutti possano portare avanti - senza nessun aggravio professionale e personale legato al genere - anche le fasi pi� ambiziose e sfidanti delle proprie carriere. La doppia vita di Mister Frith (di Silvia B�chi, �Focus Storia� n. 203/23) - Come William Powell Frith, celebrato pittore dell�et� vittoriana, dipinse la virt� ma visse nello scandolo. - Nella sua lunga vita William Powell Frith (1819-1909) non si fece mancare nulla: fama, ricchezza e una famiglia felice, con la bella moglie, Isabel, che gli diede 12 figli. Il pittore inglese, che fu maestro nel dipingere l'austera societ� vittoriana, aveva per� qualche problema a condividerne la filosofia, e per quasi tutta la sua esistenza port� avanti un m�nage famigliare da far girare la testa, mantenendo in incognito una seconda famiglia. Frith, infatti, ebbe sette figli anche dall'amante Mary Alford, che viveva a dieci minuti da casa sua. L'artista, che con le sue opere era (ed �) un'icona della Victorian Age, in privato gest� con nervi d'acciaio e grande faccia tosta una situazione obiettivamente scabrosa. Tutte le sere, alla stessa ora, salutava moglie e figli e usciva dalla sua elegante residenza londinese in Park Village West, nel quartiere di Camden, per l'abituale passeggiata pomeridiana. Cos�, almeno, diceva lui. In realt� andava dritto dalla sua amante, sistemata poco lontano, e si intratteneva con la sua seconda �trib�� di bambini. Una doppia vita che dur� 26 anni, all'insaputa della famiglia ufficiale. Nonostante il duplice legame, Frith si dimostr� sempre premuroso nei confronti delle sue donne e fu un padre molto presente per tutti i suoi 19 figli, cosa non scontata a quei tempi. Lo ricorda una delle figlie legittime, Jane Ellen, che scrisse: �Non ricordo il pi� piccolo litigio o atmosfera spiacevole nella nostra casa�. E lo conferma l'amico Joe Wall con il racconto della divertente scenetta familiare a cui anche lui aveva partecipato: �I bambini avevano raccolto delle lumache nel giardino ed erano entrati nello studio del padre con le mani tutte sporche: lo vedo giovane, agile, attivo, arrabbiatissimo, eppure con un luccichio divertito negli occhi e un sorriso trattenuto, correre con la tavolozza e il pennello in mano per cacciarci via dal suo studio, mentre noi ci stringevamo con un misto di soggezione e gioia, e l'ira svaniva nel gioco�. Nonostante i suoi scheletri nell'armadio, Frith riusc� come nessun altro a rappresentare nei suoi dipinti il microcosmo della societ� vittoriana. Nei suoi grandi quadri panoramici accalcava una moltitudine di personaggi eterogenei, dall'aristocratico, al mendicante, al ladro, alla mantenuta, alla famigliola borghese: una commistione che molti critici consideravano �volgare� e inappropriata. Il pubblico invece lo adorava ed era capace di passare anche un'ora a scrutare i volti famosi o a individuare i mille particolari divertenti che distribuiva a piene mani nei suoi quadri. William divenne rapidamente il pittore pi� famoso della sua generazione: non il pi� bravo, ma certamente il meglio pagato. All'apice della sua carriera, in un'asta del 1875, il quadro Before Dinner at Boswell's Lodging, 1769 spunt� il prezzo pi� alto mai raggiunto da un pittore vivente del suo periodo. Frith conosceva i propri limiti e lui stesso ammetteva di avere problemi con la �terribile scienza� della prospettiva: �So benissimo che non sono mai stato un grande artista, ma ho avuto molto successo�, scrisse nelle sue memorie. Ed era vero: quando i suoi quadri venivano esposti alla Royal Academy di Londra, di cui divenne membro nel 1837, la ressa era tale che, per proteggere i suoi quadri dalla folla, occorreva mettere una guardia e delle transenne. Il segreto di tanto successo era semplice: Frith dipingeva un quadro solo se era sicuro che sarebbe piaciuto al pubblico, e in questo aveva un fiuto straordinario. Del resto, con due famiglie cos� numerose da mantenere non poteva certo permettersi di sbagliare! Se alcuni critici snobbavano i suoi quadri, la Regina Vittoria dimostr� invece di apprezzarli, facendo impennare verso l'alto la reputazione di Frith. La sovrana acquist� infatti per 1.000 sterline Ramsgate Sands (o La vita al mare), esposto nel 1854 alla Royal Academy: rappresentava la spiaggia di Ramsgate, frequentata dalla stessa Vittoria in giovent�. Il quadro raffigurava un centinaio di persone, in questo caso per lo pi� appartenenti alla classe media, che si godevano una giornata in spiaggia, con cavalcate di asini, donne e uomini che leggono giornali, venditori ambulanti e una bambina dolcissima, beniamina del pubblico, indecisa se mettere o no i piedi in acqua. E che altro non era che la figlia del pittore, accompagnata dalla madre Isabel: Frith infatti non esitava a inserire nei dipinti membri della sua famiglia e, oltre a se stesso, forse anche l'amante. L'escursione giornaliera al mare era una novit� per l'epoca ed era resa possibile grazie alla nuova ferrovia che dal 1846 collegava Londra a Ramsgate. Nel 1863 la regina Vittoria commission� a Frith un altro grande quadro, in occasione delle nozze di suo figlio, il principe di Galles, con Alexandra di Danimarca: una richiesta che era impossibile rifiutare, anche se il compenso ottenuto (3.000 sterline) era a malapena un terzo di quello che lui sperava. Naturalmente anche Vittoria pos� per questo quadro e, nel periodo in cui Frith si rec� a corte, la relazione artista-regina si svolse senza una particolare etichetta. Sua figlia Jane Ellen ricorda: �Passato il primo momento di rigidit�, la regina smise di parlargli tramite una terza persona e fu possibile tra lei e pap� una conversazione normale... La regina rise alle sue storie e si interess� a tutto ci� che le disse�. Se Frith, nei suoi grandi quadri popolari, punt� sul movimento, l'energia e l'entusiasmo per le nuove possibilit� che si aprivano con il capitalismo urbano, l'amico Charles Dickens, di sette anni pi� grande, descriveva nei suoi libri l'altra faccia della Londra vittoriana, quella dei poveri, delle prostitute, e ne denunciava i soprusi. Frith e Dickens erano legati da una grande amicizia, nata nel 1835 e consolidata quando, nel 1841, lo scrittore gli commission� due quadri che si ispiravano alle sue novelle. Anni dopo, nel 1858, William lo ritrasse in un quadro che lo rappresentava all'apice della fama e �perfettamente consapevole della sua posizione�, scrisse William nelle sue memorie. Molto diverso da quel �giovane pallido, con i capelli lunghi� di un tempo. Dickens era adorato dagli inglesi non solo per i suoi libri, ma anche perch� incarnava le virt� cristiane e l'armonia familiare: nessuno poteva immaginare che anche lui avesse, proprio come l'amico, un segreto da nascondere. Da un po' di tempo, infatti, circolavano a Londra voci di un'amante, tale Ellen Ternan, attrice (18 anni lei, 45 lui). Lo scrittore non poteva permettersi uno scandalo e mise a tacere i pettegolezzi facendo trasferire la donna, sotto falso nome, in una localit� non lontano da Londra, dove continu� a frequentarla per altri 13 anni. Nel frattempo, nel 1858, si era separato dalla moglie, pubblicando con dubbia eleganza un annuncio sui giornali in cui la accusava di non aver mai saputo badare ai figli e alla famiglia: una scusa per liberarsi di lei. Isabel, la moglie di Frith, che era amica e confidente della consorte di Dickens, da allora band� lo scrittore dalla loro casa. Non aveva ancora scoperto, la poveretta, che la sua famiglia stava per essere travolta dalla stessa valanga. Frith dipinse altri quadri panoramici: Il giorno del Derby nel 1858, La ferrovia nel 1862, il Salon d'Or nel 1871 e Visita privata presso la Royal Academy nel 1881: tutti accolti con successo e partecipazione di pubblico. Da quel momento, per�, qualcosa cambi� e i suoi fan finirono per voltargli le spalle. Sicuramente incise anche lo scandalo scoppiato alla morte della moglie, nel 1880, quando Frith, dopo solo un mese, si rispos� con Mary, portandola nella sua casa insieme ai bambini avuti da lei (riconosciuti come figliastri). Vennero cos� a galla i particolari della tresca, durata 26 anni, e i sotterfugi che William usava per stare con la sua seconda famiglia. Isabel, non si sa da quando, aveva capito tutto, perch� un giorno vide il marito imbucare una lettera, mentre lo credeva a Brighton per lavoro. Nella missiva, indirizzata a lei, il marito le raccontava quanto si divertisse in quella localit�. Per i figli fu un vero shock e alcuni, indignati, se ne andarono di casa. Frith reag� a questa situazione nell'unico modo che conosceva: lavorando. Non dipingeva pi� grandi quadri, ma si concentr� su quelli di piccola dimensione che rappresentavano scene familiari, sempre molto richieste, e, parallelamente, vendeva anche stampe tratte dai suoi dipinti pi� famosi. Si diede anche al nudo femminile, come Dopo il bagno, un genere che non aveva osato affrontare in giovent�. Pubblic� inoltre due autobiografie, nel 1887 e 1888, apprezzate per lo stile brillante e per i tanti aneddoti sulla sua vita. Si dice che, negli ultimi anni, amasse sedersi in giardino fumando un sigaro con gli amici, oppure guardando una gara di bocce. Da molto tempo ormai conduceva una vita molto semplice e, ai figli legittimi, pot� lasciare in eredit� solo un quadro a testa e poco pi�. Mor� nel 1909, a 90 anni, 14 anni dopo la sua seconda moglie. In visita alla Royal Academy L�ultimo grande quadro panoramico che William Powell Frith dipinse fu Visita privata presso la Royal Academy, 1881. I protagonisti del dipinto sono un misto di celebrities: pittori, intellettuali, attori, politici, musicisti, giudici, aristocratici e �famosetti�, un insieme che sicuramente incuriosiva il pubblico. Ma Frith volle aggiungerci anche un pizzico di polemica nei confronti di Oscar Wilde, uno dei leader dell'estetismo: un movimento che comprendeva moda, arte e letteratura e che Frith non amava. �Ho voluto colpire i critici auto-eletti in materia di gusti�, scrive il pittore nelle sue memorie, �sia nell'abbigliamento che nell'arte. Ho quindi ideato un gruppo, composto da un noto apostolo del bello [Oscar Wilde] con un gruppo di adoratori entusiasti che lo circondavano�. Nel dipinto si vede Wilde - capelli lunghi, gilet di velluto, cravatta rosa e un giglio appuntato sulla giacca - mentre descrive i quadri alle sue ammiratrici. La nuova moda � visibile anche nell'abito rosa della dama accanto a lui e nel terzetto di figure a sinistra, in abiti verdi, arancioni e rossi. Tutti i quadri che si vedono nella tela non sono di fantasia, bens� copiati da Frith esattamente com'erano, aiutandosi con le fotografie: un lavoro da vero certosino. Il pittore, trionfante per il successo, annot�: �� stato ancora necessario mettere una guardia per controllare la folla di visitatori... e questo � il sesto mio dipinto che ha ricevuto questo speciale trattamento�. Un secolo di �Rhapsody in Blue� (di Gianni Dell�Aiuto, Futuro-europa.it) - Il 7 gennaio 1924, George Gershwin terminava di comporre la sua �Rapsodia in blu�, un brano che avrebbe cambiato il corso della storia della musica nei decenni a venire. - Esattamente cento anni fa nasceva un capolavoro senza tempo e anche solo leggerne senza il suono del clarinetto solista che apre, � perdere l�essenza di un brano che � ancora nella storia della musica. La melodia eseguita dal clarinetto � uno degli elementi pi� riconoscibili dell�opera e stabilisce un tono distintivo fin dall�inizio. Questo clarinetto solista � parte integrante della introduzione e contribuisce a creare un�atmosfera suggestiva che prelude alla fusione unica di jazz e musica classica che caratterizza l�intera composizione. Dopo l�assolo iniziale si potrebbe pensare che � il pianoforte il vero protagonista del brano che dura dai 15 ai 18 minuti a seconda delle versioni, ma non � cos�. La �Rapsodia in Blu� � caratterizzata dalla sua fusione di stili, e oltre al clarinetto, include significative parti pianistiche (spesso eseguite dallo stesso Gershwin) e altri soli orchestrali. L�opera � strutturata in modo da permettere momenti di improvvisazione, soprattutto nei brani solistici, che danno spazio a diversi strumenti e stili musicali. � jazz allo stato puro, libert� di espressione ed estro dei singoli esecutori, ma non si esce da canoni anche classici. Gershwin ha scritto la �Rapsodia in Blu� durante un periodo di effervescenza culturale noto come il �Rinascimento di Harlem�. Gli anni �20 furono caratterizzati da un fervore creativo e da una rivoluzione sociale e musicale negli Stati Uniti. La �Rapsodia in Blu� � un riflesso di questo periodo di cambiamento, incorporando elementi della tradizione musicale afroamericana, del jazz e della musica classica. Erano gli anni precedenti la Grande crisi del 1929 e le band di Jazz erano le protagoniste degli spettacoli nelle grandi citt� della costa orientale degli States mentre Hollywood iniziava ad essere la mecca del cinema. Chaplin aveva lanciato tre anni prima �Il monello� e stava preparando �La febbre dell�Oro�; Francis Scott Fitzgerald scriveva �Il grande Gatsby� e John Dillinger iniziava la sua carriera di rapinatore. Eravamo in pieno proibizionismo e le gang di distillatori clandestini rifornivano tutti gli Speakeasy di alcoolici di contrabbando ponendo le basi per l�avvento di bande come quella di Al Capone e, pi� in generale, delle mafie italoamericane che fecero grandi fortune con l�alcool. Ma erano anche i Roaring twenties e, insieme alla tromba di Louis Armstrong, il Charleston, la Rapsodia di Gershwin ne � una colonna sonora portante. Il pezzo si distingue per la sua innovazione e audacia. Gershwin, gi� celebre per i suoi successi di Broadway, sfid� i confini convenzionali combinando la complessit� armonica della musica classica con il ritmo pulsante e improvvisato del jazz. Questa sinergia unica tra due generi musicali apparentemente distanti ha aperto nuove possibilit� creative e ha contribuito a definire uno stile americano distintivo. Il jazz, in particolare, svolge un ruolo chiave nella Rapsodia. Come detto, l�opera si apre con un celebre clarinetto solista, eseguito da Paul Whiteman, il direttore d�orchestra che commission� la composizione. La melodia del clarinetto, con la sua espressione languida e sensuale, cattura l�essenza del jazz blues e stabilisce il tono per il resto della composizione. Il seguito si distingue anche per l�uso dell�improvvisazione, una caratteristica intrinseca al linguaggio jazzistico. Sebbene gran parte dell�opera sia composta con scrupolosit�, Gershwin incorpora sezioni in cui i solisti possono improvvisare, un elemento chiave nel jazz. Anche oggi il brano � eseguito e gode di una popolarit� duratura e continua a ispirare musicisti di tutto il mondo ed � ancora usata in film e pubblicit�. Un po� di chiarezza sui termini La rapsodia - � una composizione musicale di carattere molto libero e variegato. Non segue uno schema fisso, ma si presenta come un insieme di spunti melodici, anche molto diversi tra di loro per ritmo ed armonia, che conferisce toni quasi improvvisativi alla composizione. Il termine � di origine greca ed indica la presentazione da parte di un �rhapsodos�, cantore o narratore, della parte di un poema nel corso di una narrazione epica. �Rhapsody in Blue� di George Gershwin fonde per lo pi� due generi musicali, jazz e classica. La cultura musicale dalla quale egli proviene lo porta ad inserire in un genere classico le sonorit� e gli arrangiamenti jazz e blues, da cui il titolo della sua pi� nota composizione. Gershwin stesso dichiar�: �� la udii come una sorta di multi cromatica fantasia, un caleidoscopio musicale�� La nota blu, o �blue note� - � una nota molto particolare che si trova nel jazz e nel blues, cos� come il significato dell'aggettivo inglese �blue� � legato sia al colore blu che ad un senso di nostalgia e tristezza tipico della musica afro-americana che si � poi sviluppato nelle sonorit� utilizzate dallo stesso Gershwin nelle sue composizioni.