Settembre 2025 n. 9 Anno X Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice Gerarchia: dalla difesa alla connessione La struttura della persona in Pirandello e la psicanalisi Gerarchia: dalla difesa alla connessione (di Marina Capizzi, �Prometeo n. 166/24) - Pare che anche il nostro sistema nervoso sia gerarchico. Tuttavia i modelli organizzativi sono aderenti a una logica di autodifesa e di potere. Che pu� essere superata. - La gerarchia � la struttura portante delle organizzazioni (aziende pubbliche e private, enti, associazioni, organizzazioni no profit, partiti...) che noi umani costruiamo con lo scopo di sopravvivere e prosperare. La gerarchia � la struttura portante del nostro Sistema Nervoso Autonomo (SNA). Sorpresa. Organizzazioni e SNA condividono la stessa struttura. Ma che cos'� la gerarchia? La gerarchia � una struttura che sub-ordina gli elementi che la costituiscono in ordine di importanza. La gerarchia organizzativa sub-ordina i diversi livelli di autonomia decisionale. La gerarchia biologica sub-ordina le risposte comportamentali inconsapevoli che il SNA, momento per momento, ritiene pi� adeguate. L�esplorazione del legame tra gerarchia biologica e organizzativa apre prospettive inedite di comprensione e intervento per far evolvere le organizzazioni. La gerarchia biologica Stephen W. Porges, neuroscienziato, ha scoperto che il nostro SNA � strutturato come una gerarchia. Il SNA � la parte del sistema nervoso che presidia le funzioni vegetative (battito cardiaco, respirazione, digestione...). La �Teoria Polivagale�, presentata da Porges nel 1994, � nata in ambito neurologico, ed � stata poi estesa da Deb Dana all'ambito clinico. L�applicazione della Teoria Polivagale al contesto organizzativo avviene qui per la prima volta. La gerarchia di cui parla Porges � un prodotto dell'evoluzione della nostra specie, cablata in milioni di anni dalla continua interazione tra SNA e le informazioni provenienti dal corpo (cuore, polmoni, intestino), dall'ambiente (suoni, movimenti, variazioni) e dall'interazione con gli altri (espressioni del viso, tono e volume della voce, gesti). Porges descrive la struttura gerarchica del SNA come una gerarchia di risposte comportamentali inconsapevoli ma prevedibili che hanno lo scopo di gestire i rischi e ricercare la sicurezza. Queste risposte sono influenzate dalle esperienze pregresse e dunque non sono necessariamente �oggettive�, perch� si attivano molto prima che il cervello possa analizzare e dare un significato all'esperienza. La gerarchia del SNA � composta da 3 livelli tuttora presenti in ciascuno di noi: 1o livello: Il SNA compare a partire da 500 milioni di anni fa per consentire ai nostri antenati rettiliani di sopravvivere attivando risposte di immobilizzazione/isolamento. Possiamo immaginarlo come un freno attivato dalla percezione di un pericolo ineludibile per la sopravvivenza di fronte al quale ci immobilizziamo isolandoci, come la tartaruga si ritira nel suo guscio. 2o livello: 400 milioni di anni fa, nel SNA si struttura un secondo livello gerarchico che produce risposte difensive inconsapevoli basate sui movimenti di attacco/fuga: pensiamo ai leoni e alle gazzelle. Questo livello gerarchico funziona come un acceleratore e si attiva quando il SNA percepisce una minaccia per la sopravvivenza. 3o livello: 200 mila anni fa, la gerarchia del SNA acquisisce un terzo livello che produce risposte molto pi� evolute perch� non risponde al principio di sopravvivenza, come i due precedenti, ma un nuovo principio emerso proprio con la comparsa dei mammiferi: l'imperativo biologico di connessione. Lo osserviamo quando le persone si parlano, si ascoltano, sorridono, agiscono insieme... Il livello pi� alto di questa gerarchia ci permette di adattarci a tutte le variazioni dentro, fuori e fra noi perch� ci connette con il nostro corpo, con il contesto e con gli altri. Mentre in modalit� difensiva possiamo usare solo il freno o l'acceleratore, qui abbiamo accesso ad entrambi e quindi, grazie all�acceleratore, possiamo produrre l'energia che ci serve per l�azione e, grazie al freno, possiamo rallentare, fermarci, rigenerare le energie, ascoltare, riflettere, trovare la calma. In questo stato neurale abbiamo accesso alle risorse pi� pregiate � cognitive, relazionali e realizzative � nostre e altrui, e siamo nella migliore condizione biologica per realizzare le nostre potenzialit�, individuali e collettive. Ma come facciamo noi umani a entrare in connessione? I nostri SNA si �parlano� continuamente. Per uscire dalla modalit� difensiva e accedere al livello bio-gerarchico pi� evoluto, dobbiamo condividere un'esperienza di sufficiente sicurezza con altre persone: questa esperienza, anche se breve, attiva una co-regolazione dello stato fisiologico e genera connessione tra i SNA. La co-regolazione � il meccanismo neurologico che sta alla base della reciprocit� di ogni relazione positiva e di ogni alleanza tra individui, gruppi e sistemi sociali pi� estesi. Solo la condivisione di momenti di sicurezza reciproci crea legami generativi tra due o pi� esseri umani. Invece, un SNA sempre in difesa, cio�, che non condivide momenti di sicurezza reciproca, non pu� raggiungere lo stato fisiologico di sicurezza. La faccenda � molto concreta. A seconda del livello gerarchico neurale cambiano la fisiologia del corpo, il modo di percepire e leggere la realt�, quello che possiamo fare o no con gli altri. Ad esempio, quando usiamo solo l'acceleratore per difenderci da una minaccia (non sappiamo se reale o no), il corpo, le percezioni, i pensieri, le emozioni e le azioni sono unicamente finalizzati ad attaccare o a fuggire dal nemico. Se il nostro SNA prende la via dell�attacco, smettiamo di ascoltare, alziamo il tono di voce, interrompiamo, diventiamo autoritari, pressiamo, diventiamo di parte, vogliamo affermarci e avere ragione, diventiamo fanatici, accusiamo gli altri, facciamo muro contro muro, diventiamo territoriali, invadiamo i confini degli altri, siamo disposti ad alzare il livello di conflitto... mors tua vita mea. Oppure, se il nostro SNA prende la via della fuga, ci sottraiamo alle nostre responsabilit�, non ascoltiamo, non rispondiamo, non ci facciamo trovare, non diciamo quello che pensiamo, non risolviamo i problemi, ci trinceriamo dietro le procedure, difendiamo i confini, parliamo in politichese o usiamo un linguaggio che gli altri non capiscono... Quando invece per difenderci da un pericolo ineluttabile (non sappiamo se reale o no) usiamo solo il freno, ci sentiamo intrappolati senza altre opzioni di scelta, perdiamo la speranza, la nostra energia tende a zero, ci spegniamo, diventiamo passivi, ci sentiamo insignificanti, soli, non riusciamo pi� a dare senso a quello che facciamo. Tutte queste modalit� difensive mettono in atto comportamenti automatici che ci disconnettono da noi stessi e dalle nostre risorse, dal contesto e dalle sue variazioni, e creano barriere tra noi e gli altri facendoci perdere lucidit�. Quando siamo ostaggi della sopravvivenza perdiamo la governance: diventiamo prevedibili e capaci di ripetere gli stessi comportamenti per giorni, mesi, anni, secoli. Burattini inconsapevoli di copioni biologici gi� scritti. Al contrario, quando la condivisione di esperienze reciproche di sicurezza attiva la connessione, ci apriamo, diventiamo capaci di avvicinarci agli altri, ci parliamo, ci ascoltiamo, diventiamo flessibili, prendiamo in considerazione le idee altrui, pensiamo insieme, diventiamo essenziali e andiamo subito al punto, acquisiamo lucidit� e visione d'insieme, siamo disponibili al cambiamento e a sperimentare strade nuove, creiamo soluzioni inedite e le sperimentiamo, condividiamo competenze e capacit� mettendole al servizio degli altri perch� ci sentiamo uniti in una sfida, in una difficolt�, e quindi ci focalizziamo sugli obiettivi comuni perch� ci sentiamo appartenenti ad un sistema pi� grande. Possiamo anche avvertire una sana tensione, avere confronti schietti e duri, litigare, ma senza perdere la connessione. Questo � l�unico stato neurale in cui stiamo bene. Le ricerche di Porges, infatti, dimostrano che le vie neurali della connessione e dell�ingaggio sociale sono le stesse che presidiano la nostra salute e il nostro benessere. Per questo noi umani veniamo al mondo gi� cablati per connetterci. Non vogliamo solo sopravvivere ma anche prosperare. Noi umani abbiamo fame di connessione. Dalla Polivagale, quindi, impariamo che la gerarchia biologica che struttura il nostro SNA pu� funzionare sia come strumento di difesa sia come strumento di connessione e prosperit�. Possiamo dire lo stesso delle nostre attuali gerarchie organizzative? La gerarchia organizzativa La gerarchia organizzativa ha lo scopo di allocare l'autonomia decisionale, cio�, il potere. La piramide sintetizza la struttura della maggior parte delle organizzazioni: aziende pubbliche e private, enti, associazioni, partiti, stati, ecc. Come funzionano, in sintesi, le piramidi? Il potere aumenta salendo, cio�, pi� si scende meno si decide. Le scelte strategiche, la definizione delle politiche, gli investimenti, ecc. si definiscono al vertice e poi si realizzano attraverso la catena di comando. Vale, in sintesi, la logica di commander/control che, al di l� di dichiarati e quanto scritto su documenti e siti, funziona cos�: - chi � sopra dice a quelli che sono sotto cosa devono fare e controllano, spesso ponendo pochissima attenzione alla comprensione di chi deve realizzare. Quindi, pi� si scende, pi� si diventa esecutori di compiti; - l�ascolto � rivolto verso l'alto perch�, per rimanere nella piramide, � vitale capire cosa vogliono �i Capi�, mentre � molto meno praticato verso il basso per comprendere i bisogni e raccogliere proposte e soluzioni dei dipendenti, degli elettori e dei cittadini; - il potere � considerato una risorsa scarsa e finita: le posizioni importanti diminuiscono salendo. Quindi, pi� si sale pi� aumenta il livello di conflitto per acquisire, aumentare e difendere il proprio potere � contano pi� gli obiettivi propri (individuali, di funzione, di corrente/cordata, di partito, di stato...) degli obiettivi comuni; - l�ubbidienza e la fedelt� al Capo in molte organizzazioni contano pi� della competenza e dei risultati perch� chi � in alto valuta chi sta sotto (e non viceversa), cio�: i Capi pi� importanti scelgono gli altri Capi; - c'� una distanza siderale tra problemi/opportunit� e decisioni. Quando si devono trovare soluzioni, i problemi e le opportunit� iniziano un lungo viaggio verso il tavolo �giusto�, come salmoni che risalgono la corrente. In realt�, alla base della piramide, le persone avrebbero potuto risolverne parecchi perch� li vivono tutti i giorni e hanno le competenze, ma non l'autonomia per decidere. Questo rallenta ogni tipo di organizzazione, crea enormi disservizi, malessere, frustrazione o indifferenza in chi non pu� decidere, e stress o indifferenza in chi viene subissato da decisioni di cui non conosce il contenuto e, di conseguenza, rende l�organizzazione complessiva meno efficace di realizzare il proprio scopo; - si cerca di correggere gli effetti di questa mala impostazione di fondo aggiungendo processi, procedure, norme e strumenti di solito arzigogolati e incomprensibili ai pi�, cos� la burocrazia cresce e aumenta il malfunzionamento. E potremmo continuare. Ma c'� ancora un punto molto importante da sottolineare. Nella piramide tutto aumenta salendo. C�� una sola cosa che aumenta scendendo: il contatto con i destinatari dell�organizzazione: clienti, utenti, associati, elettori, cittadini... Noi ci occupiamo sempre della leadership. In azienda si fanno corsi da decenni, migliaia di pubblicazioni analizzano lo stile di leadership - che non � un dettaglio, certo. Ma il vero campo da gioco � disegnato dalla gerarchia, che rende le organizzazioni strutturalmente auto-centrate e incapaci di connettersi con i propri destinatari, cio� con coloro che ne giustificano l'esistenza. Nelle aziende/enti fortemente gerarchici il vero cliente � il capo, non chi acquista o fruisce di prodotti e servizi. Il �torcicollo organizzativo� che fa guardare solo in alto e ad interessi di parte alimenta anche il crescente scollamento tra partiti ed elettori. Negli enti e nelle istituzioni, le procedure sono pi� importanti degli utenti e dei cittadini: come pu� non aumentare la distanza? La predominanza di interessi particolari sugli obiettivi comuni alimentano anche dinamiche tra gli stati che costituiscono organizzazioni transnazionali (vedi l'Europa). Ma, mentre si parla in continuazione di leadership, si investe in strumenti e tecnologie, si fanno continue riorganizzazioni, elezioni e leggi (con grande profusione di risorse), le logiche di base che sottendono la gerarchia organizzativa rimangono intatte. Tutto cambia. La gerarchia no. Perch� non riusciamo ad andare oltre? Perch� la gerarchia organizzativa � nata come soluzione sociale per sopravvivere. Quando siamo comparsi su questo pianeta, non eravamo messi bene nella catena alimentare: niente fauci, artigli e cuccioli che ci mettono anni per diventare autonomi. In un mondo pericoloso e con risorse scarse, da soli, non ce l�avremmo fatta. Per sopravvivere dovevamo stare insieme. Ma stare insieme, lo sappiamo, non � facile. E quindi? Quindi abbiamo usato la nostra paura come collante sociale (ci siamo messi insieme perch� avevamo tutti paura) e abbiamo �inventato� una soluzione che ci tenesse �legati� attraverso la sub-ordinazione. Nel corso della nostra permanenza sulla Terra abbiamo sperimentato due tipi di gerarchia organizzativa: la piramide relazionale e la piramide formale. La piramide relazionale, sperimentata per 2 milioni e mezzo di anni, alloca tutto il potere su un unico membro dominante (il �maschio alfa�), che lo esercita direttamente su tutti gli altri. L'obiettivo? Mantenerci in vita nel breve termine, mentre ci spostavamo in cerca di cibo da raccogliere e animali da cacciare. In sintesi: ubbidienza in cambio di protezione e appartenenza. Stando dentro questa gerarchia, tutti i membri aumentavano la loro possibilit� di sopravvivere. Nella piramide formale, nata circa 10mila anni fa, il potere � attribuito ai ruoli e viene esercitato indirettamente anche su gruppi sociali molto estesi che, nel tempo, hanno preso il nome di imperi, stati, citt�, aziende... Come siamo passati dal potere esercitato da un solo individuo, a queste organizzazioni dislocate a diverse latitudini? E come le abbiamo tenute insieme? Lo abbiamo fatto grazie alla capacit� di astrazione, maturata con la rivoluzione cognitiva (avviata circa 75 mila anni fa) che ci ha permesso di produrre immagini, pensieri, linguaggio: ci� che migliaia di anni dopo chiameremo cultura. La rivoluzione cognitiva � andata di pari passo con l�invenzione e diffusione dell'agricoltura che ha favorito la formazione di gruppi stanziali molto estesi: impossibile tenerli insieme con il potere diretto di una sola persona. Soluzione? Maneggiando simboli, e non solo materia, abbiamo iniziato ad attribuire il potere a pure astrazioni, entit� che non sono osservabili in natura: prima divinit�, caste, regole e, infine, ruoli ancora oggi sub-ordinati nell�organigramma. E l'agricoltura, che � basata sui cicli, ha permesso di fare piani mirati alla sopravvivenza nel lungo termine. Allocato il potere sui ruoli, abbiamo costruito una catena di command/control che nei millenni abbiamo arricchito di regole, norme, processi, procedure, strumenti di controllo, tecnologia, ecc. Le due piramidi rappresentano mondi completamente diversi, certo. Tuttavia, in entrambe: il collante � la paura di non sopravvivere, il potere (risorsa finita) diminuisce scendendo ed � esercitato con il doppio scopo di sopravvivere e di mantenerlo nel breve e nel lungo termine. Dalle gerarchie di difesa alle gerarchie di connessione L'attuale gerarchia delle nostre organizzazioni � una sovrapposizione delle due piramidi che ci arrivano dal passato e incarna perfettamente i primi due livelli della gerarchia biologica, quelli pi� antichi. Pi� saliamo nella piramide, pi� aumenta il potere e pi� aumentano i comportamenti difensivi (prevedibili) di attacco/fuga, dentro e fuori dall�organizzazione. Ciascuno (individuo, parte, insieme) � concentrato sui propri confini e obiettivi, fa muro contro muro, ricerca colpevoli, � disposto all�escalation e a fare la guerra accettando la distruzione come inevitabile effetto collaterale: si parte dalle mail e dalle riunioni, si passa alle dichiarazioni, si serrano le fila delle funzioni aziendali, delle correnti, dei partiti, si violano le regole, come sappiamo fin troppo bene, si arriva alla guerra vera tra Stati. I comportamenti (prevedibili) di fuga prevedono la sottrazione alle responsabilit�, la difesa delle procedure ad oltranza, la non soluzione dei problemi, la procrastinazione delle decisioni. Pi� scendiamo nella piramide, pi� diminuisce il potere e pi� aumentano comportamenti difensivi (prevedibili) che vanno verso l�immobilizzazione: demotivazione, disengagement, passivit� e disinteresse. Le nostre gerarchie organizzative sono gerarchie di difesa, dove abbiamo imparato a usare il potere solo partendo dalla paura. Certo, la vita organizzativa non si riduce esclusivamente alla �difesa�, soprattutto quando usciamo dal ruolo (dove, guarda caso, batte la gerarchia) e ci rapportiamo come persone. E quindi? Quindi � sotto gli occhi di tutti che l'attuale gerarchia organizzativa, che fino ad oggi ci ha permesso di sopravvivere, non � pi� lo strumento adeguato per difenderci. Ancora meno per prosperare. Le persone hanno bisogno le une delle altre, le aziende della fiducia dei clienti e delle loro comunit�, gli enti di utenti, i partiti di elettori, gli stati di cittadini che si sentano a casa, il mondo di sicurezza reciproca. Ma la gerarchia organizzativa di difesa � strutturata per chiudersi, non per aprirsi, dialogare e coinvolgere, perch� � basata sui comportamenti inconsapevoli e prevedibili che la nostra gerarchia biologica attiva quando � in stato neurale di difesa. Invece... La nostra gerarchia biologica � pi� evoluta di quella organizzativa perch�, oltre a funzionare come gerarchia di difesa, sa funzionare anche come gerarchia di connessione. E quando si entra nel dominio della connessione, il potere diventa una risorsa infinita perch� serve per favorire esperienze di sicurezza reciproca a tutti i livelli, con lo scopo di creare legami generativi. La nostra gerarchia biologica di connessione ha continuato ad agire da quando siamo comparsi su questo pianeta perch� solo con l�attacco/fuga e l'isolamento ci saremmo estinti: abbiamo trovato il modo, anche in mezzo a guerre e distruzioni, per stringere legami, crescere i nostri figli e prenderci cura degli anziani. Abbiamo anche creato organizzazioni locali, nazionali e sovranazionali che coltivano il principio di connessione pi� di quello di sopravvivenza. � vero. La gerarchia organizzativa di connessione non � mai diventata la gerarchia organizzativa predominante. Per� nei milioni di anni di permanenza sulla terra non abbiamo mai posseduto strumenti di distruzione cos� potenti e veloci, n� c'� mai stata un'esigenza di benessere e prosperit� cos� profonda e diffusa. Finora ci siamo affidati alle gerarchie di difesa per sopravvivere. Ma abbiamo un�altra opzione. Possiamo scegliere consapevolmente di coltivare in ogni organizzazione le gerarchie di connessione per favorire il benessere individuale e collettivo. A partire dai nostri comportamenti, dal modo in cui ci rapportiamo, da come favoriamo esperienze di sicurezza reciproca in quanto persone, cittadini, professionisti, manager, politici, capi di governo e di Stato... Le nostre organizzazioni sono fatte di corpi. I corpi sono capaci di connettersi. La gerarchia di connessione � gi� nostra. La struttura della persona in Pirandello e la psicanalisi (di Cesare Musatti, Plays.it) - In questo saggio apparso nel 1982 in �Leggere e scrivere� (Mondadori Education), il pioniere degli studi di Psicanalisi in Italia Cesare Musatti (Dolo, 21 settembre 1897 � Milano, 21 marzo 1989) illustra la, probabilmente, inconsapevole vicinanza di pensiero e sensibilit� fra Luigi Pirandello e il padre della psicanalisi, Sigmund Freud. Nonostante l�argomento, piuttosto impegnativo, la lettura di questo scritto si raccomanda per lo stile chiaro e avvincente, con spunti autobiografici del suo autore. - Io sono dunque uno psicologo, divenuto poi anche psicoanalista, formatosi nel periodo fra le due guerre. In quell'epoca, sul piano culturale, ed in ispecie in campo teatrale, l'opera artistica di Luigi Pirandello, si presentava con un forte spicco sullo sfondo della piuttosto piatta cultura italiana. E anch'io, come molti altri, ne rimasi affascinato. Ma non affascinato soltanto, come pu� accadere di fronte a qualsiasi opera d'arte; anche turbato per le connessioni che non potevano sfuggirmi con quella che era la mia attivit� professionale e scientifica. Non potevo infatti non avvertire una certa parentela fra il modo come Pirandello presentava i suoi personaggi, e quegli argomenti specifici che io nel mio lavoro, soprattutto come psicoanalista, andavo trovando o cercando. Volendo semplificare, posso dire che mentre leggevo o assistevo ai drammi di Pirandello, mi pareva di respirare aria di psicoanalisi. Sappiamo con certezza che non vi fu in Pirandello alcuna derivazione e neppure ispirazione, tratta da opere scientifiche di psicoanalisi. Pu� anche darsi che fra il '20 e il '30, egli, come tanti altri uomini di cultura, abbia avuto notizia di qualche scritto di Freud, ma il modo di pensare e di vedere gli uomini e le cose, era gi� formato in lui da tempo. Qualcuno � andato in cerca di precise coincidenze; ma come in altri casi simili, si � trattato di considerazioni generiche e di osservazioni vaghe. La stessa cosa, come si sa, accadde per Svevo. Questi indusse in errore qualcuno, appiccicando sulla prima pagina della Coscienza di Zeno, la dichiarazione che si trattava di uno scritto autobiografico, preparato da un paziente per il proprio analista. Lo stesso Svevo, ad un certo momento, si illuse, e anche disse, di aver composto un romanzo psicoanalitico, finch� per�, nelle Lettere londinesi, che sono fra gli ultimi suoi scritti, rettific� le precedenti dichiarazioni, con una vera e propria ritrattazione. Svevo per�, come ha recentemente descritto nella sua accurata biografia di Svevo il Prof. Enrico Ghidetti, apparteneva comunque a quel mondo triestino italo-asburgico dove le idee di Freud erano circolate dai primi anni del secolo, cos� che il sospetto di una qualche influenza poteva anche essere lecito. Nulla di tutto questo per Pirandello. E il nostro caro amico, Michel David, studioso e profondo conoscitore della letteratura italiana del '900, e insieme persona dotata di una buona preparazione psicoanalitica, quando una quindicina di anni fa scrisse una accuratissima opera sulla psicoanalisi nella cultura italiana non riusc� a trovare alcun canale di informazione che conducesse dal pensiero di Freud all'opera artistica di Pirandello. Donde deriva allora quella sensazione che di fronte a Pirandello il lettore, o lo spettatore (specialmente se sono, come � accaduto a me, dentro fino al collo in una attivit� psicoanalitica) provano, di una atmosfera familiare, di un modo di sentire gi� noto, perch� corrispondente a quello che noi analisti, nel nostro lavoro, andiamo esplorando nei pazienti? Pu� darsi che le vicende familiari di Pirandello lo abbiano messo a contatto con una forma di pensiero, inabituale per l'uomo comune: un pensiero estraneo alla logica delle normali comunicazioni interpersonali: quello che accomuna la libera fantasticheria e il delirio paranoicale. Ma per lo pi�, se a qualcuno di noi capita di vivere transitoriamente un tale anomalo modo di pensare, si risveglia tosto il richiamo alla razionalit�, al pensiero ordinario, comune, quello con cui parliamo fra noi ogni giorno, ed anch'io ora parlo con voi. E ripetiamo a noi stessi le medesime parole che sempre vengono dette ai bambini: �Sii ragionevole, non dire sciocchezze�. D'altronde anche questo richiamo ad eventuali esperienze personali e familiari di Pirandello non spiegherebbe un gran che. C'� indubbiamente qualche cosa di pi� essenziale. Donde deriva allora la tentazione (pi� di una tentazione non �) di pensare alla psicoanalisi a proposito di Pirandello? O anche viceversa: di pensare a Pirandello a proposito della psicoanalisi? Consentitemi, in questo ambito di idee, di raccontarvi un episodio che ricordo sempre con piacere. Pochi anni dopo la fine dell'ultima guerra, sono stato invitato a tenere a Roma, al Teatro Eliseo, una conferenza sulla psicoanalisi. Si trattava allora per il nostro paese, che si trovava in grande ritardo, quasi di una novit�, la quale attraeva quel pubblico che desidera presentarsi come amante della cultura. Tenni la mia conferenza; ma quando mi ritirai dietro il sipario fuori dal quale avevo parlato, fui bloccato dal Capo macchinista del teatro, che era l� sul posto a far la guardia a tutto il materiale di palcoscenico appartenente alla sua giurisdizione. Aveva ascoltato il mio discorso, e mi affront� quasi abbracciandomi, ed esclamando: �� Pirandello! � Pirandello!�. Allora mi raccont� di essere stato in dimestichezza con il Maestro, e di aver allestito lui personalmente le scene di molti suoi spettacoli, assistendo sempre alle prime, quando erano date in quello stesso Teatro Eliseo. Il pensiero di Pirandello riteneva di averlo assimilato, ed ora, a parer suo, gli sembrava di averlo sentito ripetere da me: in forma astratta e col tono dottrinale del Professore che tiene una conferenza, ma per lui identico. E mi ripeteva in romanesco: �Perch� me creda, Professore mio, noi non semo uno solo!�. Cio� ciascuno di noi non � una persona sola. Questa frase mi parve bella, ed io gli promisi che una volta o l'altra in un mio qualche discorso, avrei citato questa espressione del macchinista del Teatro Eliseo, innamorato di Pirandello. Assolvo dunque anche di fronte a voi la promessa fatta allora. Ma quella frase � proprio di Pirandello. La dice nei Sei personaggi, il Padre, poco prima dell'Intervallo: �Il dramma per me � tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi, veda, si crede �uno�, ma non � vero: � �tanti�, signore, �tanti�, secondo tutte le possibilit� d'essere che sono in noi: �uno� con questo, �uno� con quello; diversissimi! E con l'illusione, intanto, d'essere �uno per tutti�, e sempre �questo uno� che ci crediamo, in ogni nostro atto�. Qualcuno potrebbe dire: Ma tutto questo si sa, si � sempre saputo. Ognuno di noi quando deve parlare o trattare con altre persone, si adegua alla situazione, e assume atteggiamenti differenti. Ma rimane dentro di s�, se stesso, e quelli che mutano sono gli atteggiamenti assunti, i quali sono come vestiti che si possono cambiare, oppure come i personaggi differenti che l'attore, pur rimanendo sempre il medesimo individuo, di volta in volta impersona. � la risposta della psicologia tradizionale, la quale all'identit� personale non pu�, e non vuole, rinunciare. Ma per Pirandello non � affatto cos�. Egli mette veramente in crisi la identit� personale. Forse proprio qui esiste l'aggancio, o forse pi� che aggancio l'analogia, che ci pare di afferrare fra il modo di intendere la personalit� umana in Pirandello, e le tendenze della psicologia moderna: quella psicologia moderna che pi� o meno fa capo alla psicoanalisi. Non si tratta di analogie positive, nel senso di una identit� di affermazioni; ma negative: nel senso dello svuotamento di un sistema concettuale consolidato, tradizionale, entrato anche nella coscienza comune, e assunto a base del nostro modo di vita sociale, il quale comprende gli stessi fondamenti giuridici della giustizia penale. Partiamo dal presupposto, quando trattiamo con qualcuno, che egli sia lo stesso con cui abbiamo parlato ieri, e che abbiamo amato od odiato ieri. E il tribunale che condanna per un dato reato, tratta colui che � nella gabbia degli imputati come se fosse lo stesso che ha commesso il reato. Mentre lo stesso non � pi�, e la giustizia penale commette quindi, a rigore, costantemente errori di persona: gettando in galera un altro, e lasciandosi sfuggire il colpevole, che non pu� pi� essere acchiappato, perch� semplicemente � sparito, non c'� pi�. Qualcuno di voi ricorder� forse un orrendo delitto avvenuto a Milano pi� di trent'anni fa, quello che fu chiamato il delitto di Via San Gregorio. Una donna, Caterina Fort, trucid� la moglie dell'uomo con cui essa aveva una relazione, e insieme uccise i figlioletti dei due coniugi. Fece questo durante uno scoppio di ira e gelosia, ed effettu� la strage in modo feroce, con una sbarra di ferro, con cui fracass� il cranio alle vittime. Fu condannata all'ergastolo, e soltanto dopo trent'anni di carcere � stata graziata. Io ebbi, subito dopo il processo, un lungo colloquio col suo avvocato: il quale mi chiedeva spiegazioni su un fatto strano. La Fort, gi� in ergastolo, con sentenza divenuta definitiva, diceva all'avvocato, che lei aveva s� ammazzato l'altra donna, ma che non aveva assolutamente toccato i bambini. Poich� l'accertamento dei fatti non lasciava alcun dubbio, e d'altra parte la donna (persona di una notevole levatura morale, anche se colpevole di questo terribile plurimo delitto) non aveva pi� alcun interesse a modificare la versione dei fatti, si deve ritenere, che per la sua personalit�, quale era dopo la condanna, la uccisione dei bambini (a differenza di quella della rivale) fosse qualche cosa di assolutamente incompatibile e insopportabile; che essa perci� rifiutava, riuscendo a cancellarla dal proprio animo. Si sentiva dunque ora, ed era effettivamente sul piano psicologico, del tutto estranea alla strage, per quanto riguardava i bambini. Non ho certo intenzione di proporre una riforma del diritto penale su queste basi; n� saprei come riforme del genere potrebbero attuarsi. Ma non possiamo disconoscere che la giustizia, cos� com'� e come funziona, ma non soltanto la giustizia, pure ogni nostra comune relazione con gli altri, si fonda sull'errato presupposto di una identit� personale come tale immutabile, anche se oggi questo non � pi� sostenibile. Il problema della identit� personale ha occupato la mente e la fantasia di Pirandello sotto forme molteplici. Proprio la continua trasformazione della persona rende il quesito del riconoscimento della identit� sempre problematico. Su questo motivo si fonda �Come tu mi vuoi�, composto cinquant'anni fa e in qualche modo indirettamente ispirato da una vicenda che aveva appassionato e diviso in quel tempo l'Italia intera in opposte fazioni: la vicenda Bruneri-Cannella, che ormai soltanto le persone molto anziane ricordano. Allora ebbi occasione di collaborare col Prof. Francesco Carnelutti, giurista insigne, avvocato della famiglia Cannella. Egli aveva il compito di sostenere in sede giudiziaria la tesi che lo �smemorato di Collegno� (come veniva chiamata la persona di cui gli uni volevano fosse il vicentino Prof. Cannella, uomo di una alta cultura come docente di filosofia ed educato in una famiglia benestante di mentalit� tradizionalista, e gli altri il tipografo torinese Bruneri, individuo alquanto ambiguo, colpevole di vari furterelli) fosse di fatto Cannella. Carnelutti, molto dubbioso anch'egli sulla identit� del proprio cliente, ebbe a confidarmi che se anche l'individuo non era il professore, ma il tipografo, egli si identificava cos� bene con la personalit� dell'altro, da fargli meritare la promozione a Prof. Cannella. Anche Carnelutti dunque, in queste conversazioni confidenziali, non escludeva che, sul piano psicologico, potesse esserci una incertezza ed uno scambio di personalit�. Con mano leggera, Pirandello riprodusse, in �Come tu mi vuoi�, il dramma del dubbio sulla identit� di una persona, rimasta anche essa sperduta durante la guerra del '15-'18. Ma ne fece un personaggio femminile, interpretato da Marta Abba: che invece di lottare per una identit� posticcia, rifiuta la personalit� che le si vuol affibbiare e rientra nell'anonimo ambiente caotico da cui l'avevano tratta fuori, per affibbiarle una personalit� d'accatto. Se la concezione dell'identit� psicologica personale risale in definitiva ad Aristotele e ad ogni successiva idea di un'anima, sostanza semplice, stabile, supporto e sostegno di tutta intera la nostra vita, dove le contraddizioni sono dovute a fattori esteriori, i quali in realt� non intaccano la essenza della persona, dobbiamo dire che in Pirandello c'� l'intuizione che le basi stesse della psicologia tradizionale debbano essere abbandonate. Ma allora � ben questo che ci fa sentire una parentela fra Pirandello e ci� che genericamente possiamo indicare come una nuova psicologia. Dicevamo prima che il pensiero comune, il pensiero corrente, risolve la contraddizione fra l'individuo che rimane identico a se stesso e i molteplici modi che egli assume di fronte alle mutate circostanze, o i differenti interlocutori, con un artificio: il quale distingue una realt� stabile da una molteplice e variabile apparenza. Ma questo ci porta ad un'altra tematica fondamentale per Pirandello, e che ancora lo avvicina a determinati punti di vista della moderna psicologia del profondo: il problema della verit� storica. Gi� nel 1917 in �Cos� � (se vi pare)� sono presentate due verit� contrapposte che si escludono l'una l'altra. Il tono � umoristico, anche se la materia � tragica. Certo la gente di fronte alla quale le due verit� soggettive sono prospettate, l'ambiente di provincia pettegolo e curioso che fa da sfondo al dramma, vuole una verit�, che sia una sola ed unica verit�. Ma Pirandello non accontenta la curiosit� di quella gente, e neppure quella del pubblico, lasciando invece che permangano due verit� opposte e distinte: le quali possono coesistere, soltanto perch� sono verit� soggettive, o modi personali di vivere le cose. Questa contrapposizione alla verit� storica di un'altra verit� soggettiva, psicologica, per cui nella Favola del figlio cambiato (che riecheggia La vida es sueno di Calderon de la Barca) il principe dice: �Niente � vero, e vero pu� esser tutto. Basta crederlo per un momento, e poi non pi�, e poi di nuovo, e poi sempre; o per sempre mai pi��: questa contrapposizione dunque � quella con cui hanno a che fare ogni giorno, gli psicoanalisti con i loro pazienti. Direi che l'analista continuamente entra ed esce dalla verit� soggettiva del paziente: � con lui solidale e partecipe nelle sue fantasie, nei suoi sogni, nei suoi deliri; ma se ne sa insieme ad ogni momento ritrarre. Ci� che caratterizza il pensiero psicologico di Pirandello non � soltanto un atteggiamento negativo rispetto alla verit� comune, alla verit� accettata, all'imperativo della realt� e della ragione, ma anche un atteggiamento positivo direi, e costruttivo verso la fantasia. Non soltanto la fantasia pu� sostituirsi alla realt�, ponendola in crisi e annullandola; ma la fantasia stessa non � qualche cosa di anemico, non � disordine ed arbitrio. Esiste cio� una verit�, una logica ed una legge anche per la fantasia. Quando Pirandello affronta questo problema, si sente in lui pi� che mai lo scrittore, e forse sopra tutto il commediografo: che crea s� i propri personaggi, ma che dopo averli dotati di una propria vita, cessa di avere pienezza di potere sopra di loro. Vivono ormai di vita propria, e lo scrittore stesso deve obbedire alla logica di cui li ha dotati. Cos� Pirandello stesso dice in �Questa sera si recita a soggetto�: Il primo attore: �La vita che nasce non la comanda nessuno�. L'attrice caratterista: �Le deve obbedire lo stesso scrittore�. La prima attrice: �Ecco, obbedire, obbedire�. E nella prima scena della stessa commedia, il Dott. Hinkfuss, che dirige lo spettacolo, dopo aver espresso una sorta di sgomento per l'opera d'arte che rimane fissata per l'eternit�, restando cos� privata di vita, cosa ormai morta, afferma: �Ogni scultore (io non so, ma suppongo) dopo aver creato una statua, se veramente crede di averle dato vita per sempre, deve desiderare ch�essa, come una cosa viva, debba potersi sciogliere dal suo atteggiamento, e muoversi, e parlare. Finirebbe d'essere statua; diventerebbe persona viva�. Vero � che l'opera d'arte, pittorica o scultorea, non rimane mai cosa morta; riacquista la vita che di volta in volta le d� colui che la contempla. E mi si presenta ora alla mente ci� che Freud, il quale del Mos� di Michelangelo era un ammirato contemplatore (durante un soggiorno di due settimane a Roma, sal� quotidianamente a S. Pietro in Vincoli, per riguardarselo), dice descrivendo la statua: �All'inizio, quando la figura sedeva tranquilla, essa reggeva le tavole ritte sotto il braccio destro... Poi venne il momento in cui la pace fu scossa dal tumulto. Mos� volse il capo in quella direzione, e quando ebbe osservato la scena, il piede si prepar� al balzo, ecc.�. L'interpretazione di Freud non fu accolta con favore dai critici d'arte, ma... per Freud, il Mos� di Michelangelo si muove, e, come dice Pirandello, si fa persona viva. Certamente anche Pirandello qualche volta si contraddice. Ad esempio, per quanto riguarda la verit� del personaggio creato dall'arte (che � questione evidentemente assillante per lui), mentre in �Questa sera si recita a soggetto� afferma, come ora abbiamo veduto, che le creature costruite dall'arte hanno vita propria, nei �Sei personaggi� afferma tutto l'opposto. E al capocomico il Padre dice: �La sua realt� pu� cangiare dall'oggi al domani�; e alla risposta di questi: �Ma si sa che pu� cangiare, sfido! Cangia continuamente come quella di tutti�, lo stesso Padre insorge, e grida indignato: �Ma la nostra no, signore. Vede? La differenza � questa! Non cangia, non pu� cangiare, n� essere altra, mai, perch� gi� fissata cos� �questa� per sempre (� terribile, signore!) realt� immutabile, che dovrebbe dar loro un brivido nell'accostarsi a noi!�. Una contraddizione? S�, una contraddizione, che coglie l'aspetto drammatico della creazione artistica. O forse della creazione senza altro, di qualunque tipo essa sia. Anche di quella dei propri figli: i quali se ne vanno autonomi per la propria strada, ma recano in s� una immutabile impronta: liberi e condizionati (e cio� fissati per sempre) insieme. Il problema della contraddizione sembra non esistere in Pirandello, o appare superabile. Come non vi � mai la demarcazione netta fra il vero e il falso. In �Come tu mi vuoi�, la Ignota esclama: �Consolati, nessuno veramente mentisce del tutto. Perch� ogni menzogna costruita � costruita in base ad un granello di verit�, che d� l'avvio alla menzogna�. Ma qui sembra proprio di sentir parlare uno psicoanalista: il quale non si preoccupa del fatto che le comunicazioni del proprio paziente siano menzognere, perch� anche in tal modo sono rivelazioni, per chi abbia fiuto, di una sottostante verit�, generatrice della stessa menzogna. Allo stesso modo, ancora nel �Come tu mi vuoi�, � assegnato alla ragione il compito di rinserrare la realt�, che � viva, cangiante e variabile, entro i suoi schemi rigidi, quando l'Ignota esclama: �Guai se non ci fosse la ragione a far da camicia di forza!� Tutto il problema delle razionalizzazioni, che alterano il contenuto della vita interiore, di per s� evanescente e contraddittoria, e con cui gli psicoterapeuti hanno costantemente a che fare, sembra essere decisamente espresso da queste poche parole, che della ragione fanno la ferrea gabbia che trattiene e rinserra il mobile contenuto del pensiero libero. Il pensiero libero, il pensiero libero! Pure questa � una nozione che ritroviamo nella formazione della psicologia dinamica moderna. Il pensiero libero, che negli Studi sull'isteria del 1895, da quel Joseph Breuer che fu il primo ispiratore di Freud, fu indicato come il pensiero slegato, costituito dai processi primari: contrapposti a quei processi secondari che caratterizzano l'attivit� mentale cosciente e razionale. Il sogno, la fantasticheria, il delirio, che affiorano a livello cosciente in determinati momenti della vita; ma i quali sono l'espressione del substrato originario e permanente della attivit� del nostro pensiero, che � di per s� inconscio. Almeno per l'adulto, perch� i due piani, quello della realt� reale e quello della realt� fantasticata, nei bambini invece si intrecciano, cos� come fin dal 1922 aveva detto Pirandello nell'�Enrico IV�. I bambini, ma anche i folli: lo afferma, sempre nell'�Enrico IV�, il Dottore, lo psichiatra, l'alienista (lo psicoanalista potremmo aggiungere noi), uno di quelli insomma, che come afferma Pirandello, cascano sempre in piedi, perch� per ogni follia hanno una loro spiegazione. Anche nella follia, la realt� reale non � tutta abrogata dalla pura invenzione: ma insieme coabitano finzione e realt�. Mi sembra proprio che tre situazioni, analoghe nella loro ambiguit�, siano state sviluppate da Pirandello, per delineare la struttura della persona umana. Per prima la situazione dei bambini dunque, che, come dice Cotrone nei �Giganti della montagna�, hanno �la divina prerogativa di prendere sul serio i loro giochi�. Ma Cotrone sul finire del III Atto, l'ultimo scritto da Pirandello, esclama pure: �Se siamo stati una volta bambini, possiamo esserlo sempre!� Ma anche coloro che consideriamo in preda alla follia insieme recitano, anche se poi rimangono prigionieri della loro finzione: la quale quindi per essi si fa realt�. Ci sono psichiatri moderni, i quali giudicano la follia, o per lo meno determinate manifestazioni nevrotiche o psicotiche, recite, commedie, giochi: che si contrappongono ad una realt�, la quale non � del tutto perduta. E chi, ad esempio, si � esercitato nell'uso dell'ipnosi (che d� luogo a fenomeni simili a quelli della sintomatologia psiconevrotica) sa bene che talora � impossibile distinguere una simulazione dalla realt�: perch� quella che si produce � una simulazione s�, ma una simulazione coatta, a cui il soggetto non pu� sottrarsi. Se quella della follia � la seconda situazione usata da Pirandello per tracciare la struttura della persona umana, la terza � la situazione teatrale. Neppure l'attore, l'attore vero, l'attore del palcoscenico, ha la possibilit� di sottrarsi completamente al personaggio che impersona. Nei �Giganti della montagna� tutto questo problema della verit� e della finzione teatrale � ripreso con quella finezza e quella arguzia che erano proprie di Pirandello, e che gli consentivano di giocare, continuamente destreggiandosi, con il perpetuo scambio fra realt� e finzione scenica. Per dire che cosa? Per dissacrare determinati principi che gli uomini per secoli, ma ancora oggi naturalmente con una parte di se stessi, hanno considerato costitutivi della interiore struttura della umana persona e dei suoi rapporti con la realt� esterna. Ecco perch� non � necessario che Pirandello abbia letto le opere di Freud e degli altri analisti, o che Freud abbia assistito a qualche rappresentazione di Pirandello. Eventi che neppure si possono escludere con certezza, ma che sono privi di qualsiasi importanza, per i parallelismi possibili. Parallelismi. Ho detto prima che non si tratta di analogie positive fra la concezione della persona, propria di Pirandello, e gli indirizzi della psicologia del profondo. Ma di analogie negative. Si tratta dunque del rifiutare la persona, come sostanza metafisica. La psicologia di Pirandello non � ovviamente la psicologia dell'una o dell'altra scuola analitica. Ma qualche cosa che, su basi artistiche genialmente intuitive, talora anche per il gusto del paradosso, Pirandello si � guardato bene dallo sviluppare in forma sistematica facendone una dottrina, ma ha semplicemente usato per il nostro (e il suo) piacere, e per la fantasia di ognuno. Ed ecco ora un mio atto di contrizione. Io sono soltanto un professore di psicologia, come ho detto, che ha fatto certi studi e segue determinate concezioni teoriche. Mi ero messo in mente di estrarre dall'opera di Pirandello i lineamenti di una trattazione psicologica. Idea senz'altro fantasiosa: non perch� non sia in astratto possibile ricavare da tutte le osservazioni, gli esempi e le immagini che Pirandello ci offre, qualche cosa di sistematico: simile a quelle pi� o meno pesanti opere teoriche che gli scienziati miei colleghi, ed io stesso, scriviamo per il gusto e la ambizione di mettere per cos� dire ordine nelle cose dell'universo. Ma perch�, indipendentemente dalla questione della utilit�, per far questo mi sarebbe stato necessario rivedere nei particolari tutta la produzione di Pirandello, e restarvi immerso parecchio tempo. Ci� che evidentemente non era nelle mie possibilit�. Cos� ho ripiegato su queste brevi considerazioni, che voi avete avuto la bont� di seguire. Per�, tutto sommato, direi che � una bella fortuna che le cose siano andate a questo modo. E che io mi sia deciso a riconoscere che la mia era una pretesa eccessiva, frutto di una certa presunzione; cos� che mi sono accontentato di accennare a qualche testimonianza significativa, tratta dall'opera di Pirandello, per mettere in evidenza la modernit� del suo modo di vedere e sentire la vita degli uomini: rinunciando a degradare in una esposizione aridamente teorica, ci� che di vivo e fascinoso vi � nella sua opera creativa. I due maestri del dubbio Luigi Pirandello (Agrigento, 28 giugno 1867 � Roma, 10 dicembre 1936) � stato uno degli scrittori, poeti e drammaturghi italiani pi� significativi e innovativi dei primi anni del Novecento. � stato insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Per la sua produzione, i temi affrontati e l'innovazione del racconto teatrale � considerato tra i pi� importanti drammaturghi del XX secolo. Tra i suoi lavori spiccano diverse novelle e racconti brevi (in italiano e in siciliano) e circa quaranta drammi, l'ultimo dei quali incompleto. Le sue difficili vicende familiari e personali e, in particolar modo, i lunghi anni di disagio mentale della moglie, lo hanno portato a maturare una forte sensibilit� e un profondo interesse verso i temi dell�interiorit� della persona e degli aspetti problematici dei rapporti fra gli individui, dando ampio spazio anche ai loro elementi pi� scabrosi. Il medico e neurologo Sigmund Freud (Freiberg, 6 maggio 1856 � Londra, 23 settembre 1939) � stato il fondatore della psicoanalisi, la pi� antica tra le correnti della psicologia dinamica. Fra gli intellettuali pi� influenti del XX secolo, � noto per aver elaborato una teoria scientifico-filosofica secondo la quale i processi psichici inconsci esercitano influssi determinanti sul pensiero, sul comportamento umano e sulle interazioni tra individui. Di formazione medica, tent� di stabilire correlazioni tra la visione dell'inconscio (rappresentazione simbolica di processi reali) e delle sue componenti con le strutture fisiche della mente e del corpo umano, teorie che hanno trovato parziale conferma anche nelle moderne neurologia e psichiatria. Secondo la psicoanalisi l'impulso sessuale infantile e le sue relazioni con il rimosso sono alla base dei processi interpretativi. Molti dissensi dalle teorie di Freud, e quindi indirizzi di pensiero diversi (Adler, Jung e altri) nascono dalla contestazione del ruolo, ritenuto eccessivo, da lui attribuito a questo aspetto.