La locandiera

Nell'avvertimento al lettore, il Goldoni dichiara di ritenere La locandiera, tra le proprie commedie scritte fino a quel momento, «la più morale, la più utile, la più istruttiva»; e nei Mémoires sottolinea che il successo della sua prima rappresentazione «la fece porre al di sopra di tutto ciò che avevo fatto in questo genere, in cui l'abilità supera l'interesse», e cioè l'oggettiva evidenza, la spettacolarità dell'intreccio. Di avere scritto un capolavoro non mostra d'essersi accorto, o comunque non ne mena vanto; la sola cosa di cui si gloria è l'essere riuscito a condurre il Cavaliere di Ripafratta ad innamorarsi di Mirandolina nello spazio di due atti e di ventiquattr'ore, senza tradire la credibilità psicologica del personaggio e la scorrevole naturalezza degli eventi. Un orgoglio molto professionale e comprensibile, poiché questo problema dovette pararglisi dinnanzi come una vera e propria sfida, fin troppo facile a vincersi con gli strumenti del teatro tradizionale, ma non altrettanto con gli strumenti del nuovo realismo. Le ragioni dell'utilità e della moralità stanno per il Goldoni nella denuncia dell'ipocrisia femminile e della sua pericolosità: «Ho voluto dare un esempio di questa barbara crudeltà, di questo ingiurioso disprezzo con cui... coteste lusinghiere donne... si burlano dei miserabili che hanno vinti, per mettere in orrore la schiavitù che si procurano gli sciagurati, e rendere odioso il carattere delle incantatrici Sirene».
Teatro
Goldoni Carlo
BUR
Braille e Edizione per ipovedenti
2003
3
323
Opera in prestito, Opera in vendita