Una manciata di more

Una contrada fuori mano dell'Italia meridionale. I mutamenti politici, l'indomani dell'ultima guerra, vi acquistano un'evidenza esemplare, suscitando le medesime illusioni e paure che altrove. Ma dopo tutto, dice Silone, piovve e nevicò come gli altri anni, e le relazioni fra gli uomini rimasero le antiche. Contadini e pastori, vecchi proprietari in concorrenza con gli arricchiti del mercato nero, funzionari dei nuovi apparati e, fra gli altri, un gruppo di uomini onesti, di varia origine e formazione, restii a falsificare in termini di potere e di sopraffazione la loro spontaneità umana, a tradire i propri moti di istintiva solidarietà. Ne nasce un tono patetico, commosso e in fin dei conti, al giorno d'oggi, schiettamente utopistico. Benché la persecuzione finisca per prevalere, nella narrazione la speranza si salva, grazie a una risorsa che unisce alla concretezza dell'umile fatto di cronaca il valore del mito. Durante la sua adolescenza, racconta Silone, i contadini del suo paese, in maggioranza analfabeti, venivano radunati dal suono di una tromba. Quando il fascismo sciolse la lega contadina, la tromba fu irreperibile e tale rimase per l'intero ventennio. Riapparve alla fine del '43 come simbolo di una rinata vita sociale. Purtroppo non passa tempo che la tromba è di nuovo minacciata: ma ancora una volta essa è inafferrabile, nascosta in luogo segreto, come la speranza nel cuore dell'uomo.
Romanzi, Racconti, Novelle
Silone Ignazio
Arnoldo Mondadori Editore
Braille
1975
4
519
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